Le bizze ed i capricci degli attori hollywoodiani e delle più celebrate rockstar non stupiscono neanche più, vista la frequenza con la quale si susseguono. Mai nessuno però prima di Elvis Presley, giunse a sparare con la pistola contro la propria auto, solo perché non ne voleva sapere di mettersi in moto. Elvis non era nuovo a queste intemperanze, dato che, nella sua celebre dimora di Graceland, è tutt’oggi visibile il televisore che prese a revolverate nel corso di un programma che non gradiva. L’auto colpita dalle pallottole su parabrezza, volante e portiera sinistra, fu invece subito riparata e venduta, forse per evitare che potesse scatenare ulteriormente le sue ire. Ed è tuttora visibile, nel suo smagliante giallo Modena, in un noto museo motoristico di Los Angeles.
Stiamo parlando della Pantera De Tomaso, una super sportiva dei primi anni ‘70, che ambiva a contrastare Ferrari, Maserati e Lamborghini e a primeggiare oltre Oceano sulla Chevrolet Corvette.
Alejandro de Tomaso
La casa automobilistica De Tomaso era stata fondata, alla fine degli anni ‘50, da Alejandro De Tomaso, pilota argentino, in dissenso con il regime peronista, stabilitosi a Modena dopo aver corso per Maserati e Osca. Personaggio vulcanico, irascibile, originale e creativo, era stato amico e compagno di collegio di “Che” Guevara e apparteneva a una ricca e potente famiglia, di origine napoletana, proprietaria di mandrie e di aziende agricole. Come logo della sua casa automobilistica, De Tomaso scelse la bandiera nazionale albiceleste con al centro una “T” stilizzata, il marchio che veniva apposto sul bestiame appartenente alla sua famiglia. Dopo aver prodotto i primi due modelli, Vallelunga e Mangusta, nonché monoposto di Formula 1 con Frank Williams, l’azienda di De Tomaso assunse una dimensione industriale, grazie all’aiuto economico dell’americana Rowan Industries, azionista Ford e General Motors, riconducibile alla famiglia della sua seconda moglie. De Tomaso acquisì poi le note carrozzerie Ghia e Vignale di Torino ed ottenne ribalta internazionale proprio con la Pantera.
Obiettivo: battere il cavallino
Quest’auto fu il risultato del travagliato e burrascoso rapporto con il colosso americano Ford che, tramite l’acquisizione di gran parte delle quote di De Tomaso, intendeva portare a compimento la sua invasata e ossessiva rivalsa nei confronti della Ferrari.
Henry Ford II si era infatti dimostrato disposto a tutto pur di riscattarsi dallo smacco inflittogli da Enzo Ferrari, che dopo estenuanti trattative volte alla cessione a Ford della sua casa automobilistica, aveva all’improvviso venduto a Gianni Agnelli, proprio quando tutto era pronto per la firma con la casa americana. È noto come quest’ultima impiegò tutta la sua potenza economica per dotarsi di una struttura capace di impartire una lezione a Ferrari, il che culminò con la vittoria per quattro anni di fila della Ford GT40 alla 24Ore di Le Mans, dove prima le Ferrari avevano sempre spopolato. Con la Pantera, dotata di un vigoroso motore Ford V8 montato centralmente, la Casa di Detroit intendeva quindi da un lato raccogliere i frutti derivanti dai successi sportivi, lanciando sul mercato una supercar con la stessa architettura della GT40, dall’altro sconfiggere la Ferrari anche sul piano commerciale, approntando per di più la vettura proprio a Modena, a due passi dalla rivale.
La Pantera
La linea fu opera di Tom Tjaarda, celebre designer americano, cresciuto nel centro stile Ghia e che è ricordato oggi anche come il creatore della Fiat 124 Spider, di alcune famose Ferrari e, negli anni ‘80, della Lancia Thema, della Fiat Croma e dell’Autobianchi Y10.
Tjaarda concepì per la Pantera un’aguzza linea a cuneo, bassa, tesa, aggressiva e minacciosa.
La parte telaistica fu opera dell’ingegner Dallara, già artefice della Lamborghini Miura e giunto in De Tomaso per occuparsi dell’avventura in Formula 1; Dallara ideò un apposito telaio monoscocca, innovativo rispetto alla trave centrale della Mangusta e ideale per una dimensione non più artigianale. Le vetture finite erano il risultato dell’assemblaggio di scocche prodotte in Vignale, verniciate in Ghia e motorizzate, infine, a Modena in De Tomaso.
La guida era impegnativa, ma coinvolgente ed appagante, grazie anche all’equilibrio del telaio, e con un rabbioso ed emozionante sound. Presentata nel 1970 a Modena ed a New York, venne poi esportata in Usa direttamente da Ford attraverso la sua rete e conobbe subito un grande successo, anche in virtù della sua tipica linea da Gt all’italiana, allora tanto in voga. Stesso successo le arrise anche in Europa, dove era venduta ad un prezzo inferiore a quello delle più blasonate concorrenti. Rispetto a queste, tuttavia, scontava un minor livello di finitura, un’affidabilità non sempre all’altezza ed un motore meno sofisticato, di più basso livello tecnologico e meno potente.
Ciò non le impedì di ritagliarsi un ruolo davvero glamour, visto che un esemplare fu acquistato dalla rivista Playboy, e verniciato di
rosa, ed un altro personalmente dal Re di Svezia; nel contempo le sue doti in termini di prestazioni pure furono confermate da piloti del calibro di Mario Andretti e Jackie Stewart, che ne divennero felici proprietari. Già nel ‘72 uscirà comunque la versione “L”, costruita con più cura, e dal ‘73 la “Gts”, con parafanghi allargati, cerchi maggiorati e tipico look anni ’70, con cofani e parte delle portiere verniciate in nero opaco. Nel 1974 la svolta. Ford, a seguito delle sempre più restrittive normative Usa in materia di ambiente e sicurezza, oltre che della crisi energetica globale, bloccò improvvisamente la joint venture con De Tomaso, che riuscì tuttavia a mantenere la licenza di costruzione della Pantera e la fornitura dei motori, pur a condizioni completamente mutate.
La fine della De Tomaso
Di colpo De Tomaso perse Vignale, Ghia e la rete di vendita Usa, ma, confidando nel prestigio derivante dalle diverse vittorie sportive conseguita dalla Pantera nel mondiale marche, proseguì caparbiamente l’avventura, passando però dalla produzione di circa 50 vetture a settimana a solo una, massimo due. Riuscirà tuttavia a produrre la Pantera per più di vent’anni, caso davvero raro per un’auto con quelle caratteristiche. Nel frattempo De Tomaso aveva peraltro costruito un piccolo impero motoristico, attraverso l’acquisizione e il rilancio di marchi quali Maserati e Innocenti, oltre che Benelli e Moto Guzzi; la sua improvvisa malattia, che lo portò alla morte, ne determinò poi la cessione, oltre alla liquidazione della De Tomaso Automobili.
Dopo varie vicissitudini, tra cui un fallimento con bancarotta, oggi il marchio è di proprietà di un consorzio di investitori di Hong Kong, che ha finalmente presentato una nuova Pantera in edizione limitata, sempre con un motore centrale V8 Ford, ma dotato di ben 700 cavalli.
Segno evidente del perdurare del carisma e della grande personalità sprigionata dalla vettura, prodotta in oltre 7.000 esemplari e sopravvissuta anche alla tumultuosa relazione fra Modena e Detroit, che continua ancor oggi ad affascinare gli appassionati, disposti a spendere anche 200mila euro per esemplari in ottime condizioni.
Tratto dal magazine We Wealth n. 53 https://www.we-wealth.com/magazine