Nutro un certo pessimismo circa la riforma fiscale (l’ennesima) che il governo si appresta a varare, sulla base di una legge delega (tuttora da approvare in sede parlamentare, previa discussione di numerosissimi emendamenti già depositati dalle varie parti politiche) illustrata e discussa da autorevoli commentatori anche su questa testata.
Non è tanto una questione tecnica o politica, quanto la constatazione circa un’assenza, a mio modo di vedere, di un “metodo” per affrontare la questione fiscale (che sta diventando tanto annosa quanto la “questione meridionale” affrontata dagli storici italiani).
Questione di metodo
Il metodo che ho in mente è quello, se si vuole, di stampo anglosassone, secondo il quale occorre affrontare innanzitutto le questioni più rilevanti, rinviando a un momento successivo i miglioramenti meno urgenti (in inglese credo si dica “first things first”).
In altre parole, occorre concentrare tutti gli sforzi sui temi che condizionano pesantemente tutto il contesto complessivo; smarcati quelli, si può affrontare il resto, peraltro in una prospettiva solitamente più chiara e semplificata.
Le priorità della riforma fiscale
Per essere concreti, io credo che la priorità assoluta in ambito fiscale, in Italia, sia rappresentata dalla montagna di crediti fiscali non riscossi: più di un miliardo di euro e in continua crescita.
A mio avviso, è infatti totalmente inutile parlare di testi unici legislativi, se poi non si riescono a incassare i quattrini che l’Erario italiano deve esigere dai propri contribuenti, sulla base di un titolo definitivo.
Sempre mutuando dal mondo anglosassone, si tratta di un tema di “law enforcement”: la legge va applicata, sul serio; diversamente, il sistema perderà costantemente credibilità.
Chi legge penserà che di banalità del genere è inutile discutere, talmente sono ovvie; purtroppo, sono proprio le cose scontate che in Italia fanno vacillare il sistema giuridico (in ambito penale, per esempio, è inutile discutere di sovraffollamento delle carceri, se non si chiarisce una volta per tutte se siamo disponibili a finanziare la costruzione di nuove carceri, o preferiamo lasciare silenziosamente le attuali in uno stato terzomondista e costantemente bisognose di misure di “svuotamento”, con tutti i riflessi sociali connessi).
Anche la giustizia civile, peraltro, soffre di una debolezza strutturale della fase conclusiva della procedura: spesso ai debitori basta infatti rendersi irreperibili per sfuggire all’azione esecutiva a loro carico.
La soluzione?
Qualcosa di simile al canone televisivo in bolletta (certamente poco simpatico, ma molto efficace per stanare la marea di evasori del canone stesso).
Per esempio, come provocazione, sarebbe utile creare una fedina civil-tributaria da esibire assieme alla tessera sanitaria quando il contribuente/evasore chiede una prestazione al pronto soccorso.
Ovviamente è solo una provocazione, ma potrebbe bastare a fare riflettere tutti i contribuenti (propensi o meno a evadere le imposte) circa la concreta necessità di partecipare alla spesa pubblica se si vuole godere di uno Stato che provveda ai bisogni essenziali a prescindere dal censo.
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