Sono oltre 11 mila i ricercatori che negli ultimi 15 anni hanno lasciato l’Italia
L’Italia registra il più alto numero di cervelli in fuga d’Europa e le agevolazioni fiscali pensate per incentivare i rimpatri non sono sufficienti ad interrompere il trend
Per favorire il rimpatrio di soggetti italiani detentori di elevate competenze professionali e teoriche il governo ha, nel tempo, istituito una
serie di misure agevolative dal punto di vista fiscale.
Si pensi al regime previsto per gli impatriati, quello per i
ricercatori e gli insegnanti, quello per gli imprenditori: l’obiettivo consiste
nel ravvivare il tessuto socio economico del nostro paese e contrastare, tra le
altre cose, la fuga dei cervelli.
Come noto, il legislatore ha previsto una serie di
agevolazioni fiscali per i soggetti che posseggono una laurea o un titolo di studio
equiparato e, senza requisiti di età, decidono di trasferire la residenza in
Italia, dopo aver trascorso due o più anni di lavoro o di ricerca all’estero.
In particolare per i lavoratori impatriati la misura
agevolativa si traduce nell’abbattimento del reddito imponibile fino al 70% del
suo ammontare, per 5 periodi di imposta. Potrà raggiungersi il 90% dello
sgravio se il soggetto oltre a trasferirsi in Italia prende residenza in una
regione del Mezzogiorno. Ai docenti e ai ricercatori è riconosciuta
un’esenzione pari al 90% del reddito per 6 anni.
Ebbene, come mette in evidenza l’Osservatorio italiano per i
conti pubblici (Ocpi) dell’Università Cattolica di Milano, anche grazie a
queste misure dal 2011 al 2020, i rimpatri di laureati italiani sono aumentati
da circa 4.100 a 13.700 l’anno.
Tuttavia, questo non è servito per ridimensionare il tasso
di espatriati, il cui numero rimane pur sempre alto: i cervelli in fuga sono
passati da circa 7.700 a 31.300. Si tratta per lo più di laureati con meno di
40 anni.
In quasi dieci anni, mette in evidenza Ocpi, il saldo
migratorio di laureati italiani (ossia la differenza tra rimpatri ed espatri) è
peggiorato del 388 per cento e del 489 per cento per i laureati più giovani.
Fra l’altro, tra il 2002 e il 2016 circa 11.000 ricercatori
hanno lasciato l’Italia, il numero più elevato tra i paesi dell’Unione Europea.
Le mete più ambite sono il Regno Unito, la cui capacità
attrattiva è cresciuta nonostante la Brexit, toccando il 27% degli espatri
totali; la Germania, destinazione che vale il 10% degli espatri; e poi Francia,
Usa, Svizzera, Spagna.
In buona sostanza, le agevolazioni fiscali hanno permesso di
arginare il problema degli espatriati ma non di risolverlo o di ridurlo
drasticamente.
L’Italia, infatti, si conferma il paese europeo con il più alto
numero di laureati in fuga verso l’estero. Tra le principali ragioni è
possibile annoverare, secondo Ocpi, l’instabilità dei posti di lavoro rispetto
all’estero, con minori possibilità di contratti indeterminati nelle varie
posizioni di carriera; la circostanza che il sistema universitario nazionale è
considerato poco trasparente e non basato sul merito; la scarsa fiducia sulle
prospettive di carriera in termini di opportunità e di velocità per
raggiungerle.