A distanza di due settimane dalle elezioni presidenziali si susseguono i rumor sulla politica fiscale del presidente Donald Trump. È chiaro che le tante promesse della campagna elettorale devono trovare un’adeguata copertura finanziaria e, che tutto, nell’immediato futuro possa cambiare.
Tuttavia, è lecito effettuare alcune previsioni di quella che potrebbe essere la linea, che la nuova amministrazione Trump 2.0, andrà a adottare nel primo anno del suo mandato.
Le sfide dei primi 100 giorni dell’amministrazione Trump 2.0
Considerando che la tradizione nazionale, risalente ai tempi del presidente Franklin D. Roosevelt, individua, nei primi 100 giorni della nuova presidenza, la cartina al tornasole
per misurare il successo iniziale della linea politica adottata.
È dunque assai probabile che in prima battuta l’amministrazione repubblicana sarà concentrata a trovare le coperture finanziarie per il prolungamento delle disposizioni del Tax cuts and jobs act (Tcja), emanate dallo stesso Trump nel 2017, che scadranno alla fine del 2025. Il cui costo, secondo un recente report del Congressional Budget Office (Cbo), si aggira intorno ai $4,6 trilioni di dollari, per il decennio 2025/2034.
Il programma economico di Trump 2.0: tagli fiscali e dazi
In campagna elettorale Trump ha più volte sostenuto che i nuovi tagli fiscali saranno sostenuti dall’abrogazione dei crediti per l’energia verde dell’Inflation Reduction Act dell’attuale presidente Biden, dai tagli ai finanziamenti per il programma sanitario Medicaid, per gli americani a basso reddito, e, soprattutto, dai dazi d’importazione un pilastro fondamentale del suo programma economico durante la sua prima amministrazione.
Durante i numerosi comizi elettorali il neoeletto presidente ha prospettato un sistema di dazi così articolato: un dazio generalizzato al 10%, uno al 20% su alcuni beni, nonché un dazio del 60% sui prodotti provenienti dalla Cina, uno dei principali partner commerciali degli Stati Uniti.
Impatto economico globale: dazi e ripercussioni sull’Europa
Secondo una stima del Tax policy center, un think tank apolitico con sede a Washington Dc, l’ipotesi più plausibile prevederà un dazio generalizzato del 10% e uno del 60% sulle importazioni cinesi: questo sistema dovrebbe generare circa $3,8 trilioni di dollari di entrate tariffarie lorde nei prossimi 10 anni.
Causando, altresì, delle importanti ripercussioni per partner europei che hanno i maggiori surplus commerciali con gli Stati Uniti, Germania e Italia. Un dazio universale del 10%, si stima, potrebbe ridurre il Pil dell’eurozona tra l’1 e l’1,6%.
Il ruolo della “reconciliation” e le sfide del debito pubblico
Sebbene lo stesso Trump e molti dei suoi colleghi di partito abbiano, a più riprese, sostenuto che tagli fiscali ben congegnati si ripaghino da soli, non mancano, all’interno dello stesso partito, preoccupazioni che tutto ciò possa comportare un aumento del debito pubblico che, ad oggi, sfiora i $36 trilioni di dollari.
Non è un caso che all’interno dell’entourage presidenziale una parola serpeggi sempre più frequentemente: reconciliation, ovvero la riconciliazione di bilancio. Una speciale procedura congressuale che consente un passaggio legislativo, in materia fiscale e di spesa pubblica, più semplice e veloce
Invero, mentre la maggior parte delle proposte di legge richiede una super maggioranza in Senato di 60 voti, il ricorso allo strumento della riconciliazione riduce il numero di voti a 51 (maggioranza semplice). Si tratta tuttavia di uno strumento di legge potente ma macchinoso, a cui si può ricorrere solo un numero limitato di volte l’anno.
Promesse elettorali: reshoring, Salt e sostegno alle famiglie
Portare a casa, possibilmente nei primi 100 giorni, l’estensione delle disposizioni del Tax cuts and jobs act (Tcja) sarebbe un’importante vittoria della nuova amministrazione, che si potrà, successivamente, concentrare sulle numerose promesse elettorali che potrebbero essere rimandate più avanti nel corso dell’anno.
Tra di esse le più reclamizzate sono certamente:
- il ripristino dell’integrale detrazione fiscale per le imposte statali e locali (Salt), che lo stesso presidente Trump, nel 2017, ha limitato a un tetto massimo di $ 10.000;
- il cosiddetto reshoring, ossia il rientro delle aziende statunitensi con il conseguente rilanciando dell’occupazione interna, tramite l’abbassamento dell’aliquota sulle società dal 21 al 20% e, in un secondo momento, al 15%;
- l’innalzamento delle misure di sostegno alle famiglie, fortemente voluto dal vicepresidente Jd Vance, tramite un credito, cosiddetto Child tax credit (Ctc), di $5.000 dollari per tutti i genitori, indipendentemente dalla loro classe di reddito.
Deregolamentazione e criptovalute: le novità di Trump 2.0
C’è inoltre molta attesa per il programma di deregolamentazione, volto a ridurre il potere di controllo delle agenzie federali, che interesserà il settore ambientale tramite una diminuzione di vincoli e un aumento dell’esplorazione e della produzione di energia fossile. Senza escludere, inoltre, che gli Stati Uniti possano uscire dall’accordo di Parigi.
L’ondata deregolamentare riguarderà anche e, soprattutto, il settore finanziario. In molti sono pronti a scommettere che l’amministrazione Trump 2.0 abrogherà la legge Dodd-Frank, che impone alle banche statunitensi di accantonare più riserve per prevenire le crisi e, che già durante il suo primo mandato, Trump aveva attaccato con una legge che ne allentava e semplificava i vincoli.
A ciò va, in ultimo, aggiunto la volontà del presidente, di puntare sulle valute digitali tanto da valutare, per la prima volta nella storia americana, un ruolo di un consigliere della Casa Bianca sugli asset digitali. Oltre alla proposta di istituire una riserva strategica in bitcoin e di sostenere le strutture di mining a medio termine.