Fino a qualche settimana fa, quando si pensava alle imminenti elezioni presidenziali si immaginava un esito molto meno netto, più contrastato e difficile da valutare, per lo meno nelle 24h successive, ma la realtà è stata molto diversa. Donald Trump non solo ha vinto, ma l’intera politica americana è stata attraversata da un’ondata rossa.
Nuove elezioni per una nuova epoca
Ma come mai c’è stato tutto questo interesse intorno alle elezioni presidenziali statunitensi? La realtà è che si tratta della prima volta in cui i cittadini americani sono stati chiamati alle urne dopo la crisi dell’ordine internazionale liberale che era riuscito a governare il mondo dal dopo guerra a soli due anni fa. Si tratta delle prime elezioni in cui le tensioni internazionali hanno assunto nuovamente la forma della militarizzazione, le prime che intervengono a fronte di un punto di flesso del ciclo economico.
Secondo Francis Fukuyama, il processo di evoluzione sociale, economica e politica dell’umanità avrebbe raggiunto il suo apice nel ventesimo secolo, segnando la ‘Fine della storia’, in cui la società era arrivata al punto più alto e lì sarebbe rimasta per il resto della storia. Chiaramente, il 24 febbraio 2022, tutti siamo stati costretti a svegliarci da questa illusione, ci siamo resi conto che non solo la storia non è finita, ma le tensioni sono tornate. Mettendo nero su bianco l’incapacità degli Stati Uniti di tramutare la loro potenza in influenza.
Oggi gli elettori si trovano a vivere in un mondo frammentato e l’effetto è un taglio netto della produttività, rafforzato anche da una situazione di decoupling tecnologico tra potenze concorrenti (come Cina e Stati Uniti).
Trump torna alla Casa Bianca: come è riuscito a vincere?
È in questo sistema che si innescano le elezioni americane. Trump ha vinto in ogni gruppo etnico, segmento religioso, senza bias di sesso e anche nel voto popolare, cosa che non succedeva a un repubblicano dal 2004. Si tratta di un vero e proprio riallineamento dell’elettorato americano, un riallineamento che non può passare inosservato. Anche nella contea di Starr in Texas, dove in 132 anni di storia, i democratici avevano sempre vinto, il tycoon è riuscito a guadagnarsi il 58% dei voti.
Secondo Enzo Corsello, country head per l’Italia di Allianz Global Investors, Trump ha vinto alle elezioni guardando ai due veri problemi dell’elettorato americano: l’immigrazione e l’inflazione.
L’America è un paese fortemente diviso tra coste ed entroterra, con circa un 1/3 della popolazione clinicamente depresso. Gli americani dell’entroterra sono i cittadini medi su cui la dialettica del neo eletto presidente punta e funziona, anche aiutata da Vance che rappresenta il vero spirito americano che parte da un paese in Ohio, con terribili condizioni economiche e sociali, per poi diventare il vice-presidente più giovane della storia.
È questo il tipo di America che ha votato fortemente e chiaramente contro l’immigrazione, legale e illegale e ha votato contro l’inflazione. Infatti, nonostante l’inflazione sia scesa e gli stipendi si siano alzati, la possibilità di spesa è diminuita, ed è proprio questo che interessa all’americano medio. E nonostante, le politiche di Trump rischino di essere fortemente inflazionistiche, venendo implementate in una situazione completamente diverse da quelle del 2016, lui sembrava comunque una scelta migliore rispetto a Kamala Harris, la vice presidente dell’attuale presidente Biden. In una simile situazione, tagliare l’immigrazione potrebbe far alzare il costo del lavoro, dare stimoli riducendo le entrate dello stato e implementare i dazi, rischia solo di far aumentare i costi del prodotto finito per gli americani, innescando la forza che ha spinto la popolazione ad allontanarsi dai democratici in questi mesi.
Governo repubblicano: il futuro del mercato
Ieri il mercato americano, è in parte quello europeo, hanno preso di buon grado la vittoria del candidato repubblicano. Ma un occhio più attento può immaginare che questo inizi a prezzare un nuovo aumento dell’inflazione.
Che sia chiaro, le promesse elettorali di Trump vanno prese seriamente, ma non alla lettera, vanno prese come direzioni di viaggio. Con i dazi, per esempio, Robert Lighthizer, riuscì a non aumentare l’inflazione, perché li applicò solo su una parte ristretta delle importazioni ovvero solo sul 2%. Questa volta la storia potrebbe essere diversa, con dazi fino al 60% sulla Cina e intorno al 10% per i prodotti che arrivano dal resto del mondo. Bisogna però anche ricordarsi che Trump è un grande negoziatore e questa retorica sui dazi potrebbe essere solo una tecnica per negoziare una posizione di forza.
Secondo Corsello, le principali aree di incertezza sono: la velocità di implementazione di dazi e taglio tassi; come reagirà la Cina ai possibili dazi; il prezzo energia, legato all’aumento di produzione di shale gas e oil. Per ora i mercati hanno premiato i titoli finanziari, soprattutto in vista di una de-regolamentazione e del possibile aumento dei tassi. Tassi che, secondo l’esperto, potrebbero fermarsi al 4% e non scendere ulteriormente.
Un’altra parte importante da considerare sarà relativa all’immigrazione, per ora si parla di espulsioni, Trump vuole bloccare l’immigrazione illegale e dovrà rimpatriare tanti immigrati sul territorio, bisognerà vedere cosa questo comporterà sul mercato del lavoro. Mercato del lavoro che si era riequilibrato grazie ad uno shock positivo dell’offerta, che arriva dagli immigrati.
In conclusione
Negli ultimi anni si sente parlare quotidianamente del rischio geopolitico, eppure finché questo non avrà un impatto diretto sui profitti, rimarrà solo un discorso limitato.
Quest’anno ha dimostrato abbondantemente che i mercati possono toccare massimi anche con rischi geopolitici molto elevati. Il rischio geopolitico non si è ancora tradotto in una flessione dei mercati perché mancano canali diretti di trasmissione. Lo stesso accadrà per le elezioni americane: dopo un’ondata di interesse sul mercato, verranno riassorbite con estrema semplicità