Si calcolano 61.905 tagli a livello mondiale, di cui almeno 13mila legati alla maxi-acquisizione di Credit Suisse da parte di Ubs
Un’emorragia di posti di lavoro ha travolto anche Wells Fargo, che ha rivelato di aver ridotto il suo organico di 12mila unità
Le ondate di licenziamenti che hanno travolto quest’anno i banchieri – di Wall Street ma non solo – si traducono ora in numeri. Il bilancio, secondo un’analisi del Financial Times sulle 20 maggiori banche al mondo, è di oltre 60mila posti di lavoro andati in fumo in dodici mesi, uno dei dati più elevati dalla crisi finanziaria del 2007-2008 (quando i tagli coinvolsero più di 140mila soggetti). Più precisamente, si calcolano 61.905 licenziamenti, di cui almeno 13mila legati alla maxi-acquisizione di Credit Suisse da parte di Ubs.
A poche ore dal salvataggio del colosso svizzero, avvenuto a marzo, gli analisti prevedevano che l’operazione avrebbe innescato decine di migliaia di uscite. Credit Suisse aveva già pianificato di tagliare 9mila posti di lavoro, ma ci si aspettava che Ubs tagliasse ancora di più e più velocemente. Poi, lo scorso novembre la banca guidata da Sergio Ermotti ha reso noto di aver licenziato 13mila persone, portando l’organico totale a 116mila unità. E potrebbe non essere finita qui. L’amministratore delegato ha segnalato che il 2024 sarà un “anno cruciale” per l’acquisizione, spingendo gli analisti ad attendersi ulteriori tagli nei mesi a venire.
Wall Street, in fumo 30mila posti di lavoro
Un’emorragia di posti di lavoro ha travolto anche i banchieri di Wells Fargo, che questo mese ha rivelato di aver ridotto il suo organico globale di 12mila unità. L’istituto a stelle e strisce ha dichiarato di aver speso 186 milioni di dollari in costi di licenziamento solo nel terzo trimestre, con 7mila lavoratori in uscita. Anche le altre grandi banche d’affari di Wall Street hanno ripreso i loro programmi annuali di riduzione della forza lavoro, dopo il boom di assunzioni nel periodo pandemico e post-pandemico. Citigroup ha tagliato 5mila posti di lavoro, seguita da Morgan Stanley con 4.800, Bank of America con 4mila, Goldman Sachs con 3.200 e JPMorgan Chase con 1.000. Complessivamente, i giganti statunitensi hanno licenziato almeno 30mila persone. Se infatti nel 2015 e nel 2019 – altri due anni di enormi tagli – i licenziamenti hanno riguardato principalmente istituti di credito europei che lottavano per far fronte a bassi tassi di interesse, almeno la metà delle uscite del 2023 hanno messo a rischio i lavoratori di Wall Street.
Banche, Thacker: “Altri tagli in vista”
Intanto, c’è anche chi si è tenuta stretta i suoi dipendenti (almeno quest’anno). È il caso di Hsbc e Commerzbank, che hanno entrambe intrapreso importanti riduzioni del personale negli ultimi anni. Ma anche di Unicredit che, dopo un biennio di tagli, non ha annunciato alcuna grossa operazione di licenziamento nel 2023. In generale, però, la situazione sembra non essere destinata a migliorare. “Non c’è stabilità, né investimenti, né crescita nella maggior parte delle banche”, ha dichiarato al quotidiano economico-finanziario britannico Lee Thacker, proprietario della società di headhunting Silvermine Partners. “Probabilmente ci saranno altri tagli di posti di lavoro”, ha aggiunto. Secondo il FT, a meno che non si verifichi una ripresa dell’attività di investment banking, è improbabile che le prospettive per i banchieri diventino rosee. “Ci aspettiamo che il 2024 sarà una continuazione della storia del 2023”, avverte Gaurav Arora, global head of competitor analytics di Coalition Greenwich, fornitore di benchmarking strategico, analisi e approfondimenti per il settore dei servizi finanziari.