L’inflazione alla fine è arrivata. Negli Stati Uniti l‘indice dei prezzi al consumo a maggio ha segnato un rialzo del 5% su base annua, l’aumento più alto da quasi 13 anni. In Europa, l’aumento è stato del 2%, appena sopra l’obiettivo di stabilità dei prezzi dichiarato della Bce. D’altronde, la dinamica inflattiva era ampiamente attesa dagli analisti, alla luce degli ingenti stimoli fiscali e monetari messi in campo dalle autorità di tutto il mondo e considerando l’effetto base, ovvero il termine di paragone cui si riferiscono i numeri odierni. La vera domanda ora è: l’inflazione è qua per restare?
A sentire la Fed si direbbe di no. Jerome Powell continua a ripeterlo in diverse salse. E a chi esprime timori di un ritorno dell’iper-inflazione risponde: è molto improbabile che il mondo riviva gli anni ’70. D’altra parte, a metà giugno la banca centrale Usa ha segnalato l’intenzione di adottare un approccio meno indulgente. E secondo Amundi, l’ipotesi che gli stimoli ultra-espansivi possano sollevare l’inflazione oltre i livelli desiderati è un’ipotesi non prima di fondamento, benché estranea allo scenario di base del colosso francese. Quali le implicazioni per gli investitori di un’inflazione più alta? La principale è a livello di asset allocation: il modello 60 (bond)/40(azioni) andrebbe rivisto. La correlazione tra azioni e obbligazioni, del resto, è divenuta positiva e i rendimenti attesi di una tale impostazione del portafoglio sono inferiori rispetto al passato. Amundi stima che un portafoglio ancorato a modello 60/40 nei prossimi dieci anni possa restituire il 3,5% annuo negli Stati Uniti (contro 8,9% degli ultimi dieci anni) e il 2,9% in Europa (contro il 5,3% della decade passata).In tale contesto, per il gestore francese, gli unici strumenti a disposizione degli investitori sono aumentare l’esposizione azionaria e aumentare il ventaglio di asset class tramite cui diversificare il rischio.
Al netto di queste considerazioni strutturali di portafoglio, qual è l’outlook di mercato per la seconda metà dell’anno? Il secondo semestre del 2021 dovrebbe regalare ancora qualche soddisfazione agli investitori. Su questo punto convergono sia
Giovanni Brambilla, ad e responsabile investimenti di AcomeA sgr sia David Dudding, gestore del fondo Threadneedle (Lux) global focus di Columbia Threadneedle Investments. I motivi che giustificherebbero questo ottimismo sono due: le campagne vaccinali alimentano speranze di crescita e le banche centrali continueranno a sostenere i mercati, tramite l’ulteriore espansione dei loro bilanci. La Bce infatti non dimostra di avere alcuna intenzione di adottare una politica monetaria più restrittiva, mentre la Fed si prepara a farlo ma solo dal prossimo anno. Dagli ultimi annunci emerge infatti come la banca centrale americana stia preparando il terreno per un tapering (riduzione dello stimolo monetario) nel 2022 e un rialzo dei tassi nel 2023. Queste manovre potrebbero far salire effettivamente i tassi d’interesse del Treasury già nei prossimi mesi e generare una maggiore volatilità rispetto alla prima parte dell’anno. “
L’impatto sui mercati dipenderà da quanto i tassi Usa saliranno e, soprattutto, dalla velocità di questo movimento” afferma Brambilla che spiega come un inasprimento monetario da parte della Fed a causa di un rialzo dei tassi reali, in generale, possa rappresentare un problema per gli asset di rischio, specialmente in un contesto in cui il ciclo economico rallenta e l’inflazione attesa inizia a scendere. A livello operativo questo si traduce in un possibile proseguimento del rally dei titoli ciclici.
“Gli ultimi anni dimostrano che il value può sovraperformare rispetto ai titoli growth in un contesto di tassi reali in salita”, continua Brambilla. Per Dudding invece entrambi i comparti dovrebbero fare bene. Il gestore riconosce che “al momento, gran parte del rally dei titoli value ha fatto il suo corso”. Ma è convinto che la dinamica inflattiva e di crescita possa favorire entrambi. “I titoli value performano meglio perché è più facile crescere per le aziende in grado di partecipare alla ripresa. I titoli growth, invece, beneficiano di una crescita strutturale, che li rende meno dipendenti dall’andamento dell’economia”, spiega il gestore di Columbia Threadneedle. Per gli amanti del mondo growth, gli Stati Uniti rimangono il mercato di riferimento: qui, gli esempi d’innovazione, sia lato della tecnologia che nel perimetro della sanità, abbondano. A partire dalle big tech, nonostante prezzi non certo a buon mercato. “Alphabet e Amazon sono, per esempio, società che generano molta liquidità. Penso che le prospettive per queste aziende continuino ad essere eccellenti, nonostante la gente ritenga che siano care”, afferma Dudding, che aggiunge: “In Europa, invece l’innovazione prende una forma differente, quella degli investimenti responsabili e di una maggiore allocazione del capitale verso progetti più rispettosi dell’ambiente”.
Secondo Brambilla, in ogni caso,
entrambe le aree geografiche vanno inserite in portafoglio: gli Stati Uniti per il contesto macroeconomico, l’Europa per i fondamentali micro delle aziende. “Sotto il profilo delle valutazioni, il Vecchio continente, e nello specifico il
mercato italiano, risulta essere molto più interessante di quello statunitense, in particolare per il
potenziale ancora inespresso dai prezzi attuali, anche in virtù di un cambiamento di rotta significativo a livello di politica fiscale, attualmente espansiva rispetto alla fase pre-pandemica, durante la quale la parola d’ordine era austerità”, spiega l’ad di AcomeA, che chiosa: “
Interessante, da un punto di vista valutativo, anche il Giappone, mercato ancora poco considerato dagli investitori esteri rispetto al passato, nonostante sia protagonista di un cambiamento epocale, per la maggiore attenzione alla profittabilità delle aziende rispetto al passato”.
Infine c’è il discorso delle materie prime, asset class sotto-pesata negli ultimi anni, ma dalle prospettive borsistiche buone, a medio termine. Se finora infatti il rialzo è stato dettato dalla domanda, pompata dagli stimoli e dai colli di bottiglia conseguenti la riapertura, nuovi fattori strutturali potrebbero concorrere a sostenere ulteriori rialzi. “I trend legati alla sostenibilità ambientale probabilmente influenzeranno notevolmente la produzione e i prezzi delle materie prime. A ciò si aggiungono gli effetti del cambiamento climatico sull’agricoltura”, conclude Duddling, che limiteranno sempre più la capacità produttiva di alcune commodity
(articolo tratto del magazine We Wealth di luglio-agosto 2021)
L’inflazione alla fine è arrivata. Negli Stati Uniti l’indice dei prezzi al consumo a maggio ha segnato un rialzo del 5% su base annua, l’aumento più alto da quasi 13 anni. In Europa, l’aumento è stato del 2%, appena sopra l’obiettivo di stabilità dei prezzi dichiarato della Bce. D’altronde, la dina…