Il nostro ordinamento in materia di investimenti finanziari si basa (sia secondo la presa di posizione delle Autorità, sia secondo l’orientamento dominante di opinioni e di interessi), sul principio di trasparenza dei costi, delle caratteristiche, dei rischi e delle prospettive reddituali degli investimenti stessi e sulla loro rispondenza agli interessi dei clienti, con controlli più rigorosi in ordine a tale rispondenza, sia per la gestione di patrimoni sia per la consulenza rispetto alle operazioni esecutive di ordini specifici dei clienti.
Lo scrivente ritiene invece che la normativa sia suscettibile di interpretazione alternativa, secondo cui operazioni, pur trasparenti e pur conformi al profilo di rischio del cliente, siano illecite ove violino esigenze fondamentali dei risparmiatori. Tale conclusione è stata raggiunta utilizzando, dal 1991, prima solo riferimenti normativi generali e poi anche norme esplicite della normativa di settore in relazione alla sollecitazione al pubblico risparmio, ma utilizzabili anche per l’offerta dei servizi di investimento, che non a caso sono prestati sempre in tutte le operazioni di sollecitazione, in modo che non avrebbe senso giuridico discriminare tra operazioni in servizi di investimento a seconda che siano o no presenti in forme di sollecitazione al pubblico risparmio.
L’utilizzo normativo non è nient’altro che l’applicazione della tutela del risparmio in tutte le sue forme (art. 47 Cost.), la quale costituisce così un principio di ordine pubblico, inviolabile dall’autonomia privata (art. 1418 c.c.).
Il vero nodo non è quindi teorico, in quanto pacifico, con la conseguenza che sarebbe erronea l’opinione del precedente presidente della Consob Nava, secondo cui gli investitori non sono risparmiatori; al che è da ribattere che rientrano nel risparmio i fondi conferiti da qualsiasi soggetto rientrante nel pubblico indistinto sia con obbligo di rimborso (art. 11, Tub) sia senza tale obbligo (artt. 1 e 18, Tuf).
All’esatto contrario, si tratta di problema solo pratico, consistente nell’individuare i casi in cui si verifichi la lesione di esigenze fondamentali dei risparmiatori ulteriori rispetto alla trasparenza e alla conformità al profilo di rischio.
Occorre incentrarsi sulla lesione e non sulle esigenze lese, in quanto ciascun risparmiatore cerca di ottenere il maggior rendimento possibile in relazione al rischio che intende correre, in modo che la lesione si verifica solo quando il nesso tra i due elementi è frutto di illecito.
Si tratta, nel dettaglio, dei casi in cui:
- ragionevolmente i rendimenti son sono in grado di superare le spese e le commissioni (gestioni individuali e collettive in strumenti del mercato monetario ed in obbligazioni, in fasi consolidate di tassi bassi ed addirittura negativi) e pertanto il servizio prestato ai risparmiatori non è in grado di apportare a questi un valore aggiunto, con la conseguenza indefettibile che il contratto relativo è privo di causa;
- i prodotti e i servizi ledono diritti fondamentali dei risparmiatori quale quello di non subire modifiche unilaterali dell’intermediario pure se il potere di questi di apportare tali modifiche è preventivamente accettato dal risparmiatore, in quanto in tal modo si elimina il diritto di recesso del risparmiatore; per esempio l’obbligazione convertibile in azione ove la facoltà di conversione spetti all’operatore; ebbene, l’eliminazione del diritto di recesso dei risparmiatori priverebbe di consapevolezza effettiva questi ultimi nell’ambito di una fase fondamentale, vale a dire quella finale, dell’investimento stesso;
- i prodotti e i servizi alternativi, vale a dire con struttura contrattuale non naturale – obbligazioni, azioni, etc – ma artificiale, vale a dire costruita appositamente dall’intermediario – derivati, strutturati, etc – ove abbiano un assetto non equilibrato nella ripartizione di rischi e vantaggi tra le parti.
Le prime due categorie si rivelano piane e univoche, mentre la terza si presenta dalle caratteristiche non incontrovertibili.
Per l’esattezza, le prime due si caratterizzano in senso giuridico e non richiedono analisi fattuali.
La terza è invece di natura fattuale e acquisisce rilevanza giuridica solo quando le circostanze fattuali rispondono a determinati requisiti.
Ebbene, questi requisiti non sono agevoli da individuare: a monte, è la loro natura che va ricostruita.
Il problema è di accertare l’elemento discriminante tra rilevanza ed irrilevanza giuridica.
L’elemento è rappresentato non da una situazione quantitativa di squilibrio, rimessa a indeterminatezza, ma da una qualitativa di irrazionalità nella ripartizione dei rischi e vantaggi: ciò si realizza quando:
- a fronte di rischi altissimi i vantaggi alti sono del tutto improbabili;
- l’intermediario acquisisce commissioni di negoziazione che sono inammissibili quando è controparte contrattuale del cliente; infatti il servizio prestato è finalizzato, per l’intermediario, ad un vantaggio sul mercato, il che elimina ogni giustificazione economica delle commissioni stesse:
- l’intermediario ha facoltà di recedere “ad nutum”, in modo in buona sostanza da liberarsi dall’alea contrattuale quando le prospettive diventano favorevoli per i risparmiatori.
B) Fondi comuni
Si può andare oltre in ordine ai prodotti e ai servizi alternativi, che costituiscono, nei momenti di tassi bassi o addirittura negativi, la vera alternativa a quelli del capitolo precedente
In tale ottica, non è sufficiente attestarsi sui profili di lesione effettiva, ma occorre anche affrontare i profili del pericolo di lesione.
Gli investimenti alternativi offerti ai clienti privati, consistenti in fondi comuni od assimilati, se eliminano i fattori di abuso di cui al punto b) ed a quelli sub c) del paragrafo precedente, manifestano un punto di estrema delicatezza.
Essi di per sé rientrano nell’ottica del “merchant banking”, vale a dire sono destinati ad investitori professionali o qualificati o comunque sofisticati.
Nel momento in cui vengono offerti a clientela privata, di comuni risparmiatori, si fa assumere al risparmio privato un ruolo non suo e lo si espone a rischi che non dovrebbero essere i suoi.
Il problema non può essere affrontato solo con una particolare attenzione al profilo di rischio dell’investitore, ovviamente essenziale ed imprescindibile ed addirittura più pressante della normalità, dal momento che i risparmiatori sono disposti ad un investimento più rischioso solo per ottenere “performance” adeguate e non necessariamente sono pronti a seguire una logica industriale.
E infatti, l’eliminazione di un passaggio intermedio (vale a dire non solo un filtro) tra il risparmio di massa e gli investimenti diretti, non suscettibili di agevole liquidazione, trattandosi di titoli non quotati, rende necessario un ulteriore approccio.
Proprio perché gli investimenti alternativi da un lato sono altamente rischiosi e dall’altro sono non liquidabili, è necessario che vi siano forme di controllo da parte dell’intermediario sulle imprese in cui investire per assicurare correttezza e mancata abusività ed arbitrarietà di gestione ed anche (la stipula di) clausole che consentano l’uscita dall’investimento in determinate condizioni.
Tali forme e tali clausole sono normali negli investimenti minoritari in imprese non quotate.
Nel nostro caso vi è la particolarità della necessità di un arbitraggio tra dinamismo ed innovazione da un lato e dall’altro rigore ed avvedutezza.
L’intermediario finanziario deve acquisire una visione industriale senza perdere la natura finanziaria.
L’approccio al fenomeno non deve essere prevenuto né caratterizzato da rigidità, in quanto con esso, in via assolutamente innovativa, la finanza si prende in carico, non senza rischi, la solidità del sistema industriale.
È un vero e proprio salto di qualità per il risparmio e per il suo ruolo nell’economia.
La tutela del risparmio, che come visto rappresenta un valore essenziale del nostro ordinamento (art. 47 Cost.), deve compiere anch’essa un corrispondente salto di qualità.
Questo salto di qualità richiede controlli pubblici tesi a verificare che i rischi assunti dal fondo siano sempre e solo finanziari e non diventino mai industriali e quindi trovino criteri preganti di diversificazione e controllo.
Si può così ricavare la presenza nel nostro ordinamento di una norma che consente l’offerta di servizi e prodotti finanziari alternativi in fondi comuni a investitori privati, solo se vi sono strumenti adeguati a consentire la piena valorizzazione del risparmio, creando un nesso effettivo tra rischi alti e vantaggi attesi alti.
c) Conclusioni sistematiche: innovazione finanziaria e tutela del risparmio
In definitiva: i prodotti e servizi finanziari alternativi possono essere offerti ai clienti privati con i servizi di investimento individuali a condizione della mancanza di profili abusivi quali visti nel paragrafo A).
La stessa offerta è consentita nei servizi di investimento collettivi esclusivamente se questi sono in grado di realizzare un passaggio storico ed epocale, da un’ottica solo in negativo ad una in positivo.
In sintesi: (il passaggio è) dal divieto di prodotti e servizi individuali alternativi irrazionali all’obbligo di prodotti e servizi collettivi (fondi comuni) alternativi non solo privi di irrazionalità, ma anche idonei a fornire un effettivo valore aggiunto al risparmio investito.
In termini più plastici: (il passaggio è) dal divieto, nei servizi di investimento individuali, di ledere le esigenze fondamentali del risparmio, all’obbligo di assicurare, nei servizi di investimento collettivi, la soddisfazione di tali esigenze fondamentali del risparmio.
Si arriva così alla funzionalizzazione dell’attività degli intermediari finanziari alla valorizzazione del risparmio: il raggiungimento del profitto è condizionato alla valorizzazione del risparmio.