Lo choc da pandemia ha avuto effetti asimmetrici, rendendo più profonda la spaccatura tra mondo industrializzato ed emergente, con l’Asia che prende il volo e il Vecchio continente che arranca. L’Italia, dove impazza il dibattito sulla libertà di scelta per il vaccino anti-Covid  – e su come spendere i soldi dell’Europa su temi da libro dei sogni – rischia di subirne le più pesanti conseguenze
In Italia la nostra classe politica, aiutata dai media, difficilmente alza lo sguardo oltre l’orizzonte, anche quello più ovvio, che comprende i vicini di casa, le economie emergenti e in generale lo stato del mondo e delle relazioni internazionali. Da noi il lockdown ha portato conseguenze intellettuali preoccupanti perché ha avuto su governo e opposizione l’effetto di un ripiegamento devastante sui problemi interni senza riuscire a collegarli alla situazione internazionale, se non per l’immancabile riferimento a Bruxelles e al sacro Graal del Recovery Fund. Grazie anche a un gruppetto che scrive sui giornali – ma che ben si guarda dall’uscire di casa – da noi si difende la libertà di scelta sul vaccino anti-Covid persino di categorie a rischio: con questo l’Italia si pone alla testa del declino occidentale che la pandemia sta accelerando.
Non lo diciamo noi ma un rapporto dell’Ispi, l’Istituto di studi politica internazionale. La crisi del Covid, scrivono Jean-Paul Fitoussi e Francesco Saraceno, non ha colpito tutti paesi allo stesso modo. Da tempo abbiamo capito che gli shock simmetrici hanno quasi sempre delle conseguenze asimmetriche. Se già all’interno di zone omogenee (come la zona euro) le differenze sono marcate, ciò che colpisce è soprattutto la differenza tra macroregioni. Nell’ottobre scorso il Fondo monetario nel suo World Economic Outlook prevedeva nel 2020 un calo del Pil del 5,8% per i paesi avanzati (tra questi, -8,3% per l’eurozona e -4,3% per gli Stati Uniti). I paesi del gruppo emerging and developing Asia faranno invece molto meglio (- 1,7%); la Cina, che ha mandato in lockdown solo la regione di Wuhan all’inizio dell’anno, riesce addirittura (sempre nella previsione dell’Fmi) ad avere crescita positiva (+1,9%). Queste stime risalgono a prima della seconda ondata. È probabile che questa, che ha colpito in maniera più marcata Europa e Stat Uniti, aumenti ulteriormente la divergenza. Non solo la crisi ha colpito più duramente i paesi avanzati; Il rimbalzo previsto sarà più marcato nei paesi asiatici emergenti (+6,3% nel 2021) che nell’Eurozona (+5,2%) o negli stati Uniti (+2,9%). Come si spiega questa capacità di reagire a uno shock esterno?
Il principale fattore che ha giocato a favore delle economie asiatiche è la maggiore efficienza nel contenere la crisi sanitaria. In primo luogo, le autorità sanitarie hanno quasi ovunque reagito con prontezza alla crisi. Poi, una volta riportata sotto controllo la pandemia hanno messo in atto misure efficienti di test e tracciamento. Su entrambi i fronti i paesi asiatici hanno fatto meglio rispetto ad altre regioni, probabilmente a causa dell’esperienza nel fronteggiare precedenti pandemie. Per questo la seconda ondata è stata molto meno violenta e nel caso cinese virtualmente inesistente. Così la regione ha potuto ripartire prima e, soprattutto, consolidare la ripresa del secondo trimestre mentre il resto dell’economia mondiale rientrava in sia pur parziali lockdown. Inoltre, la ripresa asiatica è stata stimolata dal boom di esportazioni di apparecchiature e forniture mediche e sanitarie e dalle esportazioni di elettronica e prodotti per la casa, la cui domanda mondiale è aumentata durante la pandemia. Aver potuto evitare la caduta del Pil autunnale, oltre all’ovvio impatto sulla crescita dell’anno in corso, ha limitato i danni permanenti all’economia. Le economie asiatiche non hanno subito l’ondata di fallimenti che in alcuni paesi era stata evitata nel primo semestre ma sta colpendo inesorabile in questa fine d’anno. La base su cui costruire il rimbalzo del 2021, dunque, è più solida di quanto non sia in altre regioni. Ma ci sono altre cose in questo rapporto dell’Ispi da sottolineare che per noi e l’Europa non sono buone notizie. L’impatto della pandemia sui nostri vicini del Mediterraneo del Nordafrica è gigantesco: abbiamo già un centinaio di milioni di nuovi poveri intorno a noi e nel mondo arabo quasi la metà della popolazione è al di sotto della soglia di povertà , con una disoccupazione media che è il doppio di quella globale. Con il crollo della domanda energetica e dei prezzi petroliferi intere nazioni non saranno più in grado di finanziare spesa pubblica e program- mi di welfare per sostenere la popolazione in difficoltà . È facile intuire che ci sarà una ripresa dei flussi migratori: basti pensare che in Tunisia la crisi del turismo ha prodotto 400mila nuovi disoccupati su 11 milioni di abitanti e le stesse rimesse dei migranti hanno registrato un calo del 20%. Oltre alle migrazioni è probabile un’ondata di instabilità politica e sociale che si accompagna a quella già presente e cronica in Paesi come Libia, Iraq, Yemen, Siria dove sono in corso conflitti. Ecco che in questo quadro dobbiamo discettare se sia il caso o meno di vaccinarsi mentre Paesi più accorti di noi come la Germania (ma non solo) si procurano maggiori dosi di vaccino e soprattutto hanno piani logistici e di distribuzione più efficienti dei nostri. Per non parlare dei politici che litigano su come spendere i soldi europei e che di questo passo, senza attuare progetti esecutivi concreti invece di scrivere dei libri dei sogni, dovremo restituire o rinunciare a utilizzare come è accaduto anche nel recente passato con i fondi strutturali. Ma qui da noi la colpa, si sa, è sempre degli altri.
(Articolo tratto dal magazine We Wealth di gennaio 2021)
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