- L’86% degli asset manager ammette che il loro cliente base, ovvero la persona a cui automaticamente si rivolgono con i propri prodotti, è un uomo
- Paolo: “Se ci fossero più gestori donne e analisti donne, sicuramente immaginerebbero più prodotti dedicati alle clienti e disegnati sulle loro esigenze”
La parità di genere resta ancora un miraggio. Secondo l’ultimo Global gender gap report del World economic forum, ci vorrà oltre un secolo per colmare i divari tra donne e uomini, più precisamente 134 anni. Se poi si guarda alle classifiche per paese, l’Italia continua a non brillare. Anzi, sembrerebbe camminare in retromarcia: in un anno ha perso otto posizioni, scivolando dal 79° all’87° posto a livello mondiale. Su due fronti in particolare abbiamo ampi margini di miglioramento: quello politico e quello economico. Ed è su quest’ultimo che si è focalizzata la tavola rotonda Indipendenza economica ed empowerment femminile: autodeterminazione e sostenibilità moderata da We Wealth in occasione del Festival della cultura finanziaria di Catania ideato e curato da Teresa Calabrese, presidente dell’Associazione festival della cultura finanziaria e recruiting manager di Bnl Lb Bnp Paribas.
Le donne guadagnano 8mila euro in meno
Partiamo da alcuni dati. Secondo l’ultimo Osservatorio Inps sui lavoratori dipendenti del settore privato, la retribuzione media annua complessiva ammonta a 26.227 euro nel caso degli uomini a fronte dei 18.305 euro per le donne. In altre parole, le lavoratrici guadagnano circa 8mila euro in meno all’anno. Uno scarto salariale che non riguarda in realtà tutte le fasce d’età, rassicura Nadia Vavassori, head of bu pension saving funds di Amundi Sgr. “Sulle nuove generazioni il tema retributivo non è più un tema”, osserva. A subirne gli effetti sono soprattutto le donne tra i 45 e i 55 anni, che scontano l’eredità di un approccio che in passato vedeva le aziende offrire retribuzioni diversificate per genere a parità di competenze. Senza dimenticare poi il tema dei percorsi di carriera: un recente studio di Deloitte mostra come il 40,4% delle poltrone nei consigli di amministrazione italiani sia occupato da donne, a fronte di una media europea del 23. Tuttavia le ceo restano una fetta minuscola, ovvero il 4%.
Non a caso si parla del cosiddetto “soffitto di cristallo”, ovvero quell’insieme di barriere sociali, culturali e psicologiche che impediscono alle donne di raggiungere posizioni apicali. “Il tema del riequilibrio sulla parità salariale è fondamentale, ma lo è altrettanto quello della parità nei ruoli di leadership”, interviene al proposito Romina Guglielmetti, founding partner di Starclex. Le quote rosa, introdotte dalla Legge Golfo-Mosca sull’equilibrio di genere negli organi di amministrazione e di controllo delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni e delle società quotate, secondo l’avvocato rappresentano solo una variabile di questo cammino. “Occorre una riflessione seria sull’individuazione di percorsi che preparino le donne a ricoprire ruoli executive e ad assumersi consapevolmente tutta una serie di responsabilità complesse”, suggerisce infatti Guglielmetti.
Il rapporto tra donne, denaro e investimenti
In uno scenario come quello finora disegnato, il rapporto tra donne e denaro si rivela complesso, soprattutto quando si parla di investimenti: c’è un tema di reddito disponibile appunto, ma anche di tolleranza al rischio. Una ricerca commissionata da Bny Mellon Investment Management – condotta su un campione di 8mila individui in 16 mercati e 100 asset manager con aum aggregati per circa 60mila miliardi di dollari – mostra che se le donne investissero allo stesso ritmo degli uomini il livello globale di capitale investito aumenterebbe di almeno 3.220 miliardi. Solo per l’Italia, si parlerebbe di 105 miliardi di investimenti aggiuntivi, di cui 60 miliardi sarebbero destinati ad attivi responsabili. Ma quali sono le barriere che prevengono gli investimenti delle donne? “La prima è la crisi della fiducia”, spiega Stefania Paolo, country head di Bny Mellon. A livello globale solo il 28% delle donne si dichiara abbastanza fiducioso da investire una parte dei propri risparmi. Se guardiamo all’Italia, questo dato scende al 18%.
Come investono le risparmiatrici
Poi, c’è un tema di reddito: le donne ritengono di aver bisogno di un reddito disponibile pari a 4mila dollari al mese prima di poterne investire una parte. E infine, c’è un discorso di percezione del rischio: “solo il 9% delle donne affronta il rischio in maniera opportuna, dichiarando di avere un livello di tolleranza alto o molto alto”, dice Paolo. A confermare quest’aspetto anche Vavassori, che ribadisce come le donne adottino un approccio più prudente in materia di investimenti anche quando si parla di prodotti previdenziali, prediligendo profili bilanciati. “Questo è tanto dovuto all’educazione finanziaria, quanto alla qualità dell’investimento: le donne affermano che se ci fosse una maggiore attenzione alle politiche sociali e all’impatto ambientale, investirebbero di più, persino nelle Borse”, dichiara Paolo.
Il gender gap nel risparmio gestito
Da considerare, tra l’altro, che il 73% degli asset manager intervistati dichiara che tra i propri gestori e analisti la rappresentanza femminile ruota intorno al 10%. Una quota davvero bassa che non aiuta. “Se ci fossero più gestori donne e analisti donne, sicuramente immaginerebbero più prodotti dedicati alle clienti e disegnati sulle loro esigenze”, sostiene Paolo. Oltre alla propensione al rischio e all’attenzione per la sostenibilità, le investitrici mostrano infatti anche un approccio più di lungo termine rispetto agli investitori maschi. “Sono più attente alla previdenza in generale e a tutto ciò che riguarda il futuro della propria famiglia, più che il proprio futuro. Tutta una serie di aspetti che il gestore tipo, oggi, che è in prevalenza orientato su bisogni maschili, ancora non riesce a rappresentare con la propria offerta”, continua Paolo. Ricordando infine come le risparmiatrici sarebbero più propense a investire se potessero interfacciarsi con consulenti donne. “Solo tutti questi fattori, se si presentassero insieme, potrebbero innescare un vero cambiamento”, conclude.
(Articolo tratto dal n° di novembre di We Wealth.
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