La notizia che uno dei principali operatori di private equity europei riporti di non aver rivisto in maniera sostanziale le valutazioni della maggioranza dei suoi fondi non sorprende. Sebbene i nostri modelli di mark to market pricing mostrino anche sostanziali contrazioni dei prezzi trattabili sul mercato secondario, la piscina è sold-out, i ristoranti pieni e i voli insufficienti a coprire la domanda.
La ripresa post pandemia è stata più rapida delle riassunzioni di personale, la domanda è esuberante e apparentemente non condizionata dalla guerra, che sembra lontana (la capacità di adattamento – in senso negativo direi assuefazione – dell’essere umano è incredibile) perché non ci tocca in modo evidente e immediato.
La finanza che è invece preoccupata e dà segnali forti come i drastici e ravvicinati aumenti dei tassi di interesse negli Usa un’altra volta sembra sconnessa dall’economia reale. Invero, la finanza vive nel futuro, anticipando le dinamiche di lungo termine, mentre l’economia reale vive di dati correnti – più direttamente riscontrabili e apparentemente oggettivi.
Di certo, l’osservazione del quotidiano può ingannare. Questa volta c’è il rischio che non sia diverso. Ricordo un’intervista del 1973, spesso riproposta, al premio Nobel per l’economia e fondatore del pensiero monetarista, Milton Friedman. Nonostante non possa e voglia definirmi un monetarista, è difficile non ritrovarsi in una delle sue famose citazioni, formulata in quell’occasione di molto tempo fa e probabilmente molto attuale.
Private equity, inflazione e alcolismo … quando la cura?
“L’inflazione è proprio come l’alcolismo. In entrambi i casi, quando cominci a bere o a stampare denaro, gli effetti benefici arrivano per primi, mentre quelli cattivi arrivano solo dopo. Ecco perché in entrambi i casi c’è una forte tentazione a strafare – a bere troppo e a stampare troppo denaro. Quando poi si tratta della cura, funziona tutto all’opposto. Quando smetti di bere o quando smetti di stampare denaro, gli effetti sgradevoli arrivano per primi e quelli benefici arrivano solo in seguito. Ecco perché è così difficile insistere con la cura”.
L’economia reale sta ancora godendo di effetti benefici – si è certamente ben abbeverata. La finanza ha già cominciato la cura. E gli effetti sui mercati quotati, in termini di volatilità e contrazione delle quotazioni sono evidenti. Quello che non si conosce è quanto dureranno i postumi e quanto lunga dovrà essere la cura.
Per quanto i mercati privati siano definiti come investimenti di lungo termine, il lungo termine nella realtà influenza molto più i mercati quotati. Gli operatori dei mercati privati, i gestori o general partners, sono fornitori di liquidità di medio termine a cavallo di uno o due cicli economici.
Gli elementi critici per le valutazioni del private equity
Elementi critici per le valutazioni del private equity sono (normalmente) i fatidici dati della crescita degli Earnings before interest, tax, depreciation and amortization (Ebitda), il risultato operativo come proxy della generazione di cassa della gestione ordinaria e il costo del capitale, su cui ovviamente influisce il livello generale dei tassi di interesse.
Rispetto all’equity quotato, nella valutazione del private equity pesa molto meno l’incertezza del valore terminale, che per gli esperti di valutazione è tipicamente il maggior cruccio, ovvero l’elemento che allunga la duration dell’equity quotato. Il terminal value è l’elemento di valore residuo di un’azienda al termine del piano previsionale, e tipicamente rappresenta oltre l’80% del valore di un’azienda.
Poiché il private equity è una transazione che in gergo è “round-trip”, andata e ritorno ovvero acquisto e rivendita, il terminal value influenza le valutazioni per differenza e non in assoluto, potenzialmente riducendo la volatilità del risultato realizzato alla liquidazione.
Se da un lato questa caratteristica sembra un robusto elemento a sostegno della tesi iniziale di ragionevole stabilità delle valutazioni, dall’altro rischia di risultare illusoria.
Non è dato di sapere quanto durerà il malessere che segue allo stato di ebbrezza e quanto dura dovrà essere la cura di questa economia – per cui, a mio parere, solo in parte (per gli Usa), può applicarsi il teorema monetarista di Friedman. L’Europa potrebbe aver bisogno di cure più complesse, per gli elementi di vincoli di offerta della guerra e della pandemia. Ma la sostanza dell’impatto sul private equity è identica.
I portafogli attuali manterranno le valutazioni solo se la crescita dell’Ebitda rimarrà sostenuta ben oltre la data di liquidazione e se a tale data le condizioni di finanziamento saranno ancora adeguatamente sostenibili, perché i compratori compreranno il piano strategico futuro a tassi negoziati per quell’orizzonte.
Se anche, d’altro canto, i nuovi portafogli saranno costruiti a prezzi di investimento più convenienti, saranno sempre crescita e contesto di mercato dei capitali, e quindi duration e intensità della cura, a dettare le possibilità di rendimento.