Fra gli strumenti deputati alla tutela di queste figure va, in primo luogo, richiamato il trust in quanto da ritenersi fra i più duttili come struttura e oggetto.
Tuttavia, in ragione dei principi fondamentali, la giurisprudenza di legittimità, ritiene che ove il trust leda i diritti dei creditori del disponente sia possibile esperire azione revocatoria nei confronti dell’atto istitutivo e dispositivo, così rendendolo inefficace nei loro confronti.
Questo istituto è molto più duttile di altri nell’applicazione, perché:
- a) non ha limiti nell’oggetto, è possibile costituire in trust qualunque tipo di bene (denaro compreso);
- b) permette al disponente di scegliere una persona di fiducia per l’amministrazione dei beni, salvo ch’egli preferisca nominare se stesso trustee (e si avrà un trust cosidetto autodichiarato) (per l’ammissibilità di questa forma di trust: Trib. Verano; Trib. Parma, 21 ottobre 2003).
Punto forte del trust è che i beni in esso conferiti creano un patrimonio separato: esso è inattaccabile da parte dei creditori del disponente (salvo, come detto, che esperiscano vittoriosamente un’azione revocatoria) e anche dai creditori personali del trustee; gli unici a poter aggredire i beni del trust sono coloro che hanno dei crediti derivanti dalla gestione di questi beni (per esempio, l’impresa incaricata di ristrutturare gli appartamenti del trust per i crediti derivanti da tale prestazione d’opera).
Durante la vita del trust il disponente può dare ordine al trustee di utilizzare le rendite in un certo modo (ad es., con una parte pagare la casa di cura in cui è ricoverato l’interdetto e con l’altra parte investire le somme in modo da garantirgli in futuro una certa rendita) e dare poi al trustee direttive nel senso di attribuire i beni al soggetto debole o ad altro soggetto quando il trust sarà terminato per decorso del termine. Per fare un esempio concreto, mettiamo che Tizio e Tizia abbiano un figlio disabile e siano titolari di due appartamenti: questi potrebbero costituire un trust, nominando trustee magari il loro consulente, conferendo uno di questi appartamenti, incaricando il trustee di locarlo al prezzo più alto possibile e di destinare le rendite al pagamento delle cure dell’incapace e, ad un certo punto (per esempio, quando Tizio e Tizia saranno morti), trasferire l’appartamento a un’associazione per le cure al disabile la quale dovrà garantire di prendersi cura del loro figlio finché vivrà.
Sotto il profilo fiscale il trust viene solitamente tassato con imposta proporzionale laddove comporti un trasferimento dei beni dal disponente al trustee. Tuttavia, nel caso in cui il disponente e il trustee siano la stessa persona (trust autodichiarato) la Cassazione (da ultimo Cass., 12 settembre 2019, n. 22754) ritiene che l’imposta si applichi in misura fissa per poi applicare l’imposta proporzionale solo nel momento del trasferimento dei beni al beneficiario finale, mentre si era sempre mostrata contraria l’Agenzia delle Entrate. Con la risposta n. 106 del 15.02.2021, però, l’Agenzia delle Entrate ha aderito al principio espresso da Cass. civ., 29 maggio 2020, n. 10256, per cui il trasferimento dei beni al trustee si tasserebbe sempre con imposta fissa per poi applicare l’imposta proporzionale solo al momento del trasferimento al beneficiario finale. Ciò, evidentemente, rappresenta un bel vantaggio e renderebbe lo strumento del trust molto più interessante per chi voglia destinare parte del proprio patrimonio alla cura di una persona vulnerabile, specie per gli ulteriori vantaggi fiscali previsti dalla legge 112/2016.
Un altro istituto giuridico cui è possibile fare ricorso per la tutela delle persone deboli è il vincolo di destinazione ex art. 2645-ter. Trattasi di uno strumento che alcuni hanno definito “il trust all’italiana”. Con esso, al pari del trust, il disponente destina un bene al raggiungimento di un certo scopo, senza di regola trasferire il bene a terzi, ma rimanendo egli stesso attuatore del vincolo.
Il fine cui si riferisce l’art. 2645-ter c.c., per quanto di nostro interesse, deve riguardare persone affette da disabilità o altre persone fisiche (quindi anche non disabili), ma deve essere meritevole di tutela. Ciò significa che il fine deve essere in linea con i valori del nostro ordinamento giuridico e soprattutto deve essere tale da giustificare una sottrazione del bene alla garanzia patrimoniale generica di cui godono i creditori del disponente, atteso che questi non potranno più rifarsi sui beni vincolati (salva l’azione revocatoria).
Sul punto, se certamente è un fine meritevole quello della tutela dei disabili, c’è da dire che il concetto di meritevolezza è stato riscontrato anche nella generica protezione economica di uno dei figli del disponente e/o per soddisfare le esigenze abitative di un nucleo familiare, ma, di contro, non è stato ritenuto meritevole il fine di garantire il diritto allo studio della propria nipote.
È quindi utile consigliare al cliente che voglia ricorrere a un vincolo di destinazione di vagliare attentamente la finalità con un consulente in modo da centrare la meritevolezza dell’interesse perseguito. Una volta costituito il vincolo, l’attuatore dovrà utilizzare i beni per come indicato nell’atto costitutivo, quindi, per esempio, impiegare le rendite per assicurare le cure alla persona invalida.
A differenza del trust non è detto però che i beni debbano essere poi attribuiti a un qualche soggetto, in quanto mai questi usciranno dal patrimonio del disponente. Una volta giunto il termine indicato nell’atto istitutivo, quindi, il disponente rientra pienamente nel possesso del bene non più vincolato. È però possibile, laddove magari il disponente sappia che il beneficiario del vincolo abbia bisogni che andranno anche oltre la propria vita, che venga nominato un altro attuatore che, a far data dalla sua morte, dovrà continuare ad utilizzare i beni secondo quanto previsto nell’atto costitutivo.
Anche il negozio di affidamento fiduciario, introdotto legge sul “Dopo di noi”, sembra essere una buona soluzione. Con esso un soggetto (affidante) si accorda con un altro soggetto (affidatario) per “affidargli” determinati beni, trasferendogliene la titolarità, affinché questi li impieghi a vantaggio di uno o più beneficiari secondo un programma delineato dall’affidante ed accettato dall’affidatario.
La figura è molto simile al trust ed al negozio fiduciario tout court, ma se ne differenzia da quest’ultimo per la rilevanza erga omnes del pactum fiduciae: se nel negozio fiduciario classico il patto di fiducia ha rilevanza meramente interna ed è quindi inidoneo a schermare i beni trasferiti dalle aggressioni dei creditori personali del fiduciario, nel negozio di affidamento fiduciario il patto di fiducia è parte integrante del contratto di affidamento con cui i beni vengono trasferiti, con la conseguenza che lo stesso sarà opponibile ai creditori personali dell’affidatario, che non potranno aggredire i beni oggetto del contratto, salvo che si tratti di soggetti i cui diritti di credito dipendano dall’esecuzione da parte dell’affidatario del compito contrattualmente accettato.
Diversamente dal negozio fiduciario, quindi, il negozio di affidamento fiduciario pare idoneo a creare un patrimonio separato in capo all’affidatario ed essere quindi molto interessante fra gli strumenti di tutela, specie dei soggetti deboli.
Da ultimo si deve richiamare l’istituto della sostituzione fedecommissaria, disciplinato dagli artt. 692 ss. c.c. L’istituto è utilizzabile, tuttavia, solo nell’ambito di un testamento, trattandosi di una disposizione testamentaria, circoscritta però ai casi di soggetti deboli, dichiarati interdetti.
Con essa il coniuge, i genitori o gli altri ascendenti (nonni, bisnonni, ecc.) di un soggetto interdetto (con ciò intendendosi un soggetto che sia stato dichiarato interdetto con sentenza del tribunale, non anche una persona incapace di intendere e di volere ma non dichiarata interdetta, né un inabilitato o un beneficiario di amministrazione di sostegno, salvo che nel decreto di nomina sia indicato espressamente che l’art. 692 c.c. si applica anche nei suoi confronti) possono istituirlo erede e imporgli l’obbligo di conservare i beni che erediterà e di trasferirli alla sua morte a chi si sarà preso cura di lui.
In questo caso, nonostante l’apparente complessità della fattispecie, la cosa è molto semplice. Si faccia il seguente esempio: Tizio, vedovo, ha due figli, di cui uno interdetto perché infermo di mente; sapendo che dopo la sua morte il figlio rischierebbe di non essere adeguatamente assistito, lo istituisce erede in 2/3 del suo patrimonio (avendo due figli, questa è la massima parte possibile) con l’obbligo di trasferire i beni a chi si sarà preso cura di lui dopo la sua morte a titolo di sostituzione fedecommissaria. Egli poi, in vita, si accorderà magari con un’associazione per la cura delle persone diversamente abili o bisognose di cure così che questa si prenderà cura del figlio dopo la morte del padre, possibilmente a titolo gratuito o previo solo un rimborso spese o anche dietro compenso, e, se così farà, alla morte del figlio i beni ereditari passeranno automaticamente in titolarità dell’associazione.
In ogni caso, però, ove necessario, il figlio potrà vendere i beni ereditari, ma avrà bisogno dell’autorizzazione del tribunale ordinario del luogo in cui si è aperta la successione del padre ai sensi del combinato disposto degli artt. 694 c.c. e 747 c.p.c. È evidente che l’associazione avrà interesse a prendersi cura dell’interdetto, perché dopo la sua morte otterrà la titolarità dei beni, e all’interdetto saranno assicurate le cure di cui avrà bisogno, specie perché sull’operato dell’associazione vigilerà sempre e comunque il tutore nominato dal tribunale.
Anche sotto il profilo dei debiti la sostituzione fedecommissaria fornisce delle buone garanzie: ai sensi dell’art. 695 c.c., infatti, i creditori dell’interdetto (quindi anche la stessa associazione che se ne prende cura, ove non le vengano corrisposti i compensi pattuiti) potranno aggredire solo i frutti dei beni ereditari e non i beni medesimi. Pertanto, se, com’è presumibile, i beni saranno medio tempore utilizzati per ricavare delle rendite, essi potranno aggredire dette rendite, ma non privare l’interdetto dei beni che gli garantiranno cura e assistenza.
Pertanto, ove esistano situazioni che rendano necessario prendersi cura di soggetti più deboli, occorre consigliare al cliente di agire e di ricorrere agli strumenti che l’ordinamento mette a sua disposizione per tutelare queste persone.
In conclusione, gli strumenti ci sono; occorre solo che il cliente sia correttamente accompagnato sul punto e guidato nella scelta di quello che meglio soddisferà le sue reali esigenze.