Lo stesso vale per il leverage. Ogni contratto di debito nel private equity ha connotati di unicità ma, in generale, esistono macro-tipologie di debito “abbinabili” a diverse situazioni o fasi dell’investimento in private equity. Senza entrare nei dettagli che esulano dallo scopo narrativo e che richiedono competenze specialistiche – della stesura e gestione di questi contratti si occupano i principali studi legali mondiali – vado quindi a illustrare le diverse situazioni di utilizzo del leverage nel private equity in diverse fasi. Spero che la migliore comprensione e il consapevole consumo del vino/leverage possa migliorare l’appetito e la qualità del pasto/private equity.
Lo starter
Deciso di condividere il “pasto”, investitore (Limited partner o Lp) e gestore (General partner o Gp) intavolano le dinamiche rituali che seguono la sottoscrizione del fondo (nel mondo anglosassone il Limited partneship agreement, Lpa, o qualche struttura collegata, come feeder).
La prima situazione in cui una struttura di leverage viene utilizzata in un fondo di private equity è quella delle linee di credito per la sottoscrizione (subscription line). La subscription line è un contratto di finanziamento a breve termine (a 30, 90 e 180 giorni e comunque sotto l’anno), normalmente a tasso variabile (Libor+spread), concesso da uno o più finanziatori e garantito dal commitment, ovvero dal diritto a chiamare il capitale dagli investitori. Questo tipo di finanziamento può essere revolving, ovvero la linea di credito si può riattivare una volta rientrato l’importo finanziato.
La subscription line è normalmente utilizzata per ottimizzare le chiamate di capitale, evitandone un inefficiente frazionamento, spesso oneroso a livello operativo, e per gestire il capitale circolante del fondo ad un costo relativamente contenuto. Ad esempio, le prime chiamate di capitale possono essere legate a pagamenti di commissioni e a flussi di cassa legati al primo investimento. Invece di far effettuare quattro versamenti in un semestre, il fondo potrebbe ottenere le disponibilità di cassa presso la banca d’appoggio e chiedere poi un’unica contribuzione di capitale alla fine del semestre per chiudere il finanziamento.
Le subscription line sono state oggetto di scrutinio perché il loro utilizzo ha degli effetti distorsivi sul calcolo della performance con le metodologie tradizionali, normalmente incrementando il tasso interno di rendimento (Tir o Irr) e riducendo i multipli sul capitale.
L’abbinamento col primario
In primis, il leverage è stato storicamente utilizzato, come raccontato nel mio precedente contributo a cui rimando per brevità, nelle operazioni di acquisizione poste in essere dal Gp nei fondi di private equity di tipo primario. I leveraged buyout che compongono il portafoglio dei fondi di private equity sono, come descrive il loro stesso nome, transazioni strutturate con una componente di debito.
Questa componente comprende i leveraged loan, che sono i prestiti organizzati e sindacati (ovvero redistribuiti ad altri investitori istituzionali) dalle banche d’affari per i grandi fondi di investimento, normalmente insieme ad emissioni high yield e finanziamenti di mezzanino (ovvero ibridi in quanto comprensivi di una componente di equity).
I leveraged loan sono tipicamente a tasso variabile (libor + uno spread superiore ai 125 punti base) ed hanno una priorità (seniority) nell’eventuale distribuzione dei proventi dell’asset sottostante costituito a garanzia.
L’abbinamento col secondario
Il leverage è spesso anche una componente molto importante delle operazioni del mercato secondario dei fondi di private equity. Tipicamente, i fondi di secondario acquisiscono quante di fondi di private equity primario per dare liquidità agli investitori o Lps dei fondi primari.
Usualmente le transazioni di secondario avvengono nella seconda parte della vita dei fondi primari, ovvero passato il segno dei primi cinque anni che conclude il periodo di investimento. In questa fase, la normale attività dei Gp sulle aziende acquisite con leveraged buyout le porta in media a ridurre il debito consolidato del portafoglio.
Gli investitori di secondario trovano quindi un portafoglio con minore leva finanziaria e strutturalmente predisposto alla liquidazione degli investimenti. Ricordo che, per costruzione, i fondi chiusi hanno una durata definita (tipicamente di 10 anni salvo estensioni) ed un obiettivo di liquidazione totale nei secondi 5 anni di vita. In questa condizione di flussi di cassa attesi, gli investitori di secondario tipicamente strutturano la loro acquisizione con una combinazione di equity e di leva finanziaria.
Questi finanziamenti sono tipicamente bancari a tasso variabile (libor + spread tipicamente superiore ai 250 punti base), a durata predefinita e garantiti (collateralizzati) da pegno sul fondo oggetto di trasferimento. L’ammontare di questi finanziamenti è definito dalla politica di risk management della banca e sintetizzato nel rapporto “loan to value” (Ltv, ovvero prestito su valore), che spesso si assesta al 50%.
Il vantaggio del leverage nel secondario deriva dal fatto che l’acquirente può offrire un prezzo più alto mantenendo comunque una redditività attesa adeguata. Il meccanismo in questo caso è il medesimo del leverage buyout primario. Se il costo del finanziamento è inferiore alla redditività dell’asset, come descritto nel precedente e già citato contributo, il rendimento dell’equity cresce. È evidente che il rischio parimenti cresca, in quanto, come in ogni operazione a leva, i movimenti di valore dell’asset sottostante si riflettono in maniera amplificata sul valore dell’equity.
L’alternativa
A fianco delle operazioni di liquidità secondaria tradizionale è sempre più frequente il ricorso a strutture unsecured, ovvero non garantite, di finanziamento che vanno sotto il nome di preferred equity. In queste strutture, più onerose ma più flessibili del finanziamento bancario e, al contempo, meno drastiche della vendita secondaria, il finanziamento viene ottenuto direttamente dalla parte che cerca liquidità e che non deve ricorrere alla vendita dell’asset – talora a sconto sul valore di bilancio. L’argomento del secondario riceverà attenzione specifica in prossimi contributi.
Nel preferred equity, il finanziamento viene erogato a fronte di un tasso di interesse fisso, dal pagamento eventualmente procrastinabile, e di una partecipazione a parte dell’upside eventualmente prodotto dal fondo, e viene rimborsato dalle distribuzioni dello stesso.
Il bis
Nella fase conclusiva della vita dei fondi diretti, in alternativa ad una cessione della partecipata in portafoglio, i Gp possono organizzare operazioni di dividend recapitalization, ovvero recuperare parte dell’investimento estraendo cassa, modificandone la struttura finanziaria.
In altri termini, se una società in portafoglio sembra poter sostenere il carico di interessi di un nuovo round di finanziamento, il Gp si rivolge ad un pool di banche per richiedere l’erogazione di ulteriore finanza, solitamente ancora nella forma di leveraged loan.
Il risultato è che il Gp incrementa il rischio della società nel portafoglio del fondo ma riduce il capitale ancora a rischio dell’Lp. È altresì corretto notare che i dividend recap possono incrementatare l’Irr senza necessariamente incrementare il valore totale potenzialmente ricevibile dall’investitore.
Il conto
Dopo ogni pasto, arriva il momento del conto in cui Gps e Lps tirano le somme della propria soddisfazione. In ognuno degli abbinamenti, è necessario ricercare il corretto equilibrio. Una approfondita e possibilmente ben consigliata lettura sia del menu delle opzioni può fare la differenza. In fondo, anche sbagliando solo il vino si rovina tutto il pasto, ma ciò non esime dal pagamento del prezzo pieno.