Il margine d’interesse delle banche italiane è aumentato del 18,5% nel 2022, portando nelle casse delle banche 7,1 miliardi di euro in più rispetto all’anno precedente, ha affermato un nuovo rapporto di Unimpresa
Secondo un’analisi di We Wealth, le prime cinque banche italiane per asset (Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Bper e Mps), hanno incrementato del 53% il proprio margine d’interesse nel primo semestre del 2023, superando complessivamente i 19 miliardi di euro
La componente di profitto bancario che il governo italiano prevede di tassare una tantum, il margine d’interesse, è aumentata del 18,5% nel 2022, portando nelle casse delle banche 7,1 miliardi di euro in più rispetto all’anno precedente, ha affermato un nuovo rapporto di Unimpresa basato sull’elaborazione dei dati Bankitalia. Il grosso balzo, però, si osserverà quest’anno. Secondo un’analisi di We Wealth, le prime cinque banche italiane per asset (Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Bper e Mps), hanno incrementato del 53% il proprio margine d’interesse nel primo semestre del 2023, superando complessivamente i 19 miliardi di euro.
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Sono gli effetti del rialzo dei tassi operato dalla Bce a partire dal luglio 2022: in un anno, il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali è passato da zero all’attuale 4,25%. Con l’aumento dei tassi d’interesse i costi di prestiti e mutui è salito molto più in fretta rispetto a quelli che le banche devono sostenere per raccogliere, a loro volta, denaro da clienti e investitori. Così, il margine di profitto sulle attività di credito è tornato ad essere più redditizio dei servizi per i quali le banche applicano commissioni, come la gestione patrimoniale e le consulenze.
Unimpresa ha evidenziato come, nel 2019, i ricavi commissionali avessero superato il margine d’interesse fra le banche italiane, generando rispettivamente 42,2 miliardi di ricavi contro 40,1. Nel 2021, il vantaggio della componente commissionale si era ulteriormente allargata, con 44,2 miliardi a fronte di 38,4 miliardi di margine d’interesse. Nel 2022, invece, grazie all’inversione della politica monetaria della Bce – costretta a intervenire per moderare il rischio-inflazione – l’attività di credito è tornata ad essere quella più redditizia: mentre le commissioni si sono ridotte a 42,5 miliardi, il margine d’interesse è balzato a 45,2 miliardi di euro. Come anticipano i dati del primo semestre, il 2023 sarà un anno caratterizzato da una crescita annua del margine d’interesse ancora più sostanziosa.
Extra-profitti, una tassa che divide
L’articolo 26 del “decreto asset” entrato in vigore lo scorso 11 agosto prevede una “imposta straordinaria calcolata sull’incremento del margine d’interesse” che colpirà gli utili degli intermediari finanziari. Questa tassa, nelle intenzioni del governo, dovrebbe controbilanciare in parte i vantaggi che le banche hanno avuto dalla politica monetaria dell’ultimo anno. La misura, che risulta penalizzante per gli istituti italiani rispetto a quelli degli altri Paesi europei che non la subiranno, è stata duramente criticata dalla comunità finanziaria internazionale.
Secondo Unimpresa, invece, il prelievo previsto dal governo Meloni sarebbe giustificato alla luce dell’incremento osservato sul margine d’interesse. “La misura dell’esecutivo prende di mira proprio il margine d’interesse, quel differenziale che è il frutto delle politiche commerciali degli istituti di credito del Paese che approfittano, traendone un rilevante vantaggio, dell’aumento del costo del denaro deciso dalla Banca centrale europea, riconoscendo pochissimo, invece in termini di remunerazione, alla loro clientela”, ha affermato il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora. La remunerazione dei conti correnti rimasta pressoché invariata nonostante gli aumenti dei tassi, era stata a sua volta oggetto di critiche da parte del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. “Senza muovere un dito e senza costi, le banche incassano decine di miliardi di euro”, ha aggiunto Spadafora, “approfittano della scellerata politica della Bce che, come denunciamo da tempo, non solo non produce gli effetti sperati sul fronte del contenimento dell’inflazione, ma sta cagionando rilevanti danni all’economia reale”.
Dagli extra-profitti alle extra-riserve
Molto prima che la tassa sugli extra-profitti delle banche italiane fosse all’ordine del giorno, l’ondata di miliardi che la Bce avrebbe garantito alle banche commerciali di tutta l’Eurozona aveva attirato le critiche di alcuni economisti. Ma il tema sollevato era un po’ diverso: non riguardava l’aumento dei margini sui prestiti, bensì la remunerazione delle riserve. Ossia, il denaro che, senza rischi, le banche commerciali parcheggiano presso la Bce, ricevendo un premio. Tale remunerazione comporta necessariamente una riduzione degli utili che la banca centrale realizza, che pertanto non potranno essere “girati” agli Stati, avevano sottolineato Paul De Grauwe (Lse) e Yuemei Ji (University College London) in un editoriale pubblicato su Project Syndacate lo scorso febbraio.
Forse anche per rispondere a queste critiche, la Bce lo scorso luglio ha deciso di azzerare la remunerazione delle riserve obbligatorie, lasciando però invariata quella relativa alle riserve in eccesso – che sono di gran lunga quelle più rilevanti. “Noccioline”, aveva commentato De Grauwe su Twitter, notando come, in seguito al provvedimento della Bce, la remunerazione si sarebbe ridotta di appena 6 miliardi di euro (da 142 a 136 miliardi): “Le banche continuano a godere di massicci trasferimenti alle spese dei contribuenti”.
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