- Nel 2023 le startup fondate esclusivamente da donne hanno raccolto solo l’1,8% del capitale totale investito
- Occorre strutturare concretamente dei processi che evitino la presenza di bias nei processi di selezione, lavorando sulle competenze
L’affermazione di nuove frontiere tecnologiche, nel corso della storia, ha innescato ondate concomitanti di ottimismo, scetticismo e, in alcuni casi, di resistenza. L’avvento dell’intelligenza artificiale – e in particolare di quella generativa – non fa eccezione. Ma c’è un rischio sottostante che certamente va monitorato. Nonostante l’Ai abbia dimostrato e continui a dimostrare il suo potenziale nel promuovere lo sviluppo, nella maggior parte di questi strumenti risiedono stereotipi di genere che rischiano di esacerbare le disuguaglianze esistenti. Anche in finanza. “L’intelligenza artificiale si basa sulle informazioni esistenti nei nostri database, informazioni che rappresentano una realtà storica ricca di bias”, spiega a We Wealth Darya Majidi, presidente di UN Women Italy, comitato nazionale accreditato dalle Nazioni Unite che promuove l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile, e ceo di Daxo Group, società di consulenza strategica di digital transformation.
“Basti pensare ai dati inerenti alle imprese innovative a conduzione femminile, che in Italia rappresentano circa il 12% del totale. Se l’Ai fa leva su questi numeri, è chiaro che nel momento in cui le si chiedono le caratteristiche tipiche di un imprenditore, esalterà le caratteristiche maschili. Allo stesso modo, se le si chiede di disegnare una persona di successo, disegnerà sempre un uomo. E se le si chiede esplicitamente di disegnare una donna di successo, disegnerà una donna attraente, magra, bianca, con tutti gli stereotipi del caso nell’immagine. Tutto questo, in senso più ampio, può avere conseguenze gravi nel mondo della finanza, dei fidi bancari o del reclutamento”, sostiene Majidi.
Startup a caccia di fondi per crescere
Secondo una recente analisi di Pitchbook sull’Europa, nel 2023 le startup fondate esclusivamente da donne hanno raccolto solo l’1,8% del capitale totale investito, per esempio. “E questo accade nonostante i dati dicano che le imprese femminili siano meno rischiose e guidate con un maggiore senso di eticità, continuità e sostenibilità”, afferma l’esperta. Il problema, secondo Majidi, innesta le sue radici su due fronti: da un lato le donne tenderebbero a presentare un minor numero di domande, dall’altra i panel di investitori sono composti quasi interamente da uomini. “Io l’ho vissuto sulla mia pelle”, racconta Majidi. “Un investitore della mia prima azienda richiese che l’amministratore delegato fosse un uomo e che io rivestissi unicamente il ruolo di presidente. Un ruolo meno operativo, insomma. Credo che sia un problema di fondo del private equity italiano e che rischia di venir esacerbato dall’intelligenza artificiale, se non si corre ai ripari”, avverte l’esperta.
Majidi: includere prospettive non solo femminili
In altre parole, se i dati selezionati per addestrare questi sistemi sono incompleti, sporchi, imparziali, scorretti e colmi di bias, di conseguenza i contenuti saranno a loro volta colmi di bias, errori e pregiudizi. Anche negli strumenti di intelligenza artificiale diventa dunque necessario scardinare gli stereotipi di genere, favorendo la costruzione di narrazioni in cui tutti e tutte possano riconoscersi. “Chi oggi sceglie, controlla e gestisce questi dati sono uomini. Quando si creano sistemi di intelligenza artificiale basati sul machine learning, occorre invece adottare un approccio multidisciplinare e inclusivo, includendo le conoscenze, competenze e prospettive non solo femminili ma delle minoranze nella loro totalità”, suggerisce Majidi.
Secondo il World Economic Forum, aumentare la partecipazione femminile nella forza lavoro, in particolare nei ruoli legati all’intelligenza artificiale, rappresenta un altro tassello di questo cammino. Senza dimenticare però che il 99% delle aziende Fortune 500 utilizza attualmente sistemi automatizzati nei processi di selezione. “Occorre strutturare concretamente dei processi che evitino la presenza di bias anche in queste fasi, lavorando sulle competenze. Solo così l’adozione dell’intelligenza artificiale può aiutare a riequilibrare anche il mondo del lavoro”, conclude Majidi.
(Articolo tratto dal n° di maggio 2025 di We Wealth.
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