Raviele: “In Italia, come in Europa, il principio della parità di genere trova origini da lontano. La prima fonte si trova nella Costituzione, che all’art. 37 stabilisce il principio della parità di salario a parità di lavoro”
Le aziende pubbliche e private con più di 50 dipendenti sono tenute a redigere un rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile da inviare entro il 30 aprile ogni due anni
L’Italia, stando ai dati raccolti da Chiara Torino (partner di Toffoletto De Luca Tamajo intervistata da We Wealth), si posiziona tra i primi sei paesi dell’Unione europea in termini di presenza di donne nei board delle società quotate. Complice l’entrata in vigore nel 2011 della legge Golfo-Mosca, che inizialmente imponeva la presenza del 30% del “sesso meno rappresentato” all’interno dei consigli di amministrazione successivamente innalzata al 40% con la Legge n.160/2019. Quando tuttavia si scendono i gradini della scala gerarchica, i gap tendono ad ampliarsi: dati Istat mostrano come le donne manager rappresentino appena il 27% e quelle che rivestono il ruolo di ceo sfiorano il 3%. Dopo aver pubblicato la mappa europea delle nuove norme sulla parità di genere, scopriamo ora tutto ciò che le imprese italiane dovrebbero sapere per essere in regola. E quali gli incentivi disponibili per le più virtuose.
Rapporto biennale sul personale: chi deve redigerlo
“In Italia, come in Europa, il principio della parità di genere trova origini da lontano”, racconta Stefania Raviele, salary partner di De Luca & Partners. “La prima fonte si trova nella Costituzione che all’art. 37 stabilisce il principio della parità di salario a parità di lavoro. Quando parliamo di parità di genere, facciamo poi ovviamente riferimento al Codice delle pari opportunità che di recente ha subito modifiche dalla legge 162/2021 emanata allo scopo di continuare il percorso verso la parità uomo-donna, obiettivo europeo inserito anche nel Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Numerose sono le novità introdotte dalla legge, continua Raviele. Innanzitutto, è intervenuta sull’art. 2 del Codice delle pari opportunità ampliando le fattispecie di discriminazione diretta e indiretta anche a tutela dei candidati in fase di selezione del personale e ampliando anche la nozione di discriminazione facendovi rientrare non solo ogni trattamento ma anche ogni modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro. Poi, è intervenuta sul rapporto biennale sulla situazione del personale maschile e femminile disciplinato dall’art. 40 del Codice delle pari opportunità, abbassando la soglia dimensionale per l’individuazione delle aziende tenute a redigerlo (vale a dire le aziende pubbliche e private con più di 50 dipendenti, ndr) e dettagliandone maggiormente il contenuto.
Certificazione di genere: gli incentivi per le imprese
“La grande novità, però, è l’introduzione della certificazione di genere. Si tratta di una certificazione volontaria che le aziende più virtuose possono richiedere e il cui ottenimento porta con sé dei vantaggi: sia diretti, come il riconoscimento di incentivi e sgravi contributivi; sia indiretti, come l’aumento della brand reputation e del benessere organizzativo che si traduce poi in un aumento di produttività”, osserva Raviele. Nel dettaglio, interviene Torino, la certificazione deve essere redatta secondo la prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 del 16 marzo 2022. La “premialità di parità” prevista per le aziende virtuose consiste in un esonero dalla contribuzione nella misura dell’1% con il limite massimo di 50mila euro e un punteggio premiale nella valutazione di eventuali progetti ai fini della concessione di aiuti di stato e affidamento di appalti pubblici. “L’aspetto veramente interessante di questa novità è in realtà il percorso che le aziende sono chiamate a fare per potersi certificare”, dichiara Raviele. “L’obiettivo è quello di arrivare a un cambio di cultura organizzativa, improntata realmente, in ogni singolo processo, a una politica per la parità di genere. Si tratta di una sfida che per ora sta suscitando interesse. Quali saranno gli effetti reali, potremo però valutarli solo nel lungo periodo”.
Legge Golfo-Mosca sulle “quote rosa”: obblighi e sanzioni
“Il nostro Paese ha introdotto inoltre sin dal 2011 l’obbligo delle cosiddette quote rosa nei consigli di amministrazione delle società quotate”, aggiunge Torino. “Ad oggi, dal combinato disposto della legge n. 120/2011 (c.d. Golfo Mosca), del Dpr n. 251/2012 e, da ultimo, della legge n. 160/2019 (Bilancio 2020), è sancito l’obbligo della presenza di almeno due quinti di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate e un terzo di donne nei consigli di amministrazione delle società pubbliche”. In caso di mancato adeguamento agli obblighi normativi sono previste (previa diffida) sanzioni pecuniarie e, in caso di perdurante inadempimento, è disposta la decadenza dell’intero organo eletto.
Normative sulla parità di genere: cosa manca
“In Italia il gender gap dovrebbe essere considerato alla stessa stregua di un’emergenza sociale”, osserva Raviele. “Il cambio culturale che indubitabilmente è in atto risulta ancora troppo timido. Occorre quindi accelerare il trend in atto e per questo sono auspicabili alcuni interventi urgenti”. Al riguardo, aggiunge, sarebbe sufficiente prendere spunto dai paesi europei ai vertici della classifica in tema di gender equality come l’Islanda, che hanno puntato sulla parità salariale e sul congedo parentale uguale per entrambi i genitori piuttosto che sulle quote rosa. “Si tratta di un’impostazione esattamente opposta a quella seguita dall’Italia che ha sinora perseguito – peraltro, a nostro avviso, senza la necessaria forte determinazione – la via della premialità, piuttosto che quella dell’obbligo. Occorre dunque una normativa mirata che promuova il cambio culturale di cui si avverte necessità e urgenza”, conclude Raviele. Secondo Torino, in particolare, servono norme che incidano sul bilanciamento vita-lavoro e, più specificatamente, su una distribuzione più equa dei compiti di cura tra donne e uomini. E, infine, norme che intervengano sulla presenza di donne nella c-suite (termine che indica le cariche più alte all’interno della società che solitamente iniziano con la lettera “c”, come chief executive officer, chief financial officer, chief operating officer e chief information officer, ndr) oltre che nei board.