Il mercato americano, da diverso tempo, è guidato dalle aspettative su quelle che saranno le mosse della Federal Reserve: dal momento che il Comitato della banca centrale decide sulla base dei dati in arrivo, gli aumenti inferiori alle attese per l’inflazione al consumo e alla produzione, sono stati accolti con grande favore. Martedì 15 novembre l’S&P 500 ha segnato un progresso dello 0,9% nonostante il momentaneo choc dovuto ai missili esplosi sul suolo polacco di presunta provenienza russa (poi smentita). Il Nasdaq composite, ancor più sensibile all’aumento dei tassi, è avanzato dell’1,5%. Considerando anche l’avvio negativo di mercoledì, le ultime cinque sedute hanno portato un rialzo del 2,8 e del 3% per i due principali indici azionari Usa. Nell’ultimo mese il progresso dell’S&P 500 si è avvicinato all’8%. La domanda è se resta un quadro ostile a recuperi sostenuti sui mercati o se ci si trovi all’inizio di un’inversione di tendenza.
“Gli investitori continueranno a incrociare le dita per un cambio completo della Fed il mese prossimo”, ha dichiarato l’analista di Oanda, Craig Erlam, “in un mondo ideale, la Fed potrebbe riportare l’inflazione all’obiettivo senza causare molti danni all’economia, mantenendo un mercato del lavoro forte e una spesa sana. Ma non viviamo in un mondo ideale ed è improbabile che sia così”. Sperare che la Fed tiri i remi in barca è improbabile, anche se il prossimo rialzo potrebbe essere da 50 punti base anziché da 75, come avvenuto nelle ultime quattro sedute. “Finché continueremo a vedere dati solidi sull’occupazione e sulla spesa, il rischio di un’inflazione elevata e ostinata rimarrà”, ha aggiunto Oanda, “questo non fornirà il conforto che la Fed desidera per rallentare il ritmo della stretta e concluderla prima del previsto”.
A favore di una rotta quantomeno più morbida per i futuri rialzi della Fed si era espressa lunedì la vicepresidente, Lael Brainard: “Procedendo a un ritmo più posato (“deliberate” Ndr.), saremo in grado di valutare più dati”, ha dichiarato Brainard a Bloomberg. Un altro governatore della Fed, Christopher Waller ha dichiarato, sempre lunedì, che “la cosa peggiore che si possa fare è fermarsi [con la stretta] e che [l’inflazione] decolli di nuovo”.
Quello che gli ultimi dati possono comunicare alla Fed, tanto o poco che sia, è positivo. Su base mensile l’indice dei prezzi al consumo di ottobre si è confermato in aumento dello 0,4%, mentre l’inflazione di fondo è rallentata dallo 0,6 allo 0,3%. In quest’ultima componente è diminuito la dallo 0,8 allo 0,5% l’aumento mensile nei prezzi dei servizi, di particolare interesse per i decisori di politica monetaria. Nel frattempo, nello stesso mese i prezzi alla produzione, che tendono ad anticipare l’andamento di quelli al consumo, sono aumentati dello 0,2% contro lo 0,4% atteso, con il primo ribasso nei prezzi dei servizi dal novembre 2020 (-0,1%).
Segnali positivi, ma l’inversione di tendenza è improbabile per ora
“L’ultimo Cpi report ha innalzato notevolmente le probabilità che l’aumento dei tassi, per la riunione di dicembre, sia di soli 50 punti base. Al contempo, le probabilità che il tasso terminale sia nel range 4,75% – 5,25%, al 23 giugno 2023, è oggi pari al 76%”, ha commentato a We Wealth il fondatore di DLD Capital Scf, Edoardo Fusco Femiano, “è difficile dire se sia sufficiente ma oggi le aspettative degli investitori sono piuttosto ben agganciate su questi livelli. Il mercato obbligazionario sta rimbalzando, anche se in maniera più contenuta rispetto all’azionario, e questo è il segnale più incoraggiante, in quanto la stabilizzazione dei rendimenti obbligazionari è fondamentale anche per l’equity”.
Con una domanda ancora sostenuta e un indice Empire State che ha dato inaspettati segnali positivi sul fronte manifatturiero viene da domandarsi se le chance di un atterraggio morbido dell’economia americana non siano effettivamente aumentate.
“In questi giorni hanno parlato Mester, Bostic e George e, nonostante i toni molto hawkish, le loro parole non hanno frenato il rimbalzo del mercato azionario. In particolare, Hester George (Fed Kansas City) ha chiaramente affermato che solo una recessione può porre un freno all’inflazione. Questa visione non si sposa con l’idea di un soft landing che, al momento, resta l’ipotesi più realistica”, ha affermato Fusco Femiano, “i riflessi sul mercato azionario sono tutti da valutare: il rimbalzo di questo mese, dal minimo del 12 ottobre scorso, è stato guidato dal comparto Value e, nello specifico, da finanziari, industriali e beni di consumo”.
Ci sono dunque i segni di un’inversione di tendenza? “Su questo sono diversi elementi che spingono alla cautela” ha risposto il consulente: “1) l’S&P500 oggi scambia intorno a circa 18 volte gli utili attesi per il 2023, un livello certamente non economico 2) Non c’è mai stato un bear market che abbia avuto il suo minimo prima di una recessione 3) Negli Stati Uniti, in tutti gli anni in cui l’inflazione si è assestata su livelli superiori al 5%, si è verificata una recessione. Chiaramente siamo in un anno complesso e nel quale la statistica non è stata di grande aiuto, ma è necessario porsi degli interrogativi rispetto alle opportunità che il mercato offrirà nei prossimi mesi”.