Xi Jinping: “Continueremo a sostenere lo sviluppo delle pmi, istituendo la Borsa di Pechino come strumento al servizio di quelle orientate all’innovazione”
Secondo un’analisi di Cordusio Sim, le azioni più penalizzate dalla stretta cinese sono quelle denominate in dollari e negoziate nelle borse statunitensi (“Adr”)
Ricchezza “condivisa”: gli impegni di Alibaba
Il lancio fa seguito infatti ai nuovi propositi sulla “prosperità comune” annunciati da Xi nel mese di agosto e volti a “regolamentare i redditi eccessivamente alti e incoraggiare gruppi e imprese ad alto reddito a restituire di più alla società”. Se da un lato i settori che non li rispetteranno “saranno penalizzati”, quelli che aiuteranno a garantirne il raggiungimento godranno di “un notevole vantaggio politico”, afferma Green. E, come rivela il quotidiano economico-finanziario britannico, questo potrebbe andare a vantaggio anche proprio della piccola imprenditoria. A cogliere il nuovo driver della politica cinese è stata tra le altre Alibaba, che si prepara a stanziare 15 miliardi di dollari entro il 2025 a supporto delle pmi e dei lavoratori della gig economy. Ma a scendere in campo sono state anche Tencent, Geely e Pinduoduo.
Legge sulla privacy sul web in vigore dal 1° novembre
Senza dimenticare poi la prima legge sulla privacy sul web che, approvata lo scorso 20 agosto dal Congresso del popolo, entrerà in vigore dal 1° novembre. E si prepara a imporre nuovi paletti alle aziende tecnologiche cinesi. Nel dettaglio, si parla di limitare “al minimo il trattamento delle informazioni personali” e tale trattamento dovrà avere “uno scopo chiaro e ragionevole”. Inoltre, le aziende dovranno ottenere il consenso degli individui coinvolti, identificare un responsabile della protezione dei dati e prevedere controlli periodici sulla conformità alla legge.
Ecco le azioni più penalizzate dalla stretta cinese
“Gli interventi regolatori, nella sostanza, appaiono del tutto ragionevoli per un Paese che vuole muovere il centro della sua economia dalle esportazioni ai consumi interni”, osserva Cordusio Sim in una nota. Ma per comprendere quali sono le azioni più penalizzate dalla stretta cinese, secondo la società di intermediazione mobiliare del Gruppo Unicredit, bisogna innanzitutto precisare che ci sono tre modi per investire nelle società della Terra del Dragone: le azioni domestiche cinesi, vale a dire di società con sede legale nella Cina continentale, denominate in renminbi e negoziate sui listini di Shanghai e Shenzen (definite “A-Share”); le azioni cinesi con sede legale fuori dalla Cina continentale, denominate in dollari di Hong Kong e negoziate sulla Borsa di Hong Kong (“H-Share”); e quelle denominate in dollari e negoziate negli Stati Uniti (“American depositary receipt” o “Adr”).
“Rispetto alla recente correzione l’indice Shanghai Shenzhen Csi 300 (A-share), costruito per replicare la performance delle top 300 società cinesi onshore, è sceso del 1,8% (total return in euro), l’indice Hang Seng China Enterprises (H-share) è sceso del 11,8% e l’indice S&P/Mellon China Adr è sceso del 25.6%”, spiega Cordusio Sim. Questo significa che il Far West normativo ha avuto un impatto negativo maggiore sulle società negoziate nelle borse statunitensi, tra cui proprio le big tech cinesi. “A nostro avviso questo segnala non solo una volontà regolamentare, ma anche una pressione sulle società quotate all’estero, affinché ritornino nel mercato cinese o almeno rispettino alcune delle più stringenti regole che le società onshore già devono seguire”, si legge nell’analisi. Che si chiude con una nota positiva. Per Cordusio Sim, le recenti rassicurazioni delle autorità cinesi mostrerebbero come l’attività regolamentatrice si avvii alla conclusione. E, con essa, anche il “recente picco di volatilità”.