Ma andiamo per gradi.
Il caso sottoposto al giudizio, o meglio, al “pregiudizio” dei supremi giudici europei (visto che si trattava di un rinvio pregiudiziale operato da una Corte di uno Stato membro), riguarda l’interpretazione del Regolamento UE n. 650/2012 in materia di successioni (o il “Regolamento”) a seguito del rifiuto di un notaio lituano di soddisfare la duplice richiesta di un suo cittadino di apertura della successione della defunta madre (domiciliata in Germania al momento del decesso, ma lituana di cittadinanza e nel cui paese aveva redatto testamento e ivi si trovavano i beni ereditari) e di rilascio del c.d. certificato successorio europeo (documento che, ai sensi del Regolamento, permette di vedersi riconosciuta la qualità di erede o legatario in uno Stato membro). A detta del notaio, infatti, la residenza abituale della defunta non era da considerarsi la Lituania, bensì la Germania.
Per comprendere meglio la fattispecie oggetto del rinvio pregiudiziale, occorre evidenziare che dal 17 agosto 2015 (data di entrata in vigore del Regolamento) una successione transfontaliera in ambito europeo deve essere regolata da un’unica legge e sottoposta ad un’unica giurisdizione (lex fori).
Il criterio generale da adottarsi in tal senso – e a questo criterio sembrerebbe essersi appellato il notaio lituano – è quello dello Stato in cui il defunto abbia la “residenza abituale” al momento della morte (articolo 21.1 del Regolamento) salvo che (e questi sono i criteri residuali):
- l’autorità che si occupi della successione decida, sulla base del complesso delle circostanze del caso concreto, per l’applicazione della legge dello Stato in cui il defunto aveva collegamenti manifestamente più stretti (articolo 21.2 del Regolamento); ovvero
- il defunto (quando ancora in vita) abbia esercitato la professio iuris disponendo, per testamento, che la legge che regola la sua intera successione debba essere quella dello Stato in cui ha la cittadinanza (o, in caso di più cittadinanze, di una tra le molteplici) al momento della scelta o al momendo del decesso (articolo 22 del Regolamento).
Sembrerebbe tutto molto chiaro se non fosse per il fatto che il Regolamento non fornisce alcune delle definizioni fondamentali (e necessarie) per procedere ad un analisi compiuta dei criteri appena delineati. Dubbi e frammentarietà che difatti hanno portato, in prima battuta, l’autorità dedita all’apertura della successione (il notaio) ad un approccio prudente e rivolto all’individuazione della “residenza abituale” là dove la defunta era domiciliata al momento del decesso (la Germania); ed in un secondo momento, ad un alternanza di decisioni da parte dei due giudici di merito (il criterio del “collegamento manifestamente più stretto” in un altro Stato, la Lituania, per il giudice di primo grado, ma successivamente smentito dal giudice di appello). Per giungere, infine, al Supremo giudice Lituano che ha ritenuto sollevare legittamente più questioni pregiudiziali alla Corte Europea tra cui, per quanto qui di interesse, se la fattispecie in questione debba rientrare nel novero delle «successione con implicazioni transfrontaliere» e se, in tale situazione, l’ultima residenza abituale del defunto, ai sensi del Regolamento, debba essere fissata in un solo Stato membro.
Ma quali sono queste definizioni che di fatto hanno portato a una (in)decisione dei giudici nazionali ? Principalmente due, la “successione transfrontaliera” e la “residenza abituale” che, per l’appunto, non sono definite nel Regolamento, ma i cui concetti, come vedremo, ruotano l’uno dietro all’altro e si completano a vicenda.
In particolare, il concetto di successione “transfrontaliera” risulta dirimente per comprendere se la stessa debba ricadere nel campo di applicazione del Regolamento e se così fosse indagare quale sia il criterio, tra quelli da questo delineati (e poc’anzi illustrati), applicabile al caso concreto avendo quale punto di partenza quello generale della “residenza abituale”: infatti, a detta del giudice comunitario, per verificare se una successione possa considerarsi transfrontaliera occorre determinare, in primo luogo, lo Stato membro della residenza abituale del defunto al momento del decesso e, in secondo luogo, se tale residenza possa essere fissata in un altro Stato membro in virtù dell’ubicazione di un altro elemento relativo alla successione in uno Stato membro diverso da quello dell’ultima residenza abituale del defunto. Più esplicative sul punto, sembrano essere le conclusioni dell’avvocato generale quando considera che, una volta stabilita la residenza abituale del defunto al momento della morte, si deve valutare se la successione non debba considerarsi puramente nazionale in virtù dell’ubicazione di un altro elemento in uno Stato diverso da quello della residenza del defunto quali, senza spirito di esaustività, l’ubicazione dei beni, degli eredi, dei legatari o di altri parenti prossimi del defunto, nonché, la nazionalità di quest’ultimo.
Quindi, come si può facilmente intuire, il concetto di successione “transfrontaliera” ruota intorno a quello di residenza abituale del de cuius al momento del decesso: se non si identifica quest’ultima non si può ragionevolmente verificare se una successione è transfrontaliera oppure meramente domestica. O, se si preferisce in chiave positiva, una successione può considerarsi transfrontaliera, se uno o più degli elementi che la compongono sono localizzati in uno Stato diverso da quello dell’ultima residenza abituale del defunto.
Ma, per l’appunto, come si individua e quali sono le caratteristiche della residenza abituale ?
Da una analisi attenta della sentenza di cui trattasi e delle relative conclusioni dell’avvocato generale, a parere di chi scrive per determinare la residenza abituale, bisogna tenere in considerazione gli elementi e le caratteristiche che seguono:
- rappresenta una nozione autonoma del diritto dell’Unione (e non si può rinviare a ciascuno dei concetti utilizzati negli ordinamenti nazionali, se non in via sussidiaria); e
- deve essere valutata tenendo conto degli obiettivi specifici di cui al considerando 7 del Regolamento (i.e. “corretto funzionamento del mercato interno rimuovendo gli ostacoli alla libera circolazione di persone che attualmente incontrano difficoltà nell’esercizio dei loro diritti nell’ambito di una successione con implicazioni transfrontaliere”); e
- non ci può essere più di una residenza abituale; e
- la sua individuazione spetta all’autorità che si occupa della successione; ma soprattutto
- deve essere quella che rivela un collegamento (i) stretto e (ii) stabile tra la successione e lo Stato interessato.
Quest’ultimo collegamento non può semplicemente basarsi sull’aspetto della “stabilità”, ossia dell’elemento temporale relativo alla durata della permanenza in un determinato Stato, quale può essere l’ultimo domicilio del defunto, ma deve anche essere “stretto”, ossia prendere in considerazione “l’insieme delle circostanze della vita di quest’ultimo negli anni precedenti la morte e al momento della morte, tenendo conto di tutti gli elementi fattuali pertinenti, tra cui anche le condizioni e le ragioni dello stesso nello Stato interessato”. Occorre cioè, come affermato dall’avvocato generale, “procedere all’esame di ciascun caso in modo che altri indizi, relativi all’integrazione familiare e sociale della persona, o alla sua vicinanza al luogo in questione, confermino il risultato cui conduce l’elemento temporale”.
E se ci si trova in quelle ipotesi più complesse in cui non si riesce ad individuare una presenza stabile e duratura in un determinato Stato (dovuta ad esempio alla mobilità delle persone), allora sembrerebbe che l’analisi suggerita dalla Corte Europea sia quella di fare riferimento, per l’individuazione della residenza abituale, a quella che presenta un collegamento manifestamente più stretto con il defunto. Infatti se quest’ultimo “era cittadino di uno Stato o vi possedeva tutti i suoi beni principali, la sua cittadinanza o il luogo in cui sono situati tali beni potrebbero costituire un elemento speciale per la valutazione generale di tutte le circostanze fattuali, qualora per motivi professionali o economici il defunto fosse andato a vivere in un altro Stato per lavoro, anche per un lungo periodo, ma avesse mantenuto un legame stretto e stabile con lo Stato di origine.”
Ed è proprio sulla scorta di quanto precede che il Giudice europeo, seguendo anche le conclusioni dell’avvocato generale, ha ritenuto che sulla base degli elementi che caratterizzavano il caso in questione (“uno dei potenziali eredi si trova in Germania, l’altro e i beni ereditari in Lituania e l’ultima residenza della defunta era in uno di detti Stati”), e salvo ricordare che tale analisi spetti comunque al giudice nazionale, alla successione debba applicarsi il Regolamento, essendo difficile escludere il carattere transfrontaliero della stessa. Più nel dettaglio, la Corte basata in Lussemburgo ha affermato “che rientra nella nozione di «successione con implicazioni transfrontaliere», una situazione in cui il defunto, cittadino di uno Stato membro, risiedeva in un altro Stato membro al momento del suo decesso, ma non aveva interrotto i suoi legami con il primo di tali Stati membri, nel quale si trovano i beni che compongono la successione, mentre i suoi eredi hanno la loro residenza in tali due Stati membri” mentre non si è correttamente esposta in merito all’individuazione dell’ultima residenza abituale del defunto, essendo questa un’analisi che deve essere compiuta “dall’autorità che si occupa della successione all’interno di uno solo dei suddetti Stati membri”.
Volendo tirare le somme su quanto illustrato, risulta adesso ben chiaro (o almeno si spera) come la successione con implicazioni transfrontaliere possa portare con se, qualora non perfettamente pianificata, complessità e incertezze. Infatti, come si è avuto modo di vedere la nozione di residenza abituale ai fini del Regolamento, oltre a non essere ancora un concetto maturo (la sentenza in questione non può di certo essere da sola considerata in grado di formare un orientamento giurisprudenzale) e ben delineato (il Regolamento non la definisce), è invece da considerarsi, a parere di chi scrive, come un parametro mobile che sulla base di una analisi sì fattuale e obiettiva dell’autorità, ma comunque non oggettiva in quanto non può dirsi costruita sulla base di criteri per l’appunto oggettivi e ben delineati, porterà a sconvenienti ipotesi di “riqualifica” (permettetemi questo termine) della stessa residenza abituale nell’uno o nell’altro Stato che possieda connessioni più strette con il defunto (almeno nelle successioni più complesse) con annessa legge applicabile e foro competente per la successione.
Ma soprattutto porterà a frustranti e non volute situazioni di disagio a quelle persone, gli eredi, che si dovranno sorbire le conseguenze negative di una tale situazione quali l’aumento delle conflittualità in famiglia, i potenziali litigi, le connesse lungaggini processuali e cosi via, senza dimenticare il dolore derivante dalla mancanza di un proprio caro.
Allora perchè non alleviare un tale disagio, se non raccomandando ai propri private clients (quando ancora in vita) di valutare l’esercizio della legge applicabile alla successione (la “professio iuris”) ?
Ovviamente non può neanche essere esclusa una riorganizzazione del patrimonio del de cuius (quando ancora in vita) al fine di evitare, o almeno alleviare, potenziali ipotesi di incertezza e di “riqualifica” della residenza abituale (e quindi della legge e del foro competente), ma da una analisi caso per caso si potrebbe magari recidere ogni dubbio sapendo invece a priori quale debba essere la legge e i giudici che governeranno la futura successione attraverso l’esercizio della professio iuris. In un quadro giuridico alquanto incerto è l’unica certezza possibile.