Per il 32% delle pmi italiane l’internazionalizzazione verso la Cina avviene nella forma della commercializzazione di prodotti e servizi, mentre per il 24% nella produzione per conto terzi o tramite strutture preesistenti
Il 18% dichiara di aver riportato nell’anno della crisi valori stabili in termini di fatturato e il 20% di aver registrato addirittura un incremento. Poco meno di un terzo, invece, ha registrato un calo superiore al 20%
Boselli: “Pechino sarà senza dubbio un attore ancora più importante per le imprese, a partire proprio da quelle piccole, in considerazione di risultati economici significativamente migliori di quelli del resto del mondo e di prospettive simili per il 2021”
Il campione analizzato
L’indagine ha coinvolto i più alti responsabili a livello generale o a livello di gestione delle operazioni in Cina di 180 pmi italiane, di cui il 39,6% con sede in Lombardia e una quota compresa tra l’11 e il 14% presente in Toscana, Emilia-Romagna e Veneto. Nel 92,6% dei casi, inoltre, si tratta di aziende di proprietà interamente italiana, con quote residuali di partecipazione o di maggioranza cinese o estera. I settori maggiormente rappresentati solo il tessile e la meccanica, ma anche l’alimentare, i beni di lusso e la logistica, tra gli altri.
Entrando nel dettaglio delle relazioni con Pechino, per il 32% delle rispondenti l’internazionalizzazione verso la Cina avviene nella forma della commercializzazione di prodotti e servizi, per il 24% nella produzione per conto terzi o tramite strutture preesistenti, per il 21% nell’apertura di un ufficio operativo e per il 22% nell’appoggio su fornitori esteri. Tra coloro che dichiarano di possedere stabilimenti o uffici di rappresentanza nel Paese, il 40% si trova a Shanghai, l’11,8% nel Jiangsu e nel Guangdong e il 10,1% a Beijing.
La presenza in Cina
Oltre il 76% del campione considera la Cina come “mercato di sbocco”, il 12,2% come “sede produttiva delocalizzata” e l’11,45% come “hub regionale”. E, sulla stessa linea d’onda, le ragioni che spingerebbero le rispondenti ad approdare nella Terra del Dragone sono principalmente lo sviluppo di nuovi mercati di sbocco (che ottiene una valutazione superiore a 4, in una scala da 1 a 5, nell’84% delle risposte), il basso costo del lavoro (65% di risposte inferiori a 2), la disponibilità di materie prime (69%), i vantaggi fiscali (79%), i minori vincoli di natura ambientale (88%) e i minori vincoli per i diritti dei lavoratori (92%).
Le opportunità della crescita cinese
Nel valutare le azioni da intraprendere per cogliere le opportunità derivanti dalla crescita cinese, la politica maggiormente citata è quella dell’incremento della competitività del sistema italiano (un terzo dei consensi), ma anche l’esigenza di stringere accordi con Pechino per la libera circolazione delle merci (un quinto delle preferenze) e la richiesta di imporre vincoli qualitativi ai prodotti cinesi in circolazione nell’Unione europea (con valori analoghi). Certo, le imprese tricolori non mancano di volgere lo sguardo anche sulle ricadute della crisi, avendo dovuto affrontare in molti casi una chiusura degli impianti ma anche l’interruzione delle linee di fornitura. Complessivamente, il 18,82% dichiara tuttavia di aver riportato valori stabili in termini di fatturato e il 20% di aver registrato addirittura un incremento. Considerando l’anno in corso, invece, il 25% si attende ricavi stabili, poco meno del 45% prevede una crescita e il 30% un ulteriore calo.
Quest’anno, conclude, “sarà un anno di svolta per lo stato di salute di molti operatori economici e per le opportunità da cogliere nel rinnovato contesto di una Cina che promuove i consumi interni e favorisce le relazioni internazionali. Conoscere le caratteristiche delle pmi, ovvero di quelli che spesso sono i principali protagonisti delle relazioni economiche tra Italia e Cina, e ascoltarne la voce è un esercizio fondamentale per il successo degli scambi commerciali”.