Il mercato azionario globale è stato attraversato da un’ondata rossa, se non addirittura nera, da quando il 2 aprile i dazi statunitensi hanno effettivamente visto la luce. Dopo il picco toccato il 19 febbraio, l’indice S&P500 è crollato di più del 10% in pochi giorni. I mercati, nel loro insieme, hanno bruciato 9.500 miliardi di dollari in tre giorni. Un simile affondamento non può che aver attirato subito l’attenzione e la preoccupazione degli investitori che hanno optato per un sell-off dei titoli statunitensi ruotando verso altri mercati azionari.
Ma questo crollo del mercato significa che l’eccezionalismo americano è finito? Che è veramente arrivato io momento per gli investitori di guardare fuori dai confini a stelle e strisce?
Dall’Europa all’Asia, senza però ignorare completamente l’America
Fino a dicembre scorso le Magnifiche 7 statunitensi sono state le protagoniste assolute della corsa del mercato verso i massimi storici, eppure sono state proprio loro a subire la correzione più importante con l’arrivo dei dazi di Trump, perdendo complessivamente 1.800 miliardi di dollari di capitalizzazione. Tra tutte, Apple ha registrato il crollo maggiore, bruciando oltre 533miliardi di dollari in valore di mercato. Mentre Tesla, in crisi fin da quando Musk ha iniziato la sua avventura di governo al fianco del tycoon, è stata la peggior performer in termini percentuali tra le sette.
Però è bene ricordare che investire negli Stati Uniti non significa per forza guardare solo alle Magnifiche 7: tra le large cap Usa c’è una serie diversificata di candidati che hanno la possibilità di crescere e occupare un ruolo dominante nel portafoglio degli investitori. “Non scarterei il potere delle società che hanno un’intelligenza artificiale, ma non sono in grado di gestire il mercato”, spiega Anne-Marie Peterson, equity portfolio manager di Capital Group. “Ma in generale sono ottimista sul fatto che gli Stati Uniti siano il miglior terreno di caccia per trovare la prossima ondata di società a grande capitalizzazione in grado di espandere il proprio valore di mercato”, continua l’esperta.
Azionario Usa: cambio al vertice, ma non uno stop
A partire dal 2009, le società statunitensi si sono riprese con una forza inedita dalla grisi finanziaria globale. E da allora questi titoli hanno generato utili di gran lunga superiori alle società non statunitensi. Per raggiungere un simile obiettivo, però, non basta avere una crescita produttiva costante, ma anche le norme statali giocano un ruolo centrale e la deregolamentazione statunitense è senza dubbio stata un ingrediente insostituibile.
In quest’ottica le Magnifiche 7 sono solo le ultime arrivate: prima dell’ascesa dei giganti tecnologici, gli indici di mercato statunitensi erano dominati da aziende come Intel, Citigroup e General Electric. Guardando indietro negli anni i leader del mercato cambiano sempre e i leader di un decennio possono non essere in grado di mantenere la propria posizione anche nel decennio successivo.
In tal senso, “le singole società del gruppo delle 7 potrebbero continuare a fornire agli investitori rendimenti e crescita degli utili superiori. Ma riteniamo che gli investitori debbano adottare una visione più ampia per il futuro“, sottolinea Peterson.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di costruire un portafoglio a prova di cambiamento del ciclo economico e della leadership di mercato. Esistono già a disposizione degli investitori opportunità per scoprire aziende scalabili e dominanti in settori meno centrali. Solo per fare due esempi: Costco ha costruito un modello duraturo nel settore degli alimentari, sviluppando una piattaforma di vendita online per contrastare la concorrenza di Amazon nel settore degli alimentari; Synopsys, che sarà per molti un nome non familiare, è in attività da quasi quarant’anni e nasce come progettatrice di wafer in silicio, ruolo che potrebbe metterla in una posizione centrale nella produzione di chip.