Le possibilità di un atterraggio morbido dell’economia “sono aumentate decisamente”, ha affermato mercoledì 18 gennaio il presidente della Fed di St. Louis, James Bullard, uno dei “falchi” più in vista del Fomc. Le ragioni di ottimismo si sono consolidate ulteriormente con i nuovi dati macro dall’economia statunitense: a dicembre l’indice dei prezzi alla produzione, considerato anticipatore di quelli al consumo, è sceso dello 0,5% sul mese, il calo più ampio dall’inizio della pandemia. E’ una contrazione decisamente superiore al -0,1% previsto dagli analisti sondati da Bloomberg, nonché un ribasso più forte rispetto a quello osservato dall’indice generale dei prezzi al consumo nello stesso periodo. Il prezzi alla produzione di fondo, che escludono le componenti più volatili del paniere, hanno visto un rallentamento al +0,1% mensile e al +5,5% annuo.
Parallelamente si sono ridotte più del previsto anche le vendite al dettaglio, ma non tanto per un calo della domanda quanto come conseguenza del notevole abbassamento nei prezzi della benzina. Il dato ha visto un calo delle vendite pari all’1,1%, che testimonia un abbassamento generale dei consumi favorevole alla Federal Reserve, se l’obiettivo è quello di abbassare l’inflazione. Anche il dato relativo alle vendite al dettaglio di novembre è stato rivisto al ribasso da -0,6 a -1%.
“I dati macroeconomici pubblicati oggi [18 gennaio] confermano che le mosse restrittive in politica monetaria della Federal Reserve cominciano ad avere effetto anche sull’economia reale”, ha affermato a We Wealth il senior market strategist di IG Italia, Filippo Diodovich, “crescita dei prezzi alla produzione in rallentamento e il calo delle vendite al dettaglio sono un chiaro segnale che l’economia statunitense sta evidenziando un raffreddamento”. Si tratta di segnali, dopo il dato positivo sull’indice dei prezzi al consumo, che “aumentano le possibilità che la Fed possa aumentare i tassi di interesse nel prossimo meeting di soli 25 punti base”, ha aggiunto Diodovich.
Mentre il mercato del lavoro rimane solido, con i prezzi offrono segnali di rallentamento, le possibilità di gestire in modo meno traumatico le scelte di politica monetaria aumentano. Anche per questo il Nasdaq Composite, indice al cui interno vi sono alcuni dei titoli più reattivi all’andamento dei tassi, in apertura di seduta, ha salutato con favore i dati macro che potrebbero convincere il Fomc ad allentare la presa più in fretta. La notizia che Microsoft ridurrà il suo personale di 10mila unità entro marzo (pari a meno del 5% della sua forza lavoro), però, ha invertito le sorti della seduta e lanciato un campanello dall’allarme sulle sfide che le società tecnologiche dovranno affrontare nei prossimi mesi. Microsoft aveva previsto meno di mille licenziamenti la scorsa estate. Anche Amazon e Salesforce avevano già annunciato tagli al personale.
Back to Europe: Orcel (Unicredit) non vede una grave recessione
Nel frattempo, dal Vecchio Continente i dati sull’inflazione hanno confermato un trend di abbassamento. Nel Regno Unito l’inflazione mensile di dicembre è rimasta in crescita dello 0,4% (ma con un calo annuo da 10,7 a 10,5%). Per quanto riguarda l’Eurozona il dato definitivo di dicembre ha confermato la stima preliminare a +9,2% su base annua e un calo mensile dello 0,4% (superiore di un decimale alle attese). Gli elementi però non bastano a convincere gli analisti sul fatto che Bce e BoE cambieranno rotta: “Bce e BoE continueranno ad aumentare il costo del denaro almeno fino a maggio-giugno quando i due istituti monetari potranno rivalutare la situazione macroeconomica e stabilizzare i tassi di interesse”, ha affermato Federico Vetrella di IG Italia.
A margine del World Economic Forum di Davos è intervenuto sulle prospettive dell’economia europea anche il ceo di Unicredit, Andrea Orcel, per il quale “potrebbe non esserci una recessione” nell’Eurozona. Secondo l’ad il compito della Bce è “difficile” in quanto deve affrontare un’inflazione di origine diversa rispetto a quella degli Stati Uniti. L’aumento dei tassi, infatti, non ha il potere di ridurre i prezzi energetici che hanno avuto così grande peso sui costi delle famiglie e delle imprese europee. Pertanto “quello che [alla Bce] stanno cercando di fare per affrontare l’inflazione è bloccare il resto della domanda, ma ovviamente questo ha un impatto sproporzionato sull’economia lontana da quelle commodity”.
Secondo Orcel una stretta monetaria sopra il 2%, il livello attuale del tasso sui depositi, potrebbe avere “effetti indesiderati in futuro” ma “detto questo, ora ci sono rumor che avremo un aumento dei tassi di 50 punti base ora e poi uno di 25 e non più di 50 per adattarsi alla nuova realtà”.
Scampare una recessione avrebbe ricadute positive anche per il business bancario, in quanto verrebbe meno il timore di un forte peggioramento della qualità dei crediti erogati – ossia, le difficoltà di restituzione dei debitori non dovrebbero aumentare come paventato ripetutamente dalle autorità di vigilanza europee. Orcel non ha riscontrato “un peggioramento della qualità del credito o difficoltà nei pagamenti’, sulla base dei dati di dicembre, piuttosto “a ottobre, novembre e dicembre abbiamo visto un aumento della cautela: vengono rimandati alcuni investimenti e non si prendono mutui o credito al consumo”.