Non più dove ha sede l’attività lavorativa, bensì dove si trovano gli affetti. È una rivoluzione copernicana quella portata dall’art. 1 del D.Lgs. 27 dicembre 2023 n. 209, in vigore dal 1° gennaio 2024, che ha modificato l’art. 2, comma 2 del Tuir. “Va precisato – dice Matteo Tambalo, commercialista e revisore legale, partner dello Studio Righini e Associati (con sedi in Verona e Milano) – che la norma considera residenti i soggetti che, alternativamente, per la maggior parte del periodo d’imposta abbiano la residenza ai fini civilistici, il domicilio o siano presenti fisicamente nel territorio dello Stato. Sulla base della novella, viene chiarito che il domicilio, quale criterio di determinazione della residenza, è inteso come “il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona”.
L’amore vince sugli affari
La novità consiste quindi nella scelta espressa del legislatore di valorizzare, tra i vari criteri individuati in passato dalla giurisprudenza, i soli legami di tipo personale e affettivo ai fini del radicamento della residenza, non anche quelli di carattere patrimoniale e economico che non rileverebbero più a tal fine o comunque avrebbero un ruolo certamente secondario rispetto ai primi”. E non solo. Nella modifica dell’articolo 2 del Tuir è inclusa un’ulteriore novità: ai fini del conteggio della maggior parte del periodo di imposta per stabilire dove il soggetto ha la residenza, il domicilio o sia presente fisicamente nel territorio dello Stato, rilevano anche le frazioni di giorno. “Ciò significa che il conteggio dei 183 giorni di presenza o meno nel territorio avverrà verificando la permanenza o meno in Italia nell’ambito della singola giornata (quindi se la maggior parte delle ore giornaliere siano trascorse o meno nel territorio dello Stato)”, precisa Tambalo.
Una norma che incide sul presupposto della tassabilità
La modifica all’art. 2 del Tuir non ha un impatto diretto in termini di maggiore o minore tassazione, ma incide sui requisiti di determinazione della residenza e quindi sul presupposto della tassabilità di un soggetto nel territorio dello Stato. Non mancano, tuttavia, rilevanti effetti indiretti, “dal momento che tutta una serie di situazioni che in passato non erano attirate in Italia a livello impositivo ora lo potrebbero essere – spiega l’esperto – In precedenza, infatti, in mancanza di indicazioni espresse da parte della norma, la giurisprudenza della Corte di Cassazione individuava i criteri di determinazione del domicilio in maniera variabile, non univoca e secondo una logica di fatto case by case: talvolta venivano ritenuti prevalenti gli interessi familiari e personali, talaltra quelli economico-patrimoniali del contribuente (l’attività lavorativa, la presenza di un’abitazione, la titolarità di utenze, di conti correnti e relative movimentazioni bancarie, l’effettuazione di atti dispositivi), lettura, quest’ultima, su cui la Corte si era infine maggiormente stabilizzata”.
Su queste basi i cittadini italiani trasferiti all’estero per ragioni lavorative potevano provare a evitare la tassazione italiana fornendo la prova che gli interessi economico – patrimoniali si trovassero nel Paese estero nonostante gli interessi personali fossero rimasti in Italia. Oggi, quelle medesime situazioni potrebbero subire l’imposizione concorrente del paese di residenza e dell’Italia, per effetto della eventuale permanenza dei legami affettivi e personali nel territorio dello Stato.
Le possibili criticità
“Qualora un soggetto non abbia la dimora abituale (la residenza) in Italia e non sia presente fisicamente nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta (oltre 183 gg) – dice Tambalo – ma ivi conservi tutti i suoi interessi personali e legami affettivi, potrebbe rischiare di subire una contestazione di residenza nel Paese e quindi di essere assoggettato a imposizione concorrente in Italia, oltre che nel Paese di produzione del reddito. In presenza di situazioni di rischio, sarà opportuno precostituire gli elementi con cui dimostrare che la residenza è in effetti fuori dall’Italia, dove sono presenti anche legami personali e familiari”. Una strada, se possibile, è sicuramente quella di trasferire la famiglia nel luogo di esercizio dell’attività lavorativa. In attesa che la giurisprudenza interpreti il concetto normativo di “relazioni personali” in maniera autonoma e sganciata da quello di “relazioni familiari”, può ritenersi che l’espressione alluda a tutta una serie di rapporti, anche sociali, culturali, sportivi, che pur in mancanza della famiglia all’estero, possano plausibilmente fondare la residenza lontano dal territorio dello Stato.
L’indeterminatezza del concetto di residenza
Non solo. “Ulteriore possibile criticità – continua Tambalo – potrebbe derivare dall’introdotto computo della maggior parte del periodo di imposta, ai fini della determinazione della residenza, anche considerando le frazioni di giorno, il che finirebbe per attirare la residenza nel territorio dello Stato, in maniera pressoché automatica, dei lavoratori transfrontalieri in Italia. Sul punto, tuttavia, pare potersi ritenere che sul criterio della presenza fisica in Italia per effetto del puro conteggio numerico possa, in caso di contestazione, ritenersi prevalente il criterio di tipo sostanziale della presenza degli interessi tanto personali e familiari, quanto patrimoniali nel Paese di provenienza del lavoratore”.
Da ultimo, la dottrina ha rilevato un altro profilo di criticità connesso al fatto che il criterio dei legami personali e familiari prescelto dal legislatore italiano al fine di determinare la residenza fiscale sia sganciato dai parametri di tipo patrimoniale rilevanti in ambito Ocse e nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni. Ne deriva che, utilizzando criteri diversi per la definizione della residenza, si potrebbe non addivenire a un conflitto di residenza e quindi non vi sarebbero i presupposti per l’attivazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni e con esse i limiti alla imposizione ivi previsti. Anche sotto questo profilo, saranno preziosi i futuri chiarimenti di prassi e della giurisprudenza.
I vantaggi per gli expat italiani e per gli stranieri che si trasferiscono in Italia
“I vantaggi connessi al mutato contesto normativo sono a ben vedere speculari ai rischi appena rilevati – risponde Tambalo – In questo senso, il criterio che privilegia gli interessi personali e familiari renderà più semplice per l’expat che si trasferisce all’estero con la famiglia, pur mantenendo in Italia il proprio patrimonio e in generale i propri interessi economici, la dimostrazione di non essere residente nel territorio dello Stato, sottraendosi quindi alla relativa tassazione. Al contrario, per gli stranieri vale un po’ lo stesso concetto al contrario, potendo rilevare anche per questi l’elemento indiziario della presenza in Italia degli interessi personali e familiari al fine di radicare la loro residenza nel territorio, e quindi essere tassati non solo per i redditi di lavoro ivi prodotti, nonostante il complesso degli interessi patrimoniali sia rimasto all’estero”.