L’arrivo di Trump alla casa Bianca preannuncia forti conseguenze anche per l’Europa. Non si tratta di una novità, ma solo della seconda stagione di una serie molto seguita, tutto fa pensare che l’Europa ne risulterà sempre più isolata. Ma mentre il tycoon si prepara a rimettere in discussione gli equilibri dell’alleanza atlantica e minaccia dazi anche per il Vecchio continente, l’Europa si vede costretta a fronteggiare anche problemi e instabilità interne.
Eurozona: l’instabilità che arriva dall’interno
Accanto alla prospettiva già allarmante di dazi statunitensi tra il 10% e il 20% sui prodotti che arrivano e vengono prodotti dall’Europa, l’incertezza politica interna e gli shock di crescita, lasciano il Vecchio continente sul chi va là per il 2025, facendo riflettere i responsabili politici che cercano di navigare un contesto di inflazione potenzialmente elevata.
Per i prossimi mesi l’incertezza politica è destinata a rimanere un tema chiave, con le elezioni in Germania a febbraio, che potrebbero definire il futuro manifatturiero europeo, e la Francia alle prese con il suo bilancio. “Il futuro del freno all’indebitamento in Germania è messo in discussione, ma ci aspettiamo che l’allentamento fiscale prenda piede in tutta Europa”, spiegano gli esperti di Capital Group.
Banca centrale europea: agire, ma a che costo?
Dopo meno di ventiquattro ore dal rientro di Trump alla presidenza, sono già chiari i primi effetti, come l’intenzione di uscire nuovamente dall’Agenda di Parigi. Gli effetti di una simile decisione non possono che impattare le decisioni che dovrà prendere l’Europa sul tema sostenibilità: finanziare la transizione rimane una priorità e l’assenza del supporto americano, implicherà investimenti più ingenti per gli altri Paesi.
In generale, si prevede che la Banca centrale europea continuerà ad allentare la pressione per sostenere la crescita economica che per il 2025 è stata rivista leggermente al ribasso all’1,1%. A dicembre, dopo un nuovo taglio da 25punti base, i responsabili politici hanno ribadito che il processo di disinflazione in corso non è ancora pronto a finire: si prevede che nel 2025 l’inflazione riuscirà a scendere fino al 2,1%, molto vicino all’obiettivo della Bce.
A rimanere appiccicosa ci penserà però l’inflazione dei servizi, che sembra stia avendo particolare difficoltà a scendere.
L’obiettivo principale della politica di allentamento è quello di sostenere la crescita economica. Nell’Eurozona, la minaccia di un potenziale aumento dei dazi statunitensi deve essere bilanciata dai progressi compiuti nell’affrontare l’inflazione dei servizi, ancora elevata, e la crescita dei salari. Rispetto al successo statunitense, le condizioni del mercato del lavoro dell’Eurozona continuano a registrare alcuni segnali di allentamento, mentre la disinflazione dei beni di base rimane intatta. Allo stesso tempo, la vischiosità dell’inflazione dei servizi potrebbe rendere più lento l’ultimo tratto del processo disinflazionistico.
In ogni caso, nonostante i dubbi e i rischi sia esterni che interni, “abbiamo visto l’Europa reagire in modo coerente di fronte a una crisi e riteniamo che i meccanismi siano pronti per affrontare queste sfide”, concludono gli esperti.