Chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato
L’assunzione della qualità di erede consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita
Con una recente pronuncia, n. 20503 del 2023, la Corte di Cassazione torna su tema della rinuncia all’eredità, chiarendo, a partire dal caso di specie sottoposto ai giudici di legittimità, alcuni elementi fondamentali di questo istituto.
La rinuncia all’eredità
La Cassazione, nel giudizio citato, peraltro richiamando precedente e consolidata giurisprudenza, osserva che l’assunzione della qualità di erede non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, né dalla denuncia di successione, che ha valore di atto di natura meramente fiscale.
L’assunzione della qualità di erede consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, che rappresenta elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio quale successore del de cuius.
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L’accettazione tacita
Alla luce di quanto appena detto, ne deriva che, osserva la Corte, affinché un atto del chiamato all’eredità possa configurare accettazione tacita, è necessario che questo atto presupponga necessariamente la sua volontà di accettare e che, di conseguenza, si tratti di un atto che il chiamato non avrebbe il diritto di fare se non proprio per via della qualità di erede.
Quali sono gli atti che possono dar luogo all’accettazione tacita dell’eredità?
Non solo gli atti dispositivi, ma anche gli atti di gestione possono dar luogo all’accettazione tacita dell’eredità, secondo l’accertamento compiuto caso per caso dal giudice di merito.
Occorre tuttavia, per valutare l’eventuale accettazione tacita, tenere non solo la singola fattispecie ma anche di molteplici fattori, tra cui quelli della natura ed importanza nonché della finalità degli atti di gestione compiuti dal chiamato.
In ogni caso, gli atti che darebbero luogo all’accettazione tacita devono essere atti incompatibili con la volontà di rinunziare e non altrimenti giustificabili se non con la veste di erede.
Al contrario, invece, sono privi di rilevanza quegli atti che non denotano in maniera univoca un’effettiva assunzione della qualità di erede, occorrendo accertare se il chiamato si sia mantenuto o meno nei limiti della conservazione e dell’ordinaria amministrazione del patrimonio ereditario; atti quindi che non provochino la mutazione dello status da chiamato ad erede.
Accettazione dell’eredità e processo
La Corte, stante tutte le premesse appena evidenziate, sottolinea che il fatto che il chiamato all’eredità che abbia ricevuto ed accettato la notifica di una citazione o di un ricorso per debiti del de cuius, così come il fatto che si sia costituito eccependo la propria carenza di legittimazione, non può configurarsi come accettazione tacita dell’eredità, trattandosi di atto pienamente compatibile con la volontà di non accettare l’eredità.
Al contrario, quando il chiamato si costituisce in giudizio dichiarando la propria qualità di erede dell’originario debitore, senza contestare l’effettiva assunzione di tale qualità ed il conseguente difetto di titolarità passiva della pretesa, questo compie un’attività non altrimenti giustificabile se non con la veste di erede, che esorbita dalla mera attività processuale conservativa del patrimonio ereditario, in quanto dichiarata non al fine di paralizzare la pretesa, ma di illustrare la qualità soggettiva nella quale essi intendono paralizzarla.
In buona sostanza, osserva la Corte, l’assunzione in giudizio della qualità di erede costituisce quindi accettazione tacita dell’eredità.
È pur vero che, in base all’art. 521 c.c., «chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato», con la conseguenza che, per effetto della rinuncia, viene impedita retroattivamente — cioè a far data dall’apertura della successione — l’assunzione di responsabilità per i debiti facenti parte del compendio ereditario. Tuttavia, osserva la Corte, se l’atto di rinuncia all’eredità interviene successivamente alla costituzione nel giudizio di primo grado, in cui il chiamato si qualifica come erede, l’atto di rinuncia così formulato è privo di effetti, per via dell’accettazione all’eredità manifestata attraverso il comportamento assunto in giudizio dal chiamato.