Negli ultimi anni abbiamo visto un’importante crescita dovuta a una corrispondente significativa diffusione degli investimenti in fondi di private equity.
L’importante crescita riscontrata o comunque l’attenzione prestata a tali tipologie di investimento dimostra una sempre maggiore propensione degli investitori italiani a diversificare gli investimenti che, sia pure a fronte di un maggior rischio, possano generare maggiori profitti.
Cosa sono i fondi di private equity e come funzionano
I fondi di private equity sono veicoli di investimento che svolgono un ruolo essenziale nell’ambito del corporate finance, fornendo o aiutando le imprese acquisite a reperire capitali esterni e/o le risorse per supportarne la crescita e lo sviluppo.
Con gli investimenti in private equity infatti, gli investitori si liberano da una logica di investimento strettamente correlata all’andamento dei mercati finanziari, adottando un atteggiamento più attivo e partecipe nella scelta degli assets su cui proiettare le proprie strategie di investimento.
Inoltre, il private equity è da ritenersi uno strumento di rilevante importanza per la crescita economica globale dato che, al di là dei rendimenti attesi dagli investitori, tende a favorire la nascita di nuove imprese ovvero la crescita/lo sviluppo di aziende già presenti sul mercato, andando a sopperire alle difficoltà di finanziamento che le imprese, soprattutto in fase di start-up, si trovano ad affrontare. Gli interventi dei fondi di private equity sono spesso finalizzati a sostenere progetti di sviluppo o a risolvere problemi di passaggio generazionale o ancora a gestire situazioni di crisi.
Le modalità di intervento dei fondi
Le modalità di intervento dei fondi variano in funzione della fase del ciclo di vita dell’impresa e del grado di sviluppo dei mercati in cui l’impresa opera.
In considerazione delle diverse tipologie di fondi presenti sul mercato e dei vincoli legati alla minore liquidabilità che tali investimenti presentano, diventa di fondamentale importanza conoscere la tipologia del fondo, le tecniche di investimento adottate e gli impatti fiscali che tale investimento comporta.
La definizione di private equity
All’inizio degli anni Ottanta il termine private equity indicava l’apporto di capitale azionario, o la sottoscrizione di titoli convertibili in azioni, da parte di operatori specializzati, in un’ottica temporale di medio-lungo termine, effettuato nei confronti di imprese non quotate e con elevato potenziale di sviluppo.
Negli anni, pur rimanendo invariati i presupposti di fondo, le caratteristiche dell’attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio sono mutate, offrendo una maggiore e variegata gamma di possibilità di intervento.
Da un punto di vista meramente terminologico, in passato il concetto di private equity ha assunto connotati differenti negli Stati Uniti e in Europa.
La differenza tra Stati Uniti e Europa
Negli Stati Uniti con tale locuzione si indicava l’attività di investimento nel capitale di rischio dell’impresa target nella sua interezza, distinguendo al suo interno operazioni di venture capital da operazioni di buyout. In Europa, invece, la locuzione venture capital comprendeva tutte quelle operazioni che investivano in imprese in fase di start-up, ricomprendendo nella definizione di private equity tutte le altre forme d’investimento.
A seguito di un processo di standardizzazione, anche in Europa si è aderito alla definizione adottata negli Stati Uniti; di conseguenza, oggi, secondo una definizione riconosciuta a livello internazionale l’attività di private equity raggruppa tutte quelle operazioni inerenti agli investimenti in capitale di rischio sia acquisendo azioni esistenti da terzi sia sottoscrivendo azioni di nuova emissione mediante l’apporto di nuovi capitali.
Tipologie di investimenti in private equity
Gli investimenti in private equity si differenziano non solo in base alla tipologia/settore di attività in cui operano le società target, o alla loro specializzazione, ma anche in base alla fase di vita in cui l’azienda si trova al momento dell’investimento.
Pertanto, si parlerà di:
- venture capital qualora l’investimento si concentra su aziende nelle prime fasi di vita. A loro volta i fondi di venture capital si suddividono in:
- seed financing ovvero finanziamento dell’idea, l’investitore interviene nella fase di sperimentazione, non esiste il prodotto ma un’idea o invenzione;
- startup financing dove l’investitore interviene nella fase di avvio dell’attività produttiva;
- expansion financing, operazione volta allo sviluppo di società che hanno già raggiunto un certo grado di maturità spesso con flussi di cassa negativi ma con grandi potenzialità di crescita e che necessitano di cassa per finanziare nuovi prodotti o sviluppi di mercato;
- management buy-out (mbo) – management buy-in (mbi) investimenti in società medio/grandi dove il management assume un ruolo di imprenditore rilevando assieme ad un fondo di private equity l’azienda. Si chiamano mbo quelli in cui il management dell’azienda compra, mbi quelli in cui sono manager esterni all’azienda che comprano;
- special situation o fondi di turnaround, investimenti in aziende in crisi e che a loro volta si suddividono in turnaround operativi e turnaround finanziari;
- per Going private si intendono, infine, investimenti in aziende quotate dove l’investitore di Pe mediante l’acquisto di azioni ritira l’azienda dal mercato per rifocalizzarla e cederla con profitto.
Il ciclo di vita dei fondi di private equity
I fondi di private equity hanno una durata predefinita generalmente tra i 5 e i 15 anni articolata in due fasi principali:
- “investment period“, fase in cui il fondo realizza investimenti e richiama i capitali sottoscritti (cosiddetto capital call)
- “disinvestment period“, fase dedicata alla gestione e allo sviluppo delle imprese-target in funzione della loro dismissione durante questo periodo non è possibile fare nuovi investimenti.
Gestione e regolamentazione
In fase di sottoscrizione, l’investitore è già a conoscenza dell’ammontare massimo che andrà a sottoscrivere (“commitment”), come anche della tipologia/settore in cui operano le imprese target oggetto di investimento.
La gestione è demandata a gestori professionisti (Gefia) che operano in conformità con la disciplina stabilita dalla Direttiva europea n. 2011/61/Ue che regolamenta i gestori di fondi di investimento alternativi (Alternative investment fund managers “Direttiva Aifm”).
Aspetti normativi
In questo variegato mondo legato alle modalità operative proprie di ciascuna tipologia di fondo, da un punto di vista normativo, gli investimenti in fondi di private equity sono effettuati per il tramite dei cosiddetti fondi di investimento alternativi (Fia), ovvero fondi comuni che investono in strumenti finanziari non quotati e attività immobiliari, caratterizzati da un minor grado di liquidità e maggiore flessibilità negli investimenti, rispetto agli altri fondi comuni di investimento (Organismi di investimento collettivo in valori mobiliari – Oicvm disciplinati dalla Direttiva 2009/65/Ce).
Per quanto attiene alla definizione di Fia, essi sono individuati “per differenza” come quei fondi che non rientrano nella definizione di Organismi di investimento in valori mobiliari di cui alla Direttiva 2009/65/Ce (la “Ucits IV”). Non rileva, ai fini della nozione di Fia, la circostanza che i fondi siano di tipo aperto o chiuso e che siano o meno quotati, così come non rileva la loro struttura giuridica (contrattuale, societaria o di altra natura), essendo determinante la circostanza che siano presenti gli elementi tipici di uno schema di investimento collettivo piuttosto che la natura formale del veicolo utilizzato.
La definizione di Oicr
Il Testo unico dell’intermediazione finanziaria (Tuf) definisce l’Organismo di investimento collettivo del risparmio (Oicr) come quello il cui patrimonio è:
- raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione o l’offerta di quote o azioni
- gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi
- investito in strumenti finanziari, inclusi i crediti erogati a valere sul patrimonio dell’Oicr.
Impatti fiscali: la tassazione dei fondi non armonizzati
Da un punto di vista fiscale, un importante sostegno alla diffusione degli investimenti in fondi non armonizzati, tra cui rientrano gli investimenti in fondi di private equity, si è avuta a seguito dell’entrata in vigore della normativa che ha esteso il regime di tassazione proprio dei fondi armonizzati, soggetti a imposta sostitutiva del 26%, anche ai fondi non armonizzati al ricorrere di determinate condizioni.
Condizioni per l’applicazione dell’imposta sostitutiva
In particolare, i proventi derivanti dagli investimenti in fondi di private equity sono redditi di capitale soggetti a imposta sostitutiva (imposta sostitutiva del 26%) a condizione che:
- siano diversi dai fondi immobiliari;
- ancorché non conformi alla direttiva 2009/65/Ce, siano istituiti nell’Unione europea o in un Paese aderente all’Accordo sullo spazio economico europeo,
- il gestore sia soggetto a forme di vigilanza nel Paese estero nel quale è istituito, ai sensi della direttiva 2011/61/Ue, le quote o azioni siano commercializzate nel territorio dello Stato italiano nel rispetto della normativa vigente (art. 43 del Tuf).
Ritenuta alla fonte sui proventi
Al ricorrere delle condizioni innanzi esposte, sui proventi distribuiti in costanza di partecipazione e quelli compresi nella differenza tra il valore di riscatto, cessione o liquidazione delle quote o azioni e il costo medio ponderato di sottoscrizione o di acquisto dev’essere operata una ritenuta alla fonte attualmente pari al 26%.
Il rimborso di capitale non è soggetto a ritenuta.
Soggetti obbligati all’applicazione della ritenuta
La ritenuta è applicata a titolo di acconto nei confronti di:
- imprenditori individuali, se le partecipazioni sono relative all’impresa;
- società in nome collettivo, in accomandita semplice e associazioni artistiche e professionali equiparate;
- società di capitali ed enti commerciali e stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di entità non residenti.
Nei confronti di tutti gli altri soggetti, compresi quelli esenti o esclusi dall’imposta sul reddito delle società, la ritenuta è applicata a titolo d’imposta.
Tassazione per le imprese: plusvalenze e partecipation exemption
Per quanto attiene alla determinazione del reddito di impresa è necessario evidenziare che l’investimento in fondi di private equity, anche qualora sia rappresentato da azioni, non avendo natura partecipativa (l’investitore è sempre escluso dalle scelte di investimento) sarà assimilato, ai fini fiscali, a un investimento in titoli in serie e di massa.
Di conseguenza, le plusvalenze realizzate nell’esercizio di impresa sono assoggettate a tassazione a fini Ires in misura ordinaria non rendendosi applicabile la normativa della partecipation exemption (Pex).