Il procedimento penale, invece, è diviso in due fasi: quella delle indagini preliminari, in cui il pubblico ministero, avendo notizia di un potenziale reato, avvia le indagini, avvalendosi dell’aiuto della polizia giudiziaria, e quella successiva del processo vero e proprio, che inizia al termine delle indagini qualora il pubblico ministero chieda e ottenga il rinvio a giudizio degli indagati.
I due procedimenti, quello penale e quello amministrativo tributario, sono indipendenti e autonomi, talché possono procedere in parallelo e l’esito dell’uno non influenza formalmente quello dell’altro. Può, perciò, capitare che un procedimento penale si concluda con l’assoluzione dell’imputato e che, tuttavia, quello tributario termini con la condanna del contribuente a pagare quanto richiesto dal Fisco. Ciò capita, in effetti, molto spesso, in ragione del fatto che la fattispecie penale è generalmente più ristretta di quella tributaria, per la condivisibile ragione che non tutti gli illeciti tributari sono di uguale gravità e, come noto, la repressione penale è riservata solo ai casi connotati da maggiore gravità.
Nonostante la loro formale indipendenza, tuttavia, esistono dei collegamenti fra i due procedimenti, alcuni disposti espressamente dalla legge (ad esempio, se nel procedimento tributario sono irrogate sanzioni amministrative per violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato, la loro applicazione resta sospesa fino al termine del procedimento penale ed è subordinata ad un giudizio di assoluzione o di proscioglimento in quella sede), altri che dipendono dalla prassi.
Il tema del sequestro nei procedimenti penali per reati tributari è molto attuale, perché le procure utilizzano questo strumento con crescente frequenza, sia nei casi in cui l’indagine sia partita autonomamente (ad esempio quando il pubblico ministero ha avuto notizia di reato da fonti diverse dall’ufficio delle imposte e l’ufficio stesso non ha ancora intrapreso alcun procedimento), sia quando le indagini preliminari sono avviate su segnalazione dell’ufficio delle imposte nel contesto di un procedimento amministrativo tributario già iniziato. La ragione è probabilmente da ricercare nel fatto che, nel primo caso, non essendo ancora avviato un procedimento amministrativo tributario volto alla ripetizione delle imposte dovute, il sequestro è di fatto l’unico mezzo che assicuri il tempestivo recupero di tali imposte. Nel secondo caso, quando cioè il pubblico ministero si muove su segnalazione del Fisco, il motivo è la tendenza di molti pubblici ministeri a indirizzare la propria attività in ausilio di quella dell’ufficio delle imposte, incrementando la pressione esercitata sul contribuente. È chiaro che l’abuso di strumenti repressivi di natura penale dovrebbe rimanere (e, nei fatti, salvo casi isolati, vi resta) circoscritto ai casi in cui vi sia effettivamente pericolo imminente che il contribuente riesca a sottrarsi all’esercizio dell’attività di riscossione dell’ufficio delle imposte, tuttavia è altrettanto evidente come la combinazione dei due strumenti (quello della riscossione delle imposte, nel procedimento amministrativo tributario e quello del sequestro nel procedimento penale) possa portare a una pressione estrema sul contribuente, che si potrebbe trovare nella posizione di decidere di essere meno combattivo con l’ufficio delle imposte, accettando un accordo stragiudiziale col Fisco poco conveniente, per evitare sequestri disposti in sede penale.
Nella maggioranza dei casi, queste interazioni fra procedimenti, ben note a chi si occupa della materia, non creano ritorni di fiamma e possono essere gestite in modo ragionevole. È anche vero, tuttavia, che vi sono casi, alcuni dei quali finiti sulla stampa, nei quali la situazione è letteralmente esplosa. Come esempio, si può ricordare il caso dello yacht di Flavio Briatore, che ha avuto clamore mediatico significativo.
Da quanto si è potuto apprendere dalla stampa, la vicenda, dagli aspetti a tratti plateali, è iniziata con il sequestro dello yacht Force Blue, disposto dal pubblico ministero nel contesto di un’indagine penale ed effettuato da un pattugliatore della Guardia di Finanza mentre l’imbarcazione era in navigazione. La contestazione era relativa all’omessa applicazione e versamento dell’Iva applicabile a spese e costi relativi allo yacht ed è tecnicamente complessa perché riguarda un’imbarcazione che, in quanto battente bandiera non europea, può a date condizioni considerarsi un bene extraterritoriale da un punto di vista doganale e, quindi, escluso dal campo di applicazione dell’Iva. Proprio su questo tema, la possibilità, cioè, di considerare lo yacht come extraterritoriale ai fini Iva, considerato il suo utilizzo, si è incardinata la vicenda tributaria, conclusasi con un accordo stragiudiziale con l’ufficio delle imposte in base al quale è stato versato un importo significativo a titolo di Iva, interessi e sanzioni.
Il caso di Briatore è tecnicamente molto complesso e, dalle sole notizie di stampa, non è possibile ricostruirlo compiutamente sotto il profilo tecnico. È vero, tuttavia, che sembra una vicenda dove le interazioni fra procedimenti diversi hanno provocato una situazione paradossale in cui il contribuente, dopo aver concordato col Fisco l’importo da pagare, si è visto anche spogliare della proprietà di un bene che valeva molto di più.
È un caso isolato o queste cose succedono frequentemente? Sicuramente non è un esito comune, ma dimostra ancora una volta come la gestione delle interazioni fra vicenda amministrativa e tributaria e procedimento penale in relazione, soprattutto, all’applicazione di sequestri in sede penale, sia sicuramente il tema più spinoso che un contribuente si possa trovare ad affrontare quando si trova simultaneamente destinatario di una pretesa tributaria da parte del Fisco e di un’indagine penale per reati tributari.
Come difendersi in casi del genere? Sicuramente, coinvolgendo fin da subito un penalista preparato in materia di reati tributari, anche nel caso in cui non si abbia ancora la certezza dell’avvio di un’indagine penale, al fine di avere l’opportuna consulenza e gestire attivamente la situazione fin dall’inizio, senza aspettare il momento (eventuale) del rinvio a giudizio. È sempre sufficiente questo? Lo dovrebbe essere, quanto meno nella maggioranza dei casi. La vicenda di Briatore dimostra, tuttavia, che in certi (auspicabilmente pochi) casi, purtroppo, non lo è e questo, in uno Stato di diritto, non è accettabile.