Quasi 18 miliardi di patrimonio investito. A tanto ammontano le masse allocate sui piani individuali di risparmio nel terzo trimestre 2022, in contrazione di 315 milioni di euro. Il dato definitivo nella Mappa trimestrale dell’ufficio Studi Assogestioni: 17,9 miliardi di euro il patrimonio promosso complessivo, suddiviso fra pir ordinari (16,5 miliardi) e pir alternativi (1,5 mld). Dalla mappa emerge che ad avvalersi dello strumento sono soprattutto i gruppi italiani, detentori del 77% del patrimonio totale (14 miliardi).
Guardando al periodo che parte dal quarto trimestre 2021, in cui la raccolta era stata positiva sia per le sottoscrizioni che per l’effetto mercato, è visibile nei trimestri successivi la prevedibile contrazione dovuta alle incertezze geoeconomiche del 2022. Osservando però la figura che segue, si vedrà che il traino verso il basso del valore della raccolta è dovuto per lo più all’effetto mercato, segno di una certa fiducia dei sottoscrittori nei confronti dello strumento, nonostante tutto. Un’alternativa ai piani di accumulo.
I piani individuali di risparmio sono i prodotti di risparmio gestito che maggiormente sostengono l’economia reale italiana: i pir almeno per il 70% devono essere rivolti a titoli di emittenti italiane; all’interno di questo 70%, il 25% non deve appartenere al Fuzzy Mib; il 5% né al Fuzzy né alle midcap. Esiste un vantaggio fiscale di permanenza). Costituiscono un’opportunità per i risparmiatori di accedere “all’investimento in aziende sane, spesso non presenti sul mercato dei capitali, interessate a crescere non necessariamente tramite il credito degli intermediari”, osserva Simone Bini Smaghi, vicedirettore generale di Arca Fondi sgr, durante la presentazione dei dati.
Sia azionari che obbligazionari. Liquidi. Diversificati. Sono i pir
I pir “sono fondi aperti: si investe in strumenti liquidi, sia azionari che obbligazionari. Diversificati”. In Italia c’è una penuria cronica di investimenti in private equity. I pir alternativi, pensati per le pmi non quotate, possono secondo Bini Smaghi “far da volano, permettere a tante imprese di avere a disposizione risorse senza essere costrette a quotarsi subito. Il risparmio nel Paese c’è, ma non è allocato ottimamente”. Aggiunge Andrea Randone (responsabile ricerca mid e small cap Intermonte di Intermonte): “Grazie ai pir i fondi di investimento si sono potuti strutturare in senso favorevole alle piccole e medie imprese, quelle di reperire risorse al di fuori del canale dell’indebitamento bancario”.
“Uno degli scopi dei pir è quello di aiutare le aziende italiane a essere investibili”, commenta Barbara Lunghi, head of primary market, Euronext, Milano. I pir (ordinari) hanno incoraggiato le imprese italiane a quotarsi, consapevoli del fatto che esiste un pool di liquidità profondo, loro dedicato”.
Prosegue Lunghi: “Dal 2017 si sono quotate 200 società per una raccolta di 14 miliardi di euro e una capitalizzazione di 75 miliardi. Il 2021 è stato un anno record per la quotazione, per molte piccole e piccolissime aziende. Nello stesso 2022 ci sono state 22 operazioni nonostante la crisi geopolitica, segnale di appetito delle piccole imprese italiane verso la Borsa”, intesa come viatico “per la crescita, gli investimenti in sostenibilità, in talenti. Circa 10% del mercato Euronext Growth è investito attraverso pir. Anche per quanto riguarda lo small e il mid la percentuale si attesta intorno al 9-10%”.
Percentuale che supera questa soglia, secondo quanto riporta Andrea Randone: “In fase di ipo – come visibile dal book – i pir sono stati protagonisti, ben oltre il 10% del flottante”.