Che cosa aspettarsi dal primo semestre del 2025? Un’attenta analisi di quanto è avvenuto nel 2024 può dare più di un’indicazione su quello che è lecito aspettarsi per i prossimi mesi. È quello che ha fatto Raphaël Gallardo, chief economist di Carmignac ripercorrendo i principalieventi nelle diverse aree geografiche. Con un occhio di riguardo agli umori e alle possibili reazioni dei bond vigilantes, i grandi investitori obbligazionari che determinano le loro scelte di investimento in base alla credibilità delle politiche economiche di un Paese. E con grande attenzione anche all’inflazione che ha giocato un ruolo anche sugli orientamenti degli elettori, alla ricerca di modelli economici più inclusivi e attenti ai loro bisogni immediati, con strategie di redistribuzione e protezionismo che possono scalzare il modello del libero mercato finora imperante.
Le promesse elettorali del 2024 e il banco di prova fiscale del 2025
Il 2024 è stato “il più grande anno elettorale della storia” con quasi il 40% della popolazione mondiale, che rappresenta il 60% del PIL globale, chiamato alle urne e con il risultato finale che circa l’80% dei governi è stato travolto da un’ondata populista di dimensioni globali, sottolinea Gallardo. Molte le cause di questa situazione: dal crescere delle disuguaglianze negli ultimi decenni a una quasi stagnazione dei salari reali. Ma la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’inflazione del periodo 2021-2023.
Con il 2025 si prospetta, quindi, un banco di prova decisivo per le politiche di bilancio che dovranno essere attuate dai leader populisti in primis: è quello della realtà fiscale a fronte delle promesse politiche di lotta all’inflazione con cui hanno superato la prova elettorale. Se tali politiche di bilancio dovessero mostrarsi insostenibili i grandi investitori obbligazionari potrebbero alleggerire le loro posizioni. La conseguenza di questa mossa? Una massa di titoli obbligazionari sul mercato che può fare aumentare i costi di finanziamento e indebolire i tassi di cambio.
Gli USA e i rischi di una crescita non inclusiva
L’etichetta di populista non è una novità per il neoeletto presidente degli Stati Uniti. Per questo molti si aspettano che il ritorno di Donald Trump porti con sé l’inasprimento delle politiche migratorie e dei dazi sulle importazioni, a discapito dell’offerta dell’economia USA. La promessa riduzione delle tasse e la deregulation avrebbero, invece, un ruolo di stimolo per la domanda interna “mantenendo la crescita dell’economia intorno al 2,5%, ma con un’inflazione persistente superiore all’obiettivo e tassi di finanziamento reali elevati, in particolare per le famiglie a basso reddito.
Questa crescita “non inclusiva” esaspererà le frustrazioni sociali che hanno mobilitato la coalizione elettorale di Trump” mette in guardia l’economista di Carmignac che aggiunge anche che il mantenimento delle promesse elettorali con un mercato obbligazionario inondato di titoli e un dollaro forte spingerà all’abbandono della mera retorica populista e potrebbe dare il via a scelte non convenzionali e dagli esiti di difficile previsione: dalla svalutazione del dollaro all’emissione di war bond per i partner Nato.
Eurozona: la crisi francese e il possibile contagio
La crisi politica e istituzionale della Francia rischia di diventare anche una crisi finanziaria con dimensioni globali, se si pensa alla diffusione delle obbligazioni sovrane francesi nei portafogli globali e alla forte presenza internazionale delle banche francesi. Per salvare la Francia l’Unione Europea non avrebbe per ora molte frecce al suo arco (quelle utilizzate per la crisi greca come fondo salva-Stati, OMT, scudo anti-spread non sono attivabili).
“Soprattutto, l‘attuale impasse certifica 25 anni di incapacità dell’Unione Europea di imporre i meccanismi di disciplina fiscale agli Stati dell’Eurozona, una condizione vitale per un’unione monetaria sostenibile” commenta Gallardo. Inoltre la Francia, sottolinea l’esperto di Carmignac, non può né sgonfiare il proprio debito né svalutare la moneta come potrebbero fare gli Usa, con conseguenti ripercussioni sull’economia reale e sul mercato del lavoro in particolare.
Gli ostacoli per il rilancio della spesa al consumo in Cina
L’orientamento sulla Cina rimane necessariamente prudente. La gestione della deflazione da debito, infatti, viene effettuata con minime politiche di stimolo dell’economia da parte del governo asiatico. A dire il vero delle iniziative sono state intraprese nel settore immobiliare ma limitate alle grandi città e quindi non in grado di avere effetti significativi sull’intero Paese.
L’attuazione delle misure di stimolo all’economia annunciate a marzo potrebbe dare un cambio di direzione a questa situazione. Per il governo cinese la priorità al momento sembra essere quella di fare sviluppare un’economia non attaccabile da sanzioni e votata all’esportazione di tecnologie all’avanguardia. E le politiche di sorveglianza sulla popolazione per ora tengono a bada il malcontento sociale, conclude l’analista.