Anche il titolo della rubrica dell’art. 1218 c.c, riferito all’adempimento o esatto adempimento cui è tenuto il debitore, allude non a un obbligo, ma alla responsabilità, precisando che il soggetto obbligato è tenuto anche al risarcimento dei danni, aumentando così la portata dell’esposizione di natura risarcitoria a cui è esposto chi non adempie, o non adempie esattamente.
Non solo, ma a garanzia di questa responsabilità, l’art. 2901 c.c. aiuta il creditore a rendere inefficaci nei suoi confronti tutti quegli atti che possono pregiudicare le proprie ragioni, specie a fronte di atti a titolo gratuito, facilmente revocabili dovendosi provare soltanto il pregiudizio che l’atto ha arrecato alle garanzie del creditore.
Di fronte a questi dati, non proprio positivi per il debitore, esiste, tuttavia il secondo comma dell’art. 2740 c.c, il quale introduce delle limitazioni a tale responsabilità che possono, però, trovare solo la fonte nella legge e non nell’autonomia privata.
Tornando al nostro tema, il primo pericolo è proprio terminologico, nella parola limitazione, che è inequivocabilmente più generica e diversa dal termine più ampio, quale segregazione o protezione; una sorta di destinazione preordinata a soddisfare una determinata finalità.
Una prima conclusione su questo quadro è quindi che la responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 fissa un perimetro oggettivo, relativo al patrimonio del debitore unitariamente considerato, recuperabile attraverso l’azione revocatoria per atti in danno del creditore, con però una tipicità delle ipotesi di limitazione che, in realtà, hanno più un connotato di riduzione del diritto di proprietà che di tutela o protezione nei confronti dei creditori.
Prima comunque di affrontare alcune limitazioni classiche di responsabilità patrimoniale, come il fondo patrimoniale e il vincolo di destinazione, in modo provocatorio vorrei trattare l’ampliamento della garanzia del creditore che si attua attraverso il regime della comunione legale fra coniugi. È, infatti, un regime dinamico in forza del quale in base a quanto previsto dall’art. 177 c.c., tutti gli acquisti effettuati dai coniugi durante il matrimonio cadono in comunione immediata anche se compiuti separatamente e anche se il bene sarà formalmente intestato a uno solo dei coniugi.
Un primo pericolo, tuttavia, è quello di pensare che la comunione legale sia simile alla comunione ordinaria e che conseguentemente in caso di aggressione dei relativi beni da parte dei creditori particolari di uno dei coniugi, si rischi soltanto la quota del 50%, come nella comproprietà ordinaria.
Non è così, perché nella comunione legale non esiste una quota presunta del 50% su cui potersi soddisfare, ma il creditore dovrà assoggettare a pignoramento l’intero bene, in quanto tale regime non identifica una specifica “quota”, ma una contitolarità in forza della quale entrambi i coniugi saranno titolari dell’intero e per ciò subiranno entrambi l’esecuzione forzata. È vero che esiste la sussidiarietà od escussione preventiva dei beni personali, ma di fronte alla loro infruttuosità, ex art. 189 c.c, i beni della comunione verranno assoggettati a pignoramento per intero.
Ciò non avviene nella comunione ordinaria nella quale è solo il singolo comproprietario, anche se coniuge, a subire l’esecuzione forzata, anche se poi verrà avvisato dal creditore e sarà costretto a subire l’esito della procedura.
Nella comunione legale, l’assoggettamento al pignoramento per l’intero bene della comunione legale è stato confermato da diverse pronunce giurisprudenziali a partire dalla sentenza della Cassazione Civile del 14.3.2013, n. 6575, attraverso la quale è stato raggiunto l’approdo secondo il quale l’assenza di quote e l’impossibilità che nella comunione legale possa rientrare un estraneo, comporta la necessità per il creditore procedente di sottoporre a pignoramento l’intero bene, nonostante debitore sia soltanto uno dei coniugi, con la conseguenza che all’altro andrà solo metà del ricavato dalla vendita all’asta del bene, al lordo delle spese.
La giurisprudenza di merito si è uniformata all’orientamento appena richiamato, dichiarando improcedibili i procedimenti i cui pignoramenti colpivano soltanto l’ipotetica quota del 50% del bene facente parte della comunione (Tribunale di Velletri 10.10.2019 – Tribunale di Roma 10.11.2020).
Ma qual è il vero corto circuito, l’insidia o pericolo nascosto e perchè le pecche vengono fuori nei momenti peggiori?
Perché la scoperta di questo pericolo, il più delle volte viene fatta quando il debitore (uno dei coniugi) subisce il pignoramento dell’intero bene (momento peggiore) e scopre di essere coinvolto nell’esecuzione, pur non essendo debitore (pecca). Se poi entriamo nelle limitazione alla responsabilità patrimoniale generica, affrontando l’efficacia protettiva del fondo patrimoniale e del vincolo di destinazione, i pericoli nascosti non mancano.
Nel fondo patrimoniale, il pericolo è insito proprio nella destinazione dei beni a soddisfare i bisogni della famiglia, escludendone l’esecuzione forzata per i debiti estranei, oltretutto estraneità che deve essere nota al creditore.
Per quanto introdotto con la riforma del diritto di famiglia del 1975, la giurisprudenza non ha ancora chiarito quali debiti possano rientrare, o meno, nella finalità appena detta, senza considerare che tale strumento è applicabile solo in presenza della famiglia legittima.
Secondo dottrina e giurisprudenza, i beni sarebbero pignorabili quando:
- il debito è stato contratto per far fronte ai bisogni della famiglia;
- il debito è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, la cui estraneità è – però – ignota al creditore;
Non sarebbero pignorabili:
- quando il debito è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, la cui estraneità è – invece – nota al creditore.
Per fare degli esempi concreti, oggi, va comunque evidenziato che la giurisprudenza ricomprende nel bisogno, sia quello diretto che quello indiretto:
- Diretto sarebbe il debito per l’acquisto dell’abitazione per la famiglia e il relativo mantenimento, comprese le spese condominiali; il debito per l’acquisto del veicolo per uso privato.
- Indiretto sarebbe il debito per soddisfare il pieno mantenimento ed armonico sviluppo della famiglia, nonché il potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi (formula ricorrente a partire da Cass., 7 gennaio 1984, n. 134 e poi più volte ribadita, così tra le tante: Cass. 5. maggio 2017 n.10985; Cass. 11 luglio 2014 n. 15886).
La giurisprudenza, come esempi, ha ritenuto rientrante nei bisogni indiretti:
- Il credito dell’avvocato nei confronti del cliente che si sia avvalso dell’attività del professionista per il recupero di un credito professionale (Trib. Taranto, 5 dicembre 2014);
- Il credito dell’istituto bancario verso l’imprenditore commerciale anche se il di lui coniuge sia del tutto estraneo alla gestione dell’impresa (Cass. 19 febbraio 2013, n. 4011) in quanto il potenziamento dell’impresa è funzionale al far fronte ai bisogni familiari.
- Il credito dell’istituto previdenziale verso l’imprenditore commerciale anche se il coniuge sia del tutto estraneo alla gestione dell’impresa (Cass. 28 ottobre 2016 n. 21800) in quanto il pagamento del debito previdenziale è necessario per l’esistenza dell’impresa i cui proventi serviranno a far fronte ai bisogni familiari;
- Il credito tributario verso l’impresa è da ricomprendere nel debito contratto per soddisfare i bisogni della famiglia in quanto il criterio identificativo va ricercato nella relazione esistente fra il fatto generatore delle obbligazioni e i bisogni della famiglia, per cui non assume rilievo la natura pubblicistica del credito derivante da un accertamento tributario (Comm. trib. reg. Roma, (Lazio) sez. IV, 08/10/2020, n.2887).
Tali orientamenti consolidati e piuttosto limitativi dell’efficacia del fondo patrimoniale, si sono ridimensionati soltanto di recente con una pronuncia della Cassazione civile sez. I, 27/04/2020, n.8201, la quale ha ridotto l’ampia portata delle decisioni rese sull’argomento, affermando che “se il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell’attività professionale da cui quest’ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell’art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale”.
In verità con tale decisione i giudici hanno sostenuto che un conto sarebbe, come da indirizzo di legittimità ormai costante, sostenere che i bisogni della famiglia debbano essere ricostruiti in senso non restrittivo, ben altro discorso sarebbe avallare l’idea che il credito possa essere indiscriminatamente collegato solo in via indiretta ai bisogni familiari: anche se in modo molto sintetico, pare che la Suprema Corte abbia distinto la nozione di bisogno indiretto della famiglia (non legittimante l’esecuzione sui beni del fondo) e di bisogno non restrittivo (legittimante, invece, l’esecuzione sui beni del fondo).
Alcuni hanno sostenuto, poi, che se la fonte dell’obbligazione fosse da ricondurre a un fatto illecito, ossia da ricondurre a un’obbligazione extra-contratto, questa sarebbe da ritenere estranea ai bisogni della famiglia, ma così non è perchè il creditore potrà far valere la responsabilità sui beni costituiti in fondo patrimoniale qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta e immediata con le esigenze familiari in quanto è necessario guardare alla funzione del fondo patrimoniale, quale vincolo di destinazione, e non alla fonte dell’obbligazione, per determinarne l’estraneità, o meno, ai bisogni familiari.
Anche sull’ipoteca iscritta sui beni vincolati nel fondo patrimoniale, si è ribadito l’orientamento che ne ha affermato l’ammissibilità, per poi comunque lasciare aperta la discussione di merito sull’ammissibilità dell’esecuzione forzata in base agli orientamenti più sopra delineati (in questo senso anche di recente Cass. 25 febbraio 2020, n.5017- Cass.6 luglio 2020, n.13784).
Ma qual è il vero corto circuito, l’insidia o pericolo nascosto e perchè le pecche vengono fuori nei momenti peggiori?
Perchè il limite del fondo si riscontra nel fatto che la discussione sull’assoggettamento, o meno, dei beni a esecuzione forzata si ha a pignoramento avvenuto (che è il momento peggiore), in quanto il bene vincolato nel fondo rimane intestato al coniuge o a entrambi i coniugi, e saranno quindi loro a dover proporre opposizione sostenendo l’estraneità del debito ai bisogni della famiglia e la conoscenza dell’estraneità in capo al creditore stesso (la pecca).
Non occorre che sul punto si pronunci la Suprema Corte, la quale da un punto di vista processuale, ha più volte ribadito (Cassazione civile sez. I, 27/04/2020, n.8201) l’onere probatorio in capo al debitore sulla natura estranea del credito ai bisogni della famiglia e che il creditore fosse a conoscenza di tale estraneità (Cass. 7 giugno 2019, n. 15459 – Cass. 23 agosto 2018 n.20998). In questo senso si è mossa anche la giurisprudenza di merito (per tutte Tribunale Pordenone sez. I, 14/08/2020, n.442).
Da ultimo, anche la Cassazione Penale penale (sentenza n.23621 del 17.07.2020) ha ribadito una conclusione, anche se ovvia, ossia che la titolarità rimane in capo ai costituenti il fondo, nonostante la costituzione del fondo, perciò i beni possono essere assoggettati a sequestro e a confisca in conseguenza dei reati ascritti a uno dei conferenti ( Sez. 3, n. 1709 del 25/10/2012).
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DAL 1975 AL 2006 …
Dal 1975, anno della riforma del diritto di famiglia, facciamo una salto al 2006, quando fu introdotto l’art.2645 ter cod. civ., quale esempio più ampio della proprietà destinata, dando qui, come nel fondo patrimoniale, la possibilità all’autonomia privata di creare questa forma di proprietà “atipica”, il cui contenuto è determinabile dall’atto di destinazione, riducendone il potere in capo al proprietario, previsto dall’ 832 c.c. quale “diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo”.
Si tratta di un’altra eccezione all’art. 2740 c.c., il quale disciplina un atto tipico con un contenuto atipico, nel senso che la legge non stabilisce il suo contenuto (le motivazioni e la disciplina concreta della destinazione) che, essendo atipico, è sottoposto al giudizio di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c.
Ne sono esempi di finalità meritevole di tutela, tutte i valori a rilevanza costituzionale: la tutela disabili; famiglia in crisi; la famiglia di fatto.
Ma qual è, anche qui, il vero corto circuito, l’insidia o pericolo nascosto e perchè le pecche vengono fuori nei momenti peggiori?
Anche in questa costruzione, come nel fondo patrimoniale, il vincolo non può essere costituito in favore del proprietario del bene vincolato e i beni, almeno nell’interpretazione ma anche nella pratica professionale, non sono trasferiti a terzi, ma rimangono intestati al disponente.
Ciò si ricava testualmente dall’art. 2645-ter che individua quali beneficiari del vincolo persone con disabilità, pubbliche amministrazioni, altri enti o persone fisiche. È estraneo alla disciplina dell’art. 2645-ter un qualunque effetto traslativo. In altri termini, per come è disciplinato dal legislatore, l’atto costitutivo vincola ma non trasferisce il bene .
Ciò significa, quanto abbiamo detto per il fondo patrimoniale, ossia che il bene può essere comunque pignorato (che è il momento peggiore) e che sarà poi il disponente a dover proporre opposizione per far valere che il credito per cui si procede risulti estraneo allo scopo del vincolo stesso (la pecca).
… ARRIVIAMO AL 2015 …
In tutto questo, dal 1975, al 2006, arriviamo al 2015, quando è entrato in vigore il nuovo art. 2929 bis c.c., il quale consente al creditore, munito di titolo esecutivo, che sia pregiudicato da un atto a titolo gratuito del debitore, compiuto successivamente al sorgere del credito, di procedere a esecuzione forzata con la trascrizione del pignoramento entro un anno dalla trascrizione dell’atto che assume essere pregiudizievole, senza la necessità di ottenere preventivamente l’inefficacia nei suoi confronti dell’atto stesso mediante l’azione revocatoria.
Si tratta chiaramente di una inversione processuale, nel senso che non sarà più il creditore a dover instaurare un’azione di merito volta a revocare l’atto compiuto ai suoi danni, ma dovrà essere il debitore a opporsi facendo valere l’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di revocatoria.
Pacifico che si tratti di pignoramento applicabile sia al fondo patrimoniale che al vincolo di destinazione essendo atti a titolo gratuito se costituiti dopo il sorgere del credito ma prima dell’anno di costituzione del vincolo.
Ma qual è anche qui il vero corto circuito, l’insidia o pericolo nascosto e perchè le pecche vengono fuori nei momenti peggiori?
Perchè si subisce il pignoramento (momento peggiore), sarà poi il debitore a dover fare opposizione all’esecuzione per far valere l’infondatezza dell’azione revocatoria ( la pecca).
… FINO AI GIORNI NOSTRI
Anche in ambito aziendale abbiamo delle novità, perchè accanto alla personalità giuridica delle società di capitale che creano un’autonomia patrimoniale perfetta, oppure attraverso l’istituto societario dei patrimoni destinati a uno specifico affare, con l’introduzione del Codice della Crisi del 2019, è stata normativamente aumentata la responsabilità personale degli amministratori, contenuta nell’art. 2476 cod. civ. al quale l’art. 378 D.Lgs. nr. 14/2019 (Cci) ha introdotto il nuovo comma 6, in vigore dal 16.3.2019, che prevede che “gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali.
Ma qual è il vero corto circuito, l’insidia o pericolo nascosto e il perché le pecche vengono fuori nei momenti peggiori?
Perchè si ritiene che, se da un lato con il Codice della Crisi si siano previste procedure preventive preordinate a salvare l’azienda, dall’altro lato, si sono aumentate le responsabilità degli amministratori delle società più piccole, peraltro, in un periodo storico di incontestabile crisi economica (che è il momento peggiore).
L’azione di responsabilità, poi, da un lato, dimostra la competenza esclusiva degli amministratorri per la gestione dell’impresa, dall’altro lato, presuppone l’innoservanza degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, la cui natura extracontrattuale presuppone l’inesistenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti e un comportamento dell’amministratore (illecito gestorio) preordinato alla diminuzione del patrimonio sociale tale da pregiudicare la garanzia generica di cui all’art. 2740 c.c. con conseguente diritto del creditore a ottenere l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di assicurare, nel patrimonio personale dell’amministratore stesso (la pecca).
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Allora si può concludere che per quanto l’ordinamento, soprattutto con l’art. 2645 ter c.c. abbia sdoganato l’autonomia contrattuale come deputata a creare la proprietà destinata, anche i recenti interventi del 2015 in tema di pignoramento revocatorio, e del 2019 in tema di responsabilità personale degli amministratori, fanno pensare che, nonostante sia chiara a tutti l’esigenza di protezione, sia ancora presto parlare di esistenza di strumenti segregativi, specie per il patrimonio familiare, ma virtualmente protettivi, salvo che non si trasferisca il bene a terzi, come con lo strumento del trust o affidamento fiduciario, ovvero si attenda l’ingresso normativo, del contratto di fiducia, essendo ancora un disegno di legge del 2015.
Si può, quindi, affermare che nella protezione patrimoniale, specie all’interno della famiglia, i pericoli esistono, ma capire come neutralizzarli sembra essere un buon inizio, in attesa che si presentino momenti migliori!