Nel secondo principio di richiede che ogni caratteristica del prodotto rispetti il criterio di value for money per il suo target market specifico e che i produttori testino in modo adeguato le polizze per verificare che le stesse offrano un buon rapporto costi benefici. Si pone così una stretta relazione tra value for money e le caratteristiche, i bisogni e gli obiettivi della categoria di clienti a cui ci si rivolge. L’analitica scomposizione del prodotto nelle sue diverse caratteristiche consente infatti di adattare lo stesso verso il corretto mercato di riferimento. Ciò è di grande rilevanza se si considera il settore del private banking ove appaiono ragionevoli costi legati a prodotti complessi, con gestione attiva, con un più ampio spettro di coperture volti a soddisfare bisogni specifici di un cliente più esigente, che invece perderebbero di ragionevolezza all’interno di un prodotto retail volto alla conservazione del capitale ed avente funzione di previdenza integrativa. Sul punto meritano comunque attenzione le osservazioni dell’Eiopa sui costi di distribuzione, pagati dal cliente in modo indifferenziato sul premio, che potrebbero creare il rischio di essere inadeguati nell’ottica del rapporto costi/ benefici. Se per un verso l’Autorità fa bene a sottolineare la natura “trasversale” dei costi di distribuzione, per l’altro non sembra condivisibile nella parte in cui non coglie che, a loro volta, i costi di distribuzione sono, o dovrebbero essere, direttamente riconnessi al livello di servizio fornito al cliente in termini di assistenza che, infatti, dovrebbe essere direttamente proporzionato alla tipologia del prodotto e alla complessità dei bisogni che il cliente finale intende perseguire.
Nel terzo principio ci si focalizza sul dovere di rivedere su base continuativa i costi e le spese, le prestazioni e la tipologia dei servizi offerti. Ciò fa del pari con l’esigenza dei contraenti delle polizze di attendersi rendimenti che siano in linea con quelli offerti dal mercato nel lungo periodo. Il faro si sposta sui “sottostanti” e quindi sul grado di efficienza finanziaria e sui criteri con cui vengono selezionati gli assets in modo da formare risultati che siano confrontabili con prodotti analoghi presenti nel panorama dell’offerta.
Il quarto principio è volto ad assicurare che le unit linked commercializzate in modo massivo nel settore retail siano, in quanto tali, facilmente comprensibili dai distributori e dai clienti finali. Naturalmente ciò va di pari passo con la semplicità della struttura dei prodotti e quindi con un limitato numero di opzioni selezionabili dal cliente. Su ciò incide il livello di educazione finanziaria richiesto per la comprensione del prodotto unit linked che viene ritenuto più alto rispetto a quello che necessitano prodotti finanziari simili, come ad esempio i fondi comuni, che però per l’appunto sono privi della componente assicurativa. Ci si augura che gli esiti di questa consultazione, che si concluderà il 16 luglio, offrano importanti indicazioni per tutti gli attori del mercato e che dal documento finale emergano indirizzi chiari e soprattutto facilmente applicabili da tutti gli operatori europei in modo omogeneo.
Articolo tratto dal magazine We Wealth di luglio-agosto 2021