“L’eccezione” di mercato all’illiquidità
Nulla vieta (e infatti esistono molteplici esempi di questa fattispecie) che transazioni di private equity vengano effettuate con fondi e veicoli di investimento quotati. A scopo puramente esemplificativo, in Europa, uno dei pionieri dell’investimento in private equity, 3i Group, opera in maniera molto importante attraverso la holding societaria quotata dal 1994 sul London Stock Exchange. Esistono diversi altri veicoli di questo tipo, in Europa e nel mondo. Eurazeo è un altro dei principali operatori Europei operanti nell’industria globale del private equity tramite una società quotata sul listino della borsa Euronext Paris. Un ulteriore esempio di operatore in private equity di questo tipo è rappresentato da Deutsche Beteiligungs, società di gestione e holding di investimento quotata dal 1985 sul listino Xetra della Deutsche Boerse. Molte delle società quotate europee operanti nel private equity sono parte “dell’associazione di categoria” LPeC. L’esperienza statunitense offre esempi assimilabili, sia considerando le Business development companies (Bdc), veicoli di investimento quotati che investono in piccole medie imprese, sia annoverando l’esperienza dei mega-player del settore, come Blackstone Group, Apollo, Kkr, Carlyle, ormai operanti come sponsor quotati (e quindi con attivi di bilancio proprietari e disponibili per l’impiego) di fondi e investimenti di capitale privato.
Il vantaggio offerto dai private equity quotati agli investitori è legato alla semplicità di accesso e di gestione dell’investimento, alla disponibilità di molteplici alternative con tagli di investimento molto contenuti e alla liquidità legata alla quotazione, ovvero alla possibilità di dismettere l’investimento su mercati quotati con procedure standardizzate e a prezzi noti (fatta salva la disponibilità di compratori sul mercato). Oltre alla possibilità di investimento nei singoli titoli, esistono diversi fondi investimento ed Etf che rispettano la normativa Ucits – ovvero consentono l’investimento da parte di tutte le categorie di investitori.
Le sfide poste dall’utilizzo dei mercati quotati
Il rovescio della medaglia più temuto, ovvero l’effetto collaterale indesiderato più noto, dell’investimento in private equity tramite veicoli quotati è legato a quello che in gergo viene definito lo “sconto sul Nav”, ovvero la differenza (negativa) tra il prezzo di mercato e l’equivalente valore riferito al Net asset value (Nav, corrispondente alla differenza tra attività e passività di bilancio, ovvero il valore dell’equity di pertinenza degli azionisti), effetto di cui questi veicoli soffrono, spesso in modo persistente. Le implicazioni per gli investitori sono evidenti, in particolare per gli investitori primari, ovvero quelli che investono a prezzo pieno del Nav in emissione e si trovano una diminuzione di valore non sempre giustificata da motivi fondamentali ma da ragioni tecniche o legate a dinamiche di mercato.
Non meno rilevante è l’impatto dello sconto sul Nav sui gestori dei fondi di private equity. La possibilità che esista o emerga uno sconto sul Nav rende più complesse o non fattibili operazioni di aumento di capitale, potenzialmente limitando la disponibilità di mezzi propri freschi per il gestore e la sua crescita organica. Per porre rimedio a questo fenomeno gli exchange (come, ad esempio, il mercato Miv della Borsa Italiana) stanno introducendo regole di negoziazione innovative che consentano di resettare giornalmente il prezzo a livello del Nav indipendentemente dal prezzo di chiusura del giorno precedente – come se ogni giorno fosse una nuova asta.
Queste innovazioni, tuttavia, non correggono l’impatto della necessaria esplicitazione delle dinamiche di volatilità giornaliera del valore del portafoglio quotato, legate al fatto che il mercato prezza in tempo reale Nav che, invece, tipicamente riflettono valorizzazioni di uno o due trimestri precedenti (quello che in gergo è definito “reporting lag”).
Per analizzare la traiettoria del prezzo di un portafoglio di asset illiquidi in relazione alle dinamiche di valutazione e di liquidità dei mercati quotati si può fare riferimento a due elementi.
Il primo, più oggettivo, è legato al fatto che il prezzo di mercato implicitamente aggiusta il Nav sottostante alle valutazioni correnti del giorno in cui è rilevato (in gergo, questo meccanismo di sincronizzazione viene definito roll-forward o nowcasting del Nav). Questo esercizio si rende necessario, appunto, per compensare il reporting lag, perché il valore del Nav in questione alla data di osservazione riflette le stime di valorizzazione riferite a periodi precedenti (normalmente tra tre e sei mesi).
Il secondo, più soggettivo, è legato alla profondità del mercato quotato dei fondi di private equity, ovvero alla capacità degli operatori di effettuare un numero significativo di transazioni influenzando o meno in modo significativo il prezzo di mercato. Poiché il prezzo si forma sulla base della legge della domanda e dell’offerta, la disponibilità e l’interesse espresso da compratori e venditori dipende dalle loro aspettative soggettive e dal loro appetito per il rischio, che potrebbe essere per un prezzo diverso dalle stime espresse dai Nav riportati dai gestori dei fondi sottostanti.
L’innovativa chiave di lettura suggerita è che i due elementi abbiano un simile impatto sia su portafogli di fondi quotati che non quotati. In altri termini, gli investimenti in private equity, sia sul mercato quotato che non quotato, possono trovare liquidità, a seconda del prezzo richiesto, ovvero sulla base del prezzo offerto, che non può non essere influenzato dai fattori citati, nowcasting e profondità di mercato.
L’impatto “dell’eccezione” del private equity quotato per gli investitori
Operativamente, non esiste una dicotomia netta nell’industria del private equity tra veicoli quotati e non quotati. Peraltro, molte delle società di gestione, la cui quotazione rimane un’eccezione, operano nel private equity per gli investitori globali anche utilizzando fondi non quotati. E nemmeno sotto il profilo del prezzo della liquidità esistono significative differenze, come implica il paragrafo precedente.
Tuttavia, per l’investitore esiste una differenza potenzialmente significativa sul premio per il rischio che si può estrarre dalle due diverse modalità di investimento. I fondi quotati sono normalmente delle strutture di capitale permanente (ovvero veicoli a durata indefinita) nei quali quindi usualmente i profitti vengono reinvestiti. Se è pur vero che esistono dei veicoli quotati che prevedono la distribuzione dei capital gain sotto forma di dividendi, la norma è che l’unica opzione di liquidità è la vendita sul mercato secondario.
Questa caratteristica crea un differente profilo di rischio per i veicoli quotati che sono maggiormente esposti al rischio di mercato a causa delle logiche di reinvestimento. Il fatto che la liquidità di questi veicoli risulti esclusivamente funzione delle dinamiche di prezzo e volatilità del mercato secondario produce delle conseguenze sulla potenziale dispersione dei rendimenti sugli orizzonti di riferimento. Tale dispersione per i veicoli quotati, infatti, potrebbe essere maggiore di quella dei non quotati. Questi ultimi, sacrificando il beneficio della liquidità standardizzata di mercato, offrono “in cambio” logiche di de-risking attraverso il meccanismo delle distribuzioni e potenziale minore dispersione dei rendimenti rispetto ai mercati quotati. In particolare, questo trade-off sarà oggetto di approfondimento nel mio prossimo contributo sulla liquidità dei fondi non quotati.