Raffaello, l’intelligenza artificiale e il Tondo de Brécy: una tecnologia, due risultati
Alcuni mesi fa, i notiziari hanno riferito che due diversi gruppi di intelligenza artificiale (AI), uno dell’Università di Bradford e l’altro di un’azienda privata chiamata Art Recognition, hanno cercato di autenticare lo stesso dipinto, oggi conosciuto come il Tondo de Brécy. Sorprendentemente, hanno ottenuto risultati opposti. Il primo gruppo ha utilizzato il riconoscimento facciale, mentre il secondo ha analizzato le pennellate. Mentre il programma informatico del primo ha stabilito che l’opera è “senza dubbio” di mano di Raffaello, il secondo gruppo ha riferito di avere l’85% di certezza che l’opera non sia dell’artista.
Sulla base delle affermazioni sulla certezza assoluta dell’AI, questi risultati completamente divergenti non sono previsti e rappresentano una sfida all’uso dell’AI. È preoccupante, dato che le aziende che si occupano di AI la pubblicizzano come la nuova tecnologia che porta “obiettività” alle autenticazioni. Art Recognition annuncia sul suo sito l’AI come “un modo migliore per autenticare l’arte” rispetto a quello umano, che ritiene troppo soggettivo. Il sito dell’azienda sostiene “un’accuratezza senza pari con la tecnologia moderna” e promette che i risultati siano puramente basati sui dati, senza alcun intervento umano che possa creare pregiudizi.
LE OPPORTUNITÀ PER TE.
Conosci l’arte generativa, sai che è una delle categorie maggiormente collezionate ora?
Vorresti conoscerne le potenzialità anche a livello di investimento?
Gli advisor selezionati da We Wealth possono aiutarti a trovare le risposte che cerchi.
TROVA IL TUO ADVISOR
Come è potuto accadere che due test “oggettivi” abbiano dato risposte opposte?
Eppure… Com’è possibile che due test di AI completamente “oggettivi” abbiano dato risposte completamente opposte? Quale dei due gruppi di AI ha ragione? Quale è alla fine il risultato corretto? Inizia a somigliare a una tradizionale battaglia tra esperti.
Quando le è stato chiesto di commentare i risultati divergenti, l’amministratore delegato di Art Recognition ha giustamente espresso la preoccupazione “che questa situazione possa potenzialmente minare i progressi che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni nell’affermare l’AI come metodo comune per l’autenticazione dell’arte… Ora più che mai, è imperativo sottolineare l’importanza di aderire a standard scientifici rigorosi. Altrimenti, l’intero campo dell’AI potrebbe essere criticato e tutti noi ne subiremmo le conseguenze”.
La domanda per qualsiasi (umano) che conduce una due diligence sulle opere d’arte è di saperne di più su questi “standard scientifici rigorosi”. Purtroppo, quando gli studiosi sollevano dubbi sulla perfetta affidabilità dell’AI, vengono spesso liquidati come contrari alla tecnologia moderna o come persone che cercano di mantenere il loro potere di autenticazione umana.
L’intelligenza artificiale può davvero sostituire i metodi tradizionali di autenticazione?
Ma l’AI può davvero sostituire i metodi tradizionali? È veramente ormai il “metodo mainstream per l’autenticazione dell’arte”? Allo stato attuale, la gamma di capacità dell’AI è ancora molto limitata. Per fare alcuni esempi: l’AI non può essere utilizzata su sculture, multipli, foto, litografie o stampe. Non può funzionare su dipinti a goccia come quelli di Jackson Pollock o su altra arte moderna o contemporanea che non utilizza pennellate dipinte, che comprende una grande quantità di opere contemporanee. Non può essere utilizzata per gli artisti che hanno una produzione ridotta, come Vermeer, o per gli artisti old master che impiegavano assistenti e collaboratori per aiutare a dipingere le loro opere, come Rubens.
Né funziona per gli artisti che hanno numerosi cataloghi ragionati in competizione tra loro, come Modigliani o De Chirico. Questo fa capire che l’AI richiede che un dipinto sia stato precedentemente autenticato da un umano affidabile in un catalogo ragionato per poter essere inserito nel programma. L’AI non funziona con gli artisti le cui tecniche e il cui stile sono cambiati nel tempo—la maggior parte degli artisti ha variato le proprie tecniche e stili nel corso della propria vita. L’AI non può essere utilizzata per autenticare dipinti danneggiati o restaurati, come il Salvator Mundi. Non può nemmeno valutare i disegni sottostanti allo strato di pittura (underdrawings) perché si basa solo su una fotografia della superficie del dipinto. Poiché l’AI è addestrata a riconoscere lo stile, può solo determinare se un’opera d’arte è nello stile di un certo artista, ma non se è di quell’artista, come è stato riconosciuto da alcuni esperti di AI.
La “scorciatoia” dell’IA per i collezionisti più disperati
Il professor Ahmed Elgamma della Rutgers University e fondatore del gruppo universitario Art and Artificial Intelligence Laboratory è molto più cauto, avvertendo giustamente che “alcune delle affermazioni sull’uso dell’AI nell’autenticazione possono essere esse stesse fraudolente”. Purtroppo, alcuni collezionisti disperati non baderanno a spese per cercare di far autenticare le loro opere e sosterranno volentieri i costi di un test AI, nella speranza che risolva definitivamente quello che a volte è un problema irrisolvibile. Ma anche un certificato AI autentico al 100% non garantisce automaticamente l’autenticità di un’opera senza l’accettazione da parte della comunità scientifica umana.
Occorre un metodo scientifico chiaro
Per me, la questione più urgente è avere un senso più chiaro del metodo scientifico applicato all’AI. Anche se chi promuove AI parla di avere un metodo che garantisca la “trasparenza” del processo, gli studiosi da tempo chiedono alle aziende di AI di essere loro stessi trasparenti sui dataset che scelgono per alimentare la macchina (scelte che sono interamente umane). In un recente podcast, Art Recognition afferma di utilizzare tutte le opere conosciute di un artista per insegnare al computer le opere autentiche, ma è davvero possibile? Raccogliere le immagini di tutte le opere nei musei e quelle custodite nelle collezioni private, per non parlare di quelle perse o danneggiate e restaurate, delle copie in vita e di quelle postume realizzate da altri (e come farebbe la macchina a riconoscere che si tratta di copie?), sarebbe un compito erculeo e forse utopico.
Pertanto, in ogni caso, dovremmo sapere quante e quali opere sono state usate per addestrare la macchina, altrimenti gli specialisti non possono valutare la validità dei test. Come sa bene qualsiasi studioso che conduce una due diligence sulle opere d’arte, l’attribuzione è un compito complesso che può richiedere anni e si basa su numerosi fattori, come la ricerca dettagliata della provenienza, l’analisi scientifica forense e un occhio esperto. Forse la pretesa dell’AI di essere in grado di “autenticare” dovrebbe essere ripensata. Infine, come per tutti i test scientifici, i risultati prodotti da AI devono essere perfettamente ripetibili da un terzo soggetto neutrale che non ha conflitti di interesse e che possa confermare autonomamente la veridicità dei risultati. Sembra che ad oggi l’AI non sia ancora arrivata ad operare da sola.