Milano Art Week 2024 e Banca Generali
Dalla finanza all’arte. Così con la Milano Art Week appena avviata non mancano le iniziative che dimostrano l’impegno e l’intento delle società private per supportare (e in alcuni casi, far ritrovare) l’ambizione agli artisti italiani. Come nel caso di Banca Generali, leader in Italia nella pianificazione finanziaria e nella tutela patrimoniale con ben 92,5 miliardi di masse gestite per conto di quasi 350mila clienti, che prosegue il suo legame con il mondo dell’arte attraverso importanti collaborazioni strategiche e progetti volti a promuovere concretamente la cultura artistica italiana.
Come, nel concreto? Attraverso la partnership con Milano Art Week, iniziativa del Comune di Milano in collaborazione con miart, la fiera d’arte moderna e contemporanea meneghina, che invaderà d’arte la città nella settimana dell’8-14 aprile. Ma anche tramite il supporto all’apertura gratuita del PAC Padiglione Arte Contemporanea di Milano per la giornata di sabato 13 aprile e una conferenza sul collezionare l’arte contemporanea. Oltre che l’ampliamento della propria collezione corporate con un’opera di uno degli artisti italiani contemporanei più apprezzati da critica e mercato, Francesco Vezzoli. Ecco tutte le novità annunciate nella conferenza stampa dello scorso 5 aprile presso il BG Training & Innovation Hub.
Arte e finanza e il sostegno congiunto di pubblico e privato
“Arte e finanza necessitano della stessa cosa: che pubblico e privato lavorino assieme per tutelare il patrimonio (culturale ed economico) del nostro paese” afferma Andrea Ragaini, vicedirettore generale di Banca Generali, introducendo ai giornalisti le tre iniziative promosse dalla banca. Proprio per questo motivo “siamo felici di affiancare per il sesto anno consecutivo il Comune di Milano nell’iniziativa più importante per l’arte dedicata al grande pubblico, alla vigilia di un appuntamento istituzionale di riferimento come miart (in programma dall’11 al 14 aprile, ndr)”.
È proprio nell’ottica di questa partnership che si inserisce la decisione di offrire simbolicamente il biglietto d’ingresso a tutti i visitatori del PAC Padiglione d’Arte Contemporanea nella giornata di sabato 13 aprile, così da avvicinare il grande pubblico ai capolavori dell’arte contemporanea. Ad aspettarli vi sarà la prima retrospettiva europea dopo oltre vent’anni dedicata all’artista e filosofa americana Adrian Piper (New York, 1948), vincitrice del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia 2015: una riflessione sulla ‘patologia visiva’ del razzismo attraverso video, fotografie, dipinti e disegni ospitata nel museo capolavoro del razionalismo italiano progettato da Ignazio Gardella nel 1949.
Non solo: per tutti coloro interessati ai temi del collezionare l’arte contemporanea, Banca Generali ha organizzato una conferenza che vedrà protagonisti alcuni esperti del settore in Italia. L’appuntamento è sempre per sabato 13 aprile alle ore 10 presso la GAM Galleria d’Arte Moderna.
L’arte nei portafogli degli italiani e il collezionismo
Del collezionismo d’arte, più o meno contemporanea, vi è da sempre traccia nel DNA del nostro paese: oltre che del Rinascimento e del concetto moderno di banca, non si deve dimenticare che l’Italia può essere considerata anche la patria del mecenatismo. Dal punto di vista del patrimonio privato nazionale, le ultime ricerche stimano un’allocazione verso arte e beni da collezione pari al 3% dei circa 11,55 miliardi complessivi (il restante 97% si divide per il 50% in immobili e in partecipazioni finanziarie e industriali per il 30% e il 17% rispettivamente).
Sebbene con quote ancor piccole, i pleasure asset stanno “catturando l’interesse di sempre più privati ed entrando nei processi di investimento dei clienti” precisa Ragaini, “facendo quindi emergere la necessità di professionisti, anche all’interno delle banche, capaci di accogliere anche le richieste più specifiche” (come Maria Ameli, Head of corporate, real estate & art advisory di Banca Generali dal 2018, ndr).
Enrico David, Untitled, 2018. Photo credit Marta Rizzato. Courtesy BG ARTALENT
Il collezionismo corporate: il progetto BG ARTALENT
Oltre che nel privato, tuttavia, il collezionismo in Italia si declina anche nell’ambito societario. Per Banca Generali, manifesto di questa pratica è il progetto BG ARTALENT, un percorso volto alla valorizzazione degli artisti italiani nel mondo (al momento la collezione presenta opere di Francesco Arena, Rosa Barba, Enrico David, Patrizio di Massimo, Lara Favaretto, Linda Fregni Nagler, Maurizio Donzelli, Andrea Galvani, Marguerite Humeau, Marzia Migliora, Giulio Paolini e Alessandro Pessoli oltre che di Francesco Vezzoli). Quello del gruppo del leone è quindi un “collezionismo selettivo e sostenibile nel tempo”, conferma Ragaini, che si avvale della professionalità di alcuni dei protagonisti del sistema dell’arte in Italia e non solo. Come Vincenzo De Bellis, Direttore, Fiere e piattaforme espositive di Art Basel, che a Banca Generali ha sempre posto “un’unica richiesta: che l’arte fosse vista e resa fruibile, ma soprattutto fosse non solo promossa, ma anche acquistata”.
“Se gli artisti vogliono vivere del loro lavoro, oltre che migliorarsi e crescere, la valorizzazione economica che avviene grazie alle acquisizioni da parte delle istituzioni pubbliche e private è un tassello fondamentale” aggiunge l’esperto durante la conferenza stampa. “Con Banca Generali abbiamo quindi deciso di acquisire più opere possibili, anche se non è sempre stato facile (il ricordo va alla sospensione forzata dell’attività causata dal Covid, ndr), restando sempre fedeli a due principi”.
“Il primo, che l’arte fosse recente, non tanto come dato anagrafico dell’artista, ma come importanza del tema e vicinanza temporale, così che tutte le opere fossero prodotte dal 2000 in avanti. Il secondo, che a produrle fosse stato un artista già conosciuto sul panorama nazionale e internazionale, così da promuovere maggiormente tutto il sistema dell’arte italiano. Con un quid in più: le opere dovevano rappresentare quello che l’artista e io ritenevamo essere il tema più importante per l’artista stesso in quel momento”.
Patrizio Di Massimo, Autoritratto (con Philip Guston), 2022. Courtesy BG ARTALENT
L’ultima opera acquisita a firma di Francesco Vezzoli
Così è stato per Comizi di non amore – The prequel (Contestant n.3: Marianne Faithfull), realizzata nel 2003. “Francesco Vezzoli ha realizzato quest’opera più di 20 anni fa, ma è attualissima” spiega De Bellis “perché come artista ha sempre visto cose che altri faticavano a riconoscere e che oggi sono sotto gli occhi di tutti: il culto dell’immagine, la celebrità, l’identità di genere fluida o addirittura la mancanza di identità della nostra società. Solo per questo, per il fatto che la sensibilità degli artisti anticipa il tempo, l’arte e gli artisti andrebbero sostenuti”.
Comizi di non amore, una serie di ritratti delle grandi dive del cinema, è stata concepita in occasione della mostra Trilogia della morte, la prima personale di Francesco Vezzoli alla Fondazione Prada nel 2004. La mostra rendeva omaggio a due capolavori cinematografici di Pier Paolo Pasolini (Comizi d’amore, 1965 e Salò o le 120 giornate di Sodoma, 1975) reinterpretando la tradizione del cinéma-vérité: i film inchiesta erano diventati un vero e proprio reality show con protagoniste alcune figure cult dello spettacolo come Catherine Deneuve, Antonella Lualdi, Terry Schiavo, Jeanne Moreau e, appunto, Marianne Faithful.
Francesco Vezzoli, Comizi di non amore – The prequel (Contestant n.3: Marianne Faithfull),
2004. Courtesy BG ARTALENT
Le lacrime ricamate da Vezzoli, il cinema e la storia dell’arte
Simbolo della Swinging London, nell’opera di Vezzoli Marianne Faithful è ritratta in bianco e nero, gli occhi e le labbra evidenziati dal trucco. Una lacrima scorre sul suo volto, ricamata a mano dall’artista, che ha affermato di aver imparato questa tecnica così bene “da un amico, durante gli studi alla Central Saint Martins di Londra: odiavo frequentare le lezioni e portare un lavoro ricamato mi permetteva di stare lontano anche un paio di settimane, chiuso nella mia camera”. Sulle lacrime Vezzoli ha costruito la sua cifra stilistica, tanto che a queste sarà dedicata la prossima personale dell’artista, in programma al Museo Correr di Venezia (Francesco Vezzoli. Musei delle lacrime, dal 17 aprile al 24 novembre 2024).
Un simbolo-manifesto che nasce da una riflessione profonda: “alle lacrime la storia dell’arte ha dedicato poca attenzione” precisa Vezzoli. “Persino l’iconografia sacra, dove il dolore e la tristezza sono spesso presenti, considerano le lacrime un tabù. Studiando i capolavori del passato è infatti difficile trovarne una rappresentazione, mentre nella settima arte (il cinema, cui l’artista è molto legato, ndr) le lacrime sono il metro di misura per cui valutare la bravura di un attore”. In sala una giornalista chiede quale sia il perché dietro la scelta di ripetere questo ricamo in molte delle sue opere: “è la parte più privata e personale del mio lavoro” continua Vezzoli.
Ma alla ritrosia dell’artista sopperisce la critica, che racconta come questa tecnica così domestica e femminile si intersechi con i volti delle donne più celebri dell’arte e dello spettacolo, strumento d’intreccio tra la dimensione glamour della sfera pubblica (tanto che la fama rende necessario un ritratto della persona) e quella solitaria della sfera privata (in cui la celebrità è libera di piangere e l’artista è libero di ricamare, in un gesto che reiterato diviene quasi contemplativo).
Alessandro Pessoli, Jung William Blake, 2021. Courtesy BG ARTALENT
Il coraggio di cambiare (e il disco country dell’arte italiana)
Si accennava all’ambizione degli artisti, prima. “Non è detto che tutti debbano averla” precisa Vezzoli. “Dipende dai mezzi espressivi e spesso non è necessariamente evidente. Quello che ho percepito dagli artisti della mia generazione è la mancanza di voglia nel mettersi a confronto con chi sta fuori dall’Italia. L’arte italiana ha perso la centralità che aveva negli anni Sessanta e Settanta, quando il centro del dibattito era in Europa e gli artisti raccontavano le dinamiche sociali con forte personalità”.
“Non è un caso che, salvo qualche rara eccezione, gli artisti italiani riconosciuti nel mondo appartengano proprio a quella generazione. Ma è un tema di Italia, e non di artisti (che sono molto stimati perché sofisticatissimi, ricorda l’artista). Dobbiamo recuperare l’ambizione a livello collettivo, nell’arte e non solo. La mia personale? Essere ricordato non tanto come Francesco Vezzoli, ma come Il maestro delle lacrime, un po’ come in passato un artista veniva associato a un particolare oggetto o tecnica”. All’Italia serve il coraggio di cambiare, quindi, e tutto il sostegno possibile, da pubblico e da privato. Per dirla con le parole dello stesso Vezzoli: “un po’ come ha fatto Beyonce, dobbiamo fare anche noi il nostro disco country”.