Con la recente sentenza n. 29146 del 6 ottobre 2022, la Corte di Cassazione ha fatto chiarezza sulle conseguenze di un’eventuale revoca della rinuncia all’eredità in pendenza del termine di accettazione da parte dei successivi chiamati. A differenza dell’accettazione di eredità, che non ammette ripensamenti, la rinuncia – ai sensi dell’art. 525 c.c. – può infatti essere revocata, sempre che il diritto di accettazione non si sia prescritto e che, a seguito di quella rinuncia, l’eredità non sia stata già accettata da altri chiamati.
Cosa prevede il nostro ordinamento in merito all’attribuzione del diritto di accettazione
È utile ricordare che il nostro ordinamento conosce diversi istituti finalizzati a regolamentare l’attribuzione del diritto di accettazione nelle ipotesi in cui l’iniziale destinatario della delazione non addivenga alla successione.
Innanzitutto, se il chiamato all’eredità (sia legittima che testamentaria) muore prima di averla potuta accettare o prima di aver perduto il relativo diritto, si ha la cosiddetta “trasmissione” del relativo diritto ai suoi eredi, ai sensi dell’art. 479 c.c.
In caso, invece, di rinuncia dell’originario chiamato, ovvero di perdita del diritto di accettare l’eredità per premorienza al de cuius, ovvero di indegnità a succedere (fattispecie che ricorre nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 463 c.c., consistenti in delitti, consumati o tentati, di particolare gravità nei confronti del de cuius o del coniuge, ovvero contro la sua libertà testamentaria), o – ancora – prescrizione del diritto di accettare, vengono in rilievo gli istituti della “sostituzione”, della “rappresentazione” e dell’“accrescimento”.
In cosa consiste la “sostituzione”?
La sostituzione, prevista dagli artt. 688 ss. c.c., si verifica nell’ambito della successione testamentaria allorché sia lo stesso testatore a disciplinare a chi debba devolversi la chiamata, ove il soggetto inizialmente designato non possa o non voglia accettare. Ove vi sia sostituzione, non si ha luogo né a rappresentazione né ad accrescimento. La sostituzione – che non perde validità in caso di nullità o annullamento della prima designazione – può essere “plurima” (più soggetti vengono chiamati in luogo di quello inizialmente designato), “consecutiva” (vi sono più chiamate l’una di seguito all’altra) o “reciproca” (disposta tra più designati in via primaria, reciprocamente fra loro); il diritto del sostituito, salva diversa volontà del testatore, ha lo stesso contenuto di quello attribuito al primo chiamato.
In cosa consiste la rappresentazione?
La rappresentazione, disciplinata dagli artt. 467 ss. c.c., opera sia nel caso di successione legittima che testamentaria (sia universale che particolare) e consiste nella devoluzione del diritto di accettare l’eredità ai discendenti del soggetto inizialmente designato; essa prevale rispetto all’accrescimento e ne impedisce l’operatività. Il “rappresentante” succede allo stesso de cuius ed è tenuto a collazionare e a imputare quanto ricevuto a titolo di donazione dal defunto; in deroga alla previsione dell’art. 77 c.c., secondo cui la parentela a fini successori rileva entro il sesto grado, la rappresentazione opera “all’infinito”.
In cosa consiste l’accrescimento?
L’accrescimento, disciplinato agli artt. 674 ss. c.c., consiste nell’automatica inclusione della quota che si trovi ad essere “vacante” a seguito di rinuncia o impossibilità a succedere, in quelle degli altri coeredi e collegatari; perché possa operare, non devono ricorrere i presupposti né della sostituzione né della rappresentazione. Nella successione legittima l’accrescimento ha luogo fra chiamati in pari grado, mentre in quella testamentaria ricorre in caso di istituzione di più coeredi con lo stesso testamento nell’universalità dei beni, ovvero nella stessa quota senza determinazione di parti o in parti uguali; nel caso di disposizioni a titolo particolare, perché vi sia accrescimento è necessaria la nomina di più collegatari con riferimento al medesimo bene, sempre senza determinazione di quote o in parti uguali (anche con testamenti diversi, a differenza di quanto previsto per la successione a titolo universale).
La pronuncia della Cassazione
Il caso deciso dalla Cassazione riguardava proprio un conflitto fra il chiamato originario – il quale, dopo aver rinunciato all’eredità, aveva dichiarato di revocare la propria rinuncia in pendenza del decorso del termine per accettare attribuito ex art. 481 c.c. ai suoi discendenti – e i di lui parenti, i quali sostenevano di averne automaticamente acquisito la quota a seguito della rinuncia, in forza di accrescimento.
La Corte d’Appello di Genova aveva dato ragione a questi ultimi, evidenziando – sulla scorta di un precedente orientamento giurisprudenziale (cfr., in particolare, Cass. civ. n. 21014/2011 e Cass. civ. n. 8021/2012) – che, a seguito della rinuncia, il diritto all’eredità fosse andato definitivamente perduto per essere stato acquistato dai successivi chiamati, senza che fosse necessaria una specifica accettazione.
La Corte di Cassazione ha però annullato la decisione, evidenziando che la rinuncia all’eredità, anche in caso di chiamata congiunta, non determina di per sé l’accrescimento della quota spettante agli altri coeredi, prevalendo l’istituto della rappresentazione ai sensi dell’art. 674, ult. comma, c.c.; conseguentemente, l’accrescimento è subordinato al fatto che il chiamato per rappresentazione non voglia o non possa accettare e che non abbia a propria volta discendenti, ai quali altrimenti il diritto si trasmetterebbe. Fino a quel momento, il diritto di accettazione del chiamato rinunziante e dei successivi chiamati coesistono (Cass. n. 1403/2007).
Analogamente, l’acquisto dell’eredità da parte dei “rappresentanti” non opera automaticamente, essendo comunque necessaria un’accettazione espressa o tacita da parte degli stessi (cfr. Cass. civ. n. 5247/2018).
In applicazione di tali principi, la Suprema Corte ha ritenuto che, a seguito della rinuncia, il diritto di accettare l’eredità si fosse trasmesso ai discendenti per rappresentazione del rinunciante e non agli altri chiamati. Inoltre, essendo intercorsa prima che i discendenti avessero dichiarato se intendevano o meno accettare l’eredità, l’iniziale rinuncia doveva intendersi essere stata validamente revocata.
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