Considerato che l’ordinamento italiano non prevede una disciplina specifica dell’istituto, secondo quanto stabilito dalla stessa Convenzione, è il disponente che, nell’atto istitutivo, individua a quale tra le normative estere esistenti affidare la regolamentazione del trust. Accade, così, frequentemente che, nel pieno rispetto della legge regolatrice prescelta, si proceda all’istituzione di tipologie particolari di trust come, ad esempio, nel caso di trusts auto-destinati e auto-dichiarati. Il trust auto-destinato è contraddistinto dalla coincidenza della figura del disponente con quella del beneficiario (o, di uno dei beneficiari); il trust statico o auto-dichiarato, invece, è caratterizzato dall’assenza di un trasferimento di ricchezza, attesa la coincidenza soggettiva tra disponente e trustee. In tale ultima struttura è lo stesso disponente a dichiararsi trustee di beni che già gli appartengono, in tal modo apponendo sugli stessi il vincolo di destinazione proprio del trust.
Agenzia delle Entrate, risposta ad interpello 15 febbraio 2021, n. 106
L’Agenzia delle Entrate si è recentemente espressa in materia di trust auto-destinato. La risposta a interpello diramata lo scorso 15 febbraio, in particolare, rappresenta il definitivo allineamento dell’amministrazione al già consolidato orientamento giurisprudenziale tributario di legittimità in materia di fiscalità indiretta del trust. Infatti, dopo aver confermato che l’unico trasferimento potenzialmente assoggettabile a imposta sulle successioni e donazioni, in caso di trust, è rappresentato dall’attribuzione finale del bene ai beneficiari, l’amministrazione ne ha escluso l’applicabilità, per carenza del presupposto oggettivo, in ipotesi di trust auto-destinati. Richiamando la sentenza della Corte di Cassazione n. 10256 del 29 maggio 2020, infatti, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che: “L’assenza di un trasferimento intersoggettivo preclude l’applicazione dell’imposta di donazione per carenza del presupposto oggettivo di cui all’articolo 1 del citato decreto legislativo, mancando un trasferimento di ricchezza”.
Corte di Cassazione, ordinanza 16 febbraio 2021, n. 3986
All’indomani della risposta n. 106 si è registrato un ulteriore intervento in materia di fiscalità diretta del trust. Con riferimento, stavolta, ad un trust auto-dichiarato, la Suprema Corte ha ribadito, una volta per sempre, che l’atto di dotazione del trust non può essere assoggettato a imposta proporzionale a prescindere dal fatto che nell’atto istitutivo siano già stati individuati i beneficiari finali del trust fund. Anche in tale ipotesi, chiosa la Corte, per l’applicazione dell’imposta dovrà attendersi l’effettivo trasferimento a tali soggetti dei beni e/o dei diritti oggetto di trust.
Legittimità interna del trust auto-destinato e auto-dichiarato
Diversamente da quanto avvenuto negli ordinamenti di common law, in paesi come l’Italia la questione dell’ammissibilità delle peculiari tipologie di trust in esame ha incontrato, sin da subito, non poche resistenze. Mentre il riconoscimento del trust interno auto-destinato è stato pacificamente accolto in quanto derivante dalla stessa Convenzione (art. 2, ultimo comma), maggiori sono state le difficoltà riscontrate per i trust statici, la cui struttura è parsa, agli occhi dei più conservatori, poco “convenzionale”. Se nella versione originaria della Convenzione, infatti, l’art. 2, si limitava a ricondurre l’istituto ai rapporti giuridici «trasferiti a o trattenuti da» un trustee, la disposizione definitiva ha circoscritto i confini del trust ai soli rapporti giuridici istituiti «da un soggetto, il disponente, qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee». Con il preciso intento -secondo parte della dottrina – di distinguere, dal punto di vista soggettivo, la figura del “disponente” da quella del “trustee”.
L’ultima parola, come sempre, è spettata alla giurisprudenza che, con le molteplici posizioni assunte nel corso degli anni, solo all’apparenza ondivaghe e contraddittorie, ha contribuito in maniera decisiva al mutamento di approccio alla questione da parte degli operatori del settore. Dalle pronunce susseguitesi negli anni, infatti, emerge un dato univoco: non è la struttura auto-destinata o auto-dichiarata a determinare la qualificazione di un trust come sham (i.e. ripugnante), dovendosi, invece, avere riguardo all’eventuale contrarietà del suo scopo alle norme inderogabili dell’ordinamento interno.
Infatti, sono gli stessi articoli 15, 16 e 18 della Convenzione a subordinare il riconoscimento del trust – a prescindere dalla struttura – alla sua compatibilità con le norme imperative, di “applicazione necessaria” e di ordine pubblico. È in quest’ottica, dunque, che devono interpretarsi quegli orientamenti giurisprudenziali di legittimità che, in alcuni casi, hanno ritenuto il trust auto-dichiarato “affetto da nullità rilevabile di ufficio, in nessun modo differendo la proprietà del “Trustee” da quella piena, per violazione dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja dell’I luglio 1985, resa esecutiva in Italia con L. n. 364 del 1989”. E in molti altri, all’opposto, ne hanno ammesso l’ammissibilità in ragione della propensione di tale strumento a “rispondere a finalità eterogenee: di garanzia; di liquidazione e pagamento; (…) ovvero, ancora, a seconda che il trustee ed il beneficiario vengano individuati in soggetti terzi oppure nello stesso disponente (c.d. trust auto-dichiarato)”.
A conferma delle conclusioni cui è giunta la giurisprudenza maggioritaria, del resto, basti pensare che lo stesso legislatore, con la legge n. 112/2016 (Dopo di noi) non solo ha espressamente riconosciuto ai genitori di persone con disabilità la possibilità di costituire trust auto-dichiarati, ma ha, altresì, incoraggiato il ricorso a tali strutture prevedendo particolari sgravi fiscali, esenzioni ed incentivi.