Uffici semi-deserti, verifica della certificazione verde esclusivamente all’accesso delle mense aziendali e sospensione del buono pasto nelle giornate “smart”. Tra chi, in caso di quarantena da covid-19, si assume l’onere delle indennità di malattia non riconosciute dall’Inps e chi punta su permessi e ferie; chi decide di continuare a far leva sul lavoro agile alla fine della fase emergenziale e chi tornerà a usufruirne per due giorni a settimana fino a un massimo di otto giorni al mese. Il tutto mentre si apprestano ad avviarsi i dialoghi con i sindacati, pronti a portare sul tavolo, tra gli altri nodi da sciogliere, quello dei tamponi gratuiti per i non vaccinati. We Wealth ha realizzato un’indagine su un campione di 10 banche – Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps, Crédit Agricole Italia, Credem, Bper, Chebanca!, Iccrea Banca, Banco Bpm e Credit Suisse – evidenziando come si stanno adattando alla nuova “normalità” imposta dall’emergenza sanitaria. E quali sono i punti caldi da continuare a monitorare nelle prossime settimane.
La presenza in filiale
Partiamo da un dato. Attualmente una forbice compresa tra il 30 e il 70% di lavoratori frequenta gli uffici degli istituti di credito. Analizzando nel dettaglio, solo per Mps e Bper si parla di una quota tra il 50 e il 70% (in entrambi i casi con una maggiore prevalenza nelle filiali), per Credem e Iccrea Banca la percentuale è tra il 30 e il 50%, per Chebanca! tra il 30 e il 50% in sede e nell’ordine del 70% nelle filiali, mentre Unicredit e Intesa Sanpaolo si limitano a osservare il limite massimo del 50% di occupazione degli spazi (nel caso di Intesa Sanpaolo per il 20% del tempo, quindi un giorno a settimana). Banco Bpm e Credit Suisse non hanno inteso rilasciare dichiarazioni in merito. Per Crédit Agricole Italia, precisano dall’istituto, nella rete delle filiali “il servizio viene garantito il più possibile attraverso la presenza fisica” mentre il lavoro da remoto “riguarda una parte residuale” dei lavoratori ed è “collegato a casistiche specifiche”; nelle strutture centrali la capienza degli uffici è stabilita al 50% “secondo un sistema di turnazione delle presenze definito all’interno delle singole unità operative”. In generale, tutti i lavoratori sono rientrati in sede secondo un meccanismo di turnazione, fatto salvo per “i colleghi con fragilità (meno del 5%) per i quali sono ancora vigenti meccanismi di tutela”.
Il nodo smart working
Una modalità che è stata ampiamente adottata da tutti gli istituti di credito coinvolti nell’inchiesta e che, nella maggior parte dei casi, sarà mantenuta anche al termine della fase emergenziale (attualmente previsto per il 31 dicembre 2021). Nel caso di Monte dei Paschi, sono stati stipulati finora specifici accordi a tutela delle situazioni di fragilità e della genitorialità, essendo da tempo lo smart working presente nel welfare interno come strumento di conciliazione vita-lavoro. In Iccrea Banca, invece, sono in corso delle valutazioni in merito all’organizzazione delle nuove modalità di lavoro a partire dal 1° gennaio 2022, sia in termini di articolazione temporale che di numero di dipendenti coinvolti; fino ad allora “i dipendenti che hanno in essere un accordo individuale continueranno a usufruirne fino alla scadenza prevista dall’accordo stesso, che dovrà poi essere eventualmente rinnovato”, spiega a We Wealth Giuseppe Palmieri, responsabile relazioni industriali people care e normativa del lavoro di Iccrea Banca.
Credem ha già adeguato le proprie policy aziendali alla massima flessibilità prevista dal vigente Contratto collettivo nazionale di lavoro (10 giorni al mese) per consentire alle persone di continuare in smart working anche nel momento in cui terminerà lo stato di emergenza. Nel caso di Crédit Agricole Italia, a partire dal prossimo anno torneranno in vigore gli accordi sottoscritti con le organizzazioni sindacali che prevedevano l’utilizzo dello smart working per due giorni a settimana fino a un massimo di otto giorni al mese; per quanto riguarda la rete delle filiali, in questo caso, è in corso un pilota per valutare una possibile futura estensione dello smart working anche al personale di rete. Chiude il cerchio Intesa Sanpaolo, dove lo smart working era già pienamente attivo su base volontaria anche prima della crisi pandemica grazie a un accordo con i sindacati, con 14mila persone abilitate a dicembre 2019 (oggi se ne contano oltre 80mila, la quasi totalità, ndr).
Nessuno degli istituti prevede al momento forme di remunerazione differenti per chi opera in smart working e chi si reca in ufficio, salvo che per il mancato riconoscimento del buono pasto così come previsto dall’art. 11 dell’accordo di rinnovo del Contratto collettivo nazionale di lavoro. Ma in Italia, un’operazione di questo tipo (vedi il caso di Google che ha messo a punto una piattaforma per calcolare la retribuzione per il lavoro a distanza basata sulla retribuzione del costo della vita e sul mercato del lavoro locale, ndr), sarebbe possibile dal punto di vista legale? “In Italia vige un principio secondo il quale bisogna garantire una retribuzione minima stabilita dai contratti collettivi applicati dalle aziende; poi, c’è un principio di irriducibilità della retribuzione (se non in casi eccezionali) e non esiste un principio di parità di trattamento economico”, spiega Jacopo Moretti, partner di Trifirò & Partners avvocati. “A mio avviso, non credo sia possibile ridurre la retribuzione già concordata per il fatto che un dipendente decida di lavorare da casa, ma è possibile prevedere delle differenziazioni. Per esempio, pagare di più a parità di mansioni il dipendente che viene in ufficio, considerando appunto l’assenza del principio di parità di trattamento retributivo”.
L’indennità da malattia
L’Inps ha chiarito nella circolare 2842 che l’indennità di malattia per la quarantena da covid-19 potrà essere erogata solo per gli eventi relativi al 2020 (nel limite delle risorse disponibili), precisando “che il legislatore attualmente non ha previsto per l’anno 2021 appositi stanziamenti”. Come si stanno muovendo su questo fronte i differenti istituti di credito? Copriranno le prestazioni Inps non riconosciute? Stando a quanto risulta a We Wealth, i lavoratori di Mps in quarantena e, quindi, con l’obbligo di isolamento continuano al momento a operare in smart working. In Iccrea Banca, “la previsione è quella di non coprire le prestazioni che non sono riconosciute dall’Inps e, pertanto, il dipendente in quarantena o sarà agevolato con il lavoro in smart working o, ove non fosse possibile, potrà utilizzare permessi e ferie a disposizione”, racconta Palmieri. Nel caso di Bper Banca, questi eventi sono stati trattati alla stregua delle altre malattie, ovvero con l’onere a totale carico dell’azienda. Unicredit si limita ad applicare le previsioni di legge, mentre fanno sapere da Credem che si atterranno alle indicazioni legislative e a quelle previste dall’Associazione bancaria italiana (Abi). Chebanca! non ha ancora preso una posizione a riguardo.
L’obbligo di green pass
E arriviamo al nodo green pass. Come anticipato in apertura, a partire dal 15 ottobre e fino al 31 dicembre la certificazione verde covid-19 sarà obbligatoria nei luoghi di lavoro pubblici e privati senza alcuna distinzione tra dipendenti o non dipendenti (inclusi, dunque, anche i consulenti finanziari con un contratto solo di agenzia). I lavoratori che non ne disporranno saranno considerati assenti ingiustificati e scatterà, fin dal primo giorno, la sospensione dello stipendio fino alla messa in regola. Lo smart working, stando a quanto precisato da Palazzo Chigi sul sito del governo, non potrà essere utilizzato allo scopo di eludere l’obbligo di green pass. Nessuno degli istituti coinvolti nel sondaggio ha assunto una direzione precisa in tal senso, ma sono in corso analisi del provvedimento governativo per i profili operativi e, in alcuni casi, interlocuzioni con medici competenti, sindacati e responsabili del servizio di prevenzione e protezione. Ricordiamo che il rispetto delle prescrizioni dovrà inoltre essere assicurato dai datori di lavoro che, entro il 15 ottobre, dovranno definire termini e modalità di disposizione delle verifiche. L’unica a esprimersi in tal senso è Iccrea Banca, che spiega come sia “in corso la definizione delle modalità con le quali saranno effettuate le verifiche, fatto salvo gli opportuni controlli anche con il Dpo (Data protection officer)” e che “si sta ipotizzando come soluzione preferenziale un controllo di tipo automatico”.
Gli incontri con i sindacati
Nella mattina del 30 settembre si terrà il primo incontro della Uilca (il sindacato dei lavoratori attivi nel settore bancario, assicurativo ed esattoriale) con l’Abi e tutte le altre sigle sindacali, volto ad affrontare il tema green pass alla luce delle misure definite nel decreto e la sua applicazione nelle realtà bancarie. “Lo smart working non sarà argomento di discussione, perché siamo gli unici ad averlo regolato nel contratto nazionale già nel mese di dicembre 2019, prima ancora dello scoppio dell’emergenza pandemica”, racconta il segretario generale Fulvio Furlan. “Sul green pass valuteremo le proposte dell’Abi, ma faremo presente che bisognerà applicare un distinguo tra cittadini e lavoratori, al fine di non ledere i diritti di questi ultimi. Per questo, una delle richieste che riproporremo è che i tamponi possano essere gratuiti, dal momento in cui il governo non ha accolto la richiesta a livello confederale”. Altro tema quello dei controlli. “È uno degli argomenti di cui forse discuteremo di più perché bisognerà tracciare delle indicazioni generali che andranno applicate banca per banca e per tipologia di unità produttiva. Noi chiederemo che a occuparsene possano essere soggetti messi a disposizione appositamente dall’azienda. Non i lavoratori”.