Il diniego di archiviazione da parte dell’archivio: inquadramento giuridico e conseguenze pratiche
Che conseguenze comporta una dichiarazione del genere?
Occorre distinguere. Da un punto di vista strettamente legale, non essendo incontestabile neppure la dichiarazione di paternità proveniente dall’autore (e infatti in giurisprudenza si rinvengono casi del genere: da De Chirico condannato per aver autenticato senza la dovuta diligenza un’opera poi rivelatasi falsa a Picasso che, avanti il Tribunale di Parigi, riconobbe come proprie, firmandole in aula, opere in realtà dipinte da Dominguez), tanto meno potrà esserlo l’autentica che proviene da soggetti diversi dall’artista, siano essi quelli indicati nell’art. 23 della Legge sul diritto d’autore o l’archivio di riferimento.
Sotto quest’ultimo profilo, anzi, è interessante notare che in un (inedito) provvedimento di archiviazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano del 2018 – originato da una querela sporta da una nota fondazione – è stato affermato che “è pacifico che la Fondazione in questione non è un ente pubblico e i suoi responsi non possono aspirare ad alcun valore legale. Essa è infatti un’organizzazione privata, i cui giudizi di falsità/autenticità (tra l’altro ben remunerati) non sono altro che pareri”.
Amedeo Modigliani, Jeune Fille Assise, Les Cheveux Dénoué. Courtesy Sotheby’s. Modigliani è uno degli autori più funestati dalle questioni di autenticità
Inquadramento giuridico a parte, è tuttavia innegabile che un parere negativo comporta di fatto l’eliminazione dell’opera dal mercato, in quanto gli operatori del settore – consapevoli della portata del combinato disposto dell’art. 64 e dell’art. 178 del Codice dei beni culturali e del paesaggio – si asterranno dal trattare un’opera alla quale è stata negata la patente di autenticità da parte dell’archivio di riferimento. Ed è dunque evidente che al diniego di archiviazione consegue un rilevante pregiudizio (anche patrimoniale) per il proprietario dell’opera, il cui valore economico viene di fatto azzerato: per il mercato ciò che prima era un’opera d’arte diviene null’altro che una tela imbrattata di colore.
I rimedi per l’acquirente nei confronti del venditore
È bene precisare sin da subito che l’ordinamento giuridico appronta tutele al malcapitato, ma – dato l’elevato tecnicismo della materia (ulteriormente complicato da un orientamento giurisprudenziale ondivago) – i rimedi concessi al compratore non sono di immediata percezione per i non addetti ai lavori.
Che il venditore debba rispondere nei confronti del proprio cliente al quale aveva garantito l’autenticità dell’opera è agevole intuirlo. Il vero tema è comprendere quali azioni sono date al compratore, quali vantaggi possono essere conseguiti e se vi è un tempo massimo entro il quale dover procedere.
All’esito di un percorso giurisprudenziale tutt’altro che lineare (ma che non vi è motivo di ripercorrere in questa sede) si può affermare che è stata sdoganata la possibilità, per il compratore, di agire per ottenere la risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento del venditore, reo di aver consegnato un bene diverso da quello pattuito (e infatti in gergo si invoca l’istituto del c.d. “aliud pro alio”: espressione latina che significa proprio “una cosa al posto di un’altra”). In sintesi, e banalizzando: il venditore aveva dichiarato essere di un determinato artista un’opera poi non rivelatasi tale.
Il riferimento normativo lo si ritrova all’art. 1453 del codice civile, che consente di ottenere tanto il danno emergente (ossia il prezzo pagato oltre agli interessi e le spese sostenute per l’acquisto dell’opera) quanto il lucro cessante (e cioè la perduta plusvalenza nel caso in cui l’opera avesse acquisito nel tempo un incremento di valore sul mercato).
L’iter è in verità agevole: spetterà al compratore dedurre unicamente che il bene acquistato non è dell’autore del quale era stata garantita la paternità, mentre sarà onere del venditore – per andare esente da responsabilità – provare il contrario.
L’elemento più delicato attiene al “fattore tempo”, e cioè al termine entro il quale l’acquirente è tenuto ad agire, pena offrire un “salvacondotto giuridico” al venditore, pur se in torto. Il codice civile sul punto non lascia spazio a dubbi: l’azione di risoluzione del contratto (di compravendita dell’opera) per inadempimento si prescrive in dieci anni. Tutto chiaro, a questo punto? Non proprio.
È stato a lungo discusso in giurisprudenza se il c.d. “dies a quo” (e, dunque, il termine iniziale) coincida con la data della compravendita ovvero con il momento il cui il compratore abbia contezza del fatto che l’opera è di autore differente da quello dichiarato alla vendita.
In termini pratici, dunque, la domanda a cui è necessario rispondere è la seguente: i dieci anni decorrono dalla conclusione della vendita o da quando l’acquirente ha conoscenza del fatto che l’opera non è autentica (circostanza che, in astratto, ben può avvenire a distanza di oltre dieci anni dall’acquisto)?
L’orientamento più recente – a seguito di un’importante sentenza della Suprema Corte, che ha deciso una disputa che aveva ad oggetto ad un arazzo di Boetti – ritiene che il termine per il computo della prescrizione decorra dalla data della compravendita. Intuibile, sul piano pratico, la conseguenza: il venditore, decorsi dieci anni dalla vendita, è esente da responsabilità nei confronti del compratore che, va da sé, si può dire goda di una tutela “a tempo”. Di qui due suggerimenti per l’acquirente.
Il primo consiste nell’opportunità per l’acquirente, in occasione di una compravendita, di “guadagnarsi contrattualmente” dal venditore una “lifetime guarantee” (magari, nell’ottica di un equo bilanciamento degli interessi in gioco, confinata alla sola restituzione del prezzo pagato). Dieci anni sono un arco temporale breve, specie per un settore – qual è il mercato dell’arte – in cui, per lo stesso artista, spesso si succedono nel tempo archivi differenti, che non di rado rendono pareri diversi in ordine alla medesima opera, già esaminata dall’archivio precedente.
Il secondo è, invece, un’indicazione squisitamente giuridica e consiste nella possibilità – quando il decennio dalla compravendita è già trascorso – di agire per l’annullamento del contratto di compravendita invocando l’errore sull’identità dell’oggetto quale vizio del consenso, rimedio esperibile nel termine di cinque anni dalla scoperta della non autenticità dell’opera acquistata (a prescindere, quindi, dalla data della compravendita).
Va ricordato che il compratore potrà ottenere solo il prezzo corrisposto oltre agli interessi e alle spese sostenute per la vendita (e non anche l’integrale risarcimento dei danni), ma con questo stratagemma avrà comunque modo di aggirare lo sbarramento temporale di cui si è detto e di accedere così ad una tutela giuridica che diversamente gli sarebbe preclusa.
La (possibile) responsabilità dell’archivio
Delineate le possibilità di agire nei confronti del venditore, per completezza rimane da affrontare, seppur per cenni, un ulteriore argomento: può l’acquirente richiedere il risarcimento dei danni, in via alternativa, all’archivio che, negando colpevolmente l’archiviazione dell’opera, abbia cagionato un pregiudizio, anche economico, al proprietario della stessa?
La risposta è positiva e, a seconda del caso concreto, la responsabilità dell’archivio può essere contrattuale (ossia conseguire ad un contratto concluso tra l’archivio e il proprietario dell’opera) o extracontrattuale (si pensi al caso in cui il proprietario richieda il risarcimento dei danni per un diniego di archiviazione relativo ad un’opera sottoposta all’archivio da un soggetto terzo, quale, per esempio, una casa d’asta alla quale il proprietario aveva affidato l’opera)
E’ infatti principio consolidato quello secondo cui “l’esperto” deve operare diligentemente, in modo accurato e approfondito, in quanto – come afferma la Corte di Cassazione – chi assume un’obbligazione nella qualità di specialista, o un’obbligazione che comunque presuppone tale qualità, è tenuto alla perizia che è normale nella categoria.
Caveat emptor: indicazioni ai compratori
Chi acquista un’opera “garantita” dal venditore, ma poi rivelatasi non autentica ha, come si è visto, un ampio set di tutele, che può azionare su diversi fronti: verso l’artista (per successivi ripensamenti sulla paternità), verso il venditore e verso l’archivio o gli esperti che, a vario titolo, rendono pareri sull’autenticità dell’opera.
I rimedi, dunque, vi sono. Nondimeno la prima cautela che deve essere osservata quando si acquista un’opera d’arte grava sul compratore e si sostanzia nell’onere di una puntuale due diligence (legale, tecnica e artistica), condotta da esperti che – partendo da un esame diretto dell’opera e della documentazione – compiano tutte le indagini del caso, per porre l’acquirente al riparo da un acquisto incauto. E ciò a prescindere da dichiarazioni di autenticità di sorta, che talora – come pure si è visto – possono evaporare.