Il private equity, dopo più di un decennio di corsa al rialzo, ha subito per la prima volta un’inversione di tendenza nel corso del 2022. Turbolenze economiche e incertezza dovuta all’aumento dell’inflazione e dei tassi d’interesse hanno infatti causato un brusco rallentamento delle operazioni, delle exit e della raccolta di fondi. Tuttavia, le prospettive a lungo termine rimangono molto buone. I fondi lo sanno e puntano sugli investitori retail per continuare a crescere.
Il 2022 del private equity
È quanto emerso dal 14° Rapporto annuale sul Private Equity globale di Bain & Company, pubblicato lunedì, che restituisce una fotografia dello stato attuale del settore. Dopo aver segnato nuovi record nel 2021, con operazioni completate per un valore di 1.000 miliardi di dollari, l’improvviso rallentamento dell’attività di pe nel 2022 ha visto il valore globale delle acquisizioni (esclusi gli add-on) calare bruscamente, del 35%, per chiudere l’anno a quota 654 miliardi di dollari. Il numero complessivo di operazioni si è contratto del 10%, con circa 2.300 deal, grazie soprattutto allo straordinario slancio della prima metà dell’anno. Il forte calo dell’attività e del valore delle transazioni nel secondo semestre è stato avvertito in tutte le regioni e nella maggior parte dei settori, con un particolare ribasso in Asia, a causa delle ripetute chiusure del mercato dovute alle misure per il contenimento del Covid.
“Finora, anche quest’anno, abbiamo registrato un continuo rallentamento dell’attività, ma l’attrattività a lungo termine del private equity per gli investitori è una certezza”, ha spiegato Roberto Fiorello, Senior Partner e responsabile italiano del Private Equity di Bain & Company. “Con la ripresa dell’attività di deal nel 2023, il settore continua a essere ben posizionato per una crescita a lungo termine. Nonostante la contrazione delle operazioni, delle exit e dell’attività di fundraising, il 2022 è stato il secondo anno migliore della storia. L’incertezza del mercato globale è innegabile, ma si tratta di un problema che il private equity ha già affrontato e superato in passato”.
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Investitori, nuovo volano di crescita del Private Equity
Secondo la ricerca, gli investitori individuali e il loro patrimonio rappresenteranno il nuovo grande motore di crescita del Private Equity. Secondo Bain, gli investitori retail detengono circa il 50% di tutti i patrimoni globali in gestione (stimati tra i 275.000 e i 295.000 miliardi di dollari), con solo il 16% del capitale in fondi d’investimento alternativi: questo segmento ha quindi un potenziale significativo per il Private Equity.
“Gli individui con un elevato patrimonio netto e i loro consulenti sono sempre più attratti dagli investimenti alternativi, alla ricerca di opzioni di diversificazione e di rendimenti migliori di quelli offerti dai mercati azionari e obbligazionari tradizionali. I fondi stanno già esplorando i mercati di investimento retail e si stanno muovendo rapidamente, costringendo il resto del settore a scegliere se far parte del gioco o meno”, continua Fiorello. Nel frattempo, i grandi gestori alternativi stanno facendo passi avanti, e molti hanno lanciato fondi che consentono agli individui più facoltosi di accedere a classi di attività alternative; le banche e i consulenti stanno esplorando le opzioni per i clienti e le fintech stanno lavorando per adattare soluzioni a questa domanda e per semplificare il processo.
Il nuovo focus per i fondi di Private Equity e le prossime sfide: transizione energetica e Web3
La combinazione di tassi di interesse più elevati, destinati a perdurare, e pressioni inflazionistiche rappresenta una duplice minaccia per i fondi di Private Equity e i general partner e crea un nuovo imperativo per questi operatori: creare valore attraverso il miglioramento dei margini e la crescita organica, rispetto al passato, quando i player potevano fare affidamento su espansione di multipli più elevata.
Rispetto a queste sfide legate al contesto, il Private Equity si trova ad affrontare anche altri due grandi mutamenti. Innanzitutto, la transizione energetica globale: la pressione sulle società di private equity per la decarbonizzazione dei portafogli si è intensificata nel 2022, con le autorità di regolamentazione, i consumatori, i clienti B2B e gli investitori che hanno intensificato le richieste di cambiamento. Al tempo stesso, la corsa allo sviluppo di fonti energetiche alternative e di altre soluzioni a basse emissioni di carbonio sta dando vita a un’opportunità generazionale per mettere il capitale al lavoro, che deve essere coltivata dai fondi sviluppando competenze e network. Anche le tecnologie del Web3 sono destinate a rappresentare, nei prossimi 10 anni, un trend di vasta portata in grado di impattare in modo significativo sulle imprese e sui mercati: per molti fondi è il momento di costruire un know-how su questo tema e valutare come sfruttare i cambiamenti tecnologici.
“Per le società di Private Equity”, conclude Fiorello, “sarà imprescindibile riuscire a adattarsi a queste nuove pressioni macroeconomiche, se vogliono vincere in questo difficile contesto. Gli operatori dovrebbero cercare di puntare su gruppi di clienti e settori con una minore sensibilità ai prezzi e concentrarsi maggiormente sulla crescita organica del business, alla luce delle sfide legate alle tecnologie emergenti, ai trend demografici e alla crescita più debole del PIL”.