Mai come nei momenti di instabilità geopolitica, l’arte interagisce con il mondo degli asset e dei beni rifugio, privati, aziendali o nazionali che siano: chiuse nelle banche, riparate delle frontiere, protette da pareti vere o metaforiche, le opere parlano di finanza e di possesso. Ma, e mai come oggi, è bene ricordare che i linguaggi dell’arte, se e quando non eterodiretti da logiche di mercato o di potere, poco si curano delle appartenenze, etniche, culturali e politiche; che sono intolleranti agli steccati di ogni tipo e inclini ad attraversare le frontiere nazionali, in cerca di confronto, di tecniche diverse e visioni altre. Gli idiomi dell’arte sono tali proprio in virtù della loro resistenza a ingessature formali e ideologiche.
Verrebbe da scippare a Virginia Woolf una sua celebre frase: come le donne, l’arte non conosce patria. E se accende intensi desideri di possesso, non si lascia possedere al di là del suo mero e instabile controvalore finanziario.
La mostra appena conclusa alla Tate Britain, ‘Hogarth and Europe’ illustra felicemente questa congenita intolleranza alle costrizioni di ogni foggia. Qualcuno forse si sarà stupito del titolo – ma come, Hogarth non era forse l’accanito promotore di un’arte nazionale? L’acerbo detrattore delle estetiche continentali? – .
È vero, in una fase pittoricamente ancora esitante dell’arte inglese, Hogarth opera per l’emancipazione della cultura visiva e l’affrancarsi dalla subordinazione ai modelli stranieri. Ma le suggestioni giunte da Olanda, Francia e Italia, Hogarth lo sa bene, nutrono l’arte di casa consentendole di uscire dalla subalternità estetica.
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E nelle sale della Tate, ci si fa sorprendere da The Roast Beef of England (1748), un dipinto letto a lungo come l’allegoria del nazionalismo inglese, accostato in mostra a Il tavolo di cucina (1743) di Jean-Siméon Chardin, per la sensuosità corposa del pezzo di carne e le pieghe sapienti del tovagliolo bianco. Si scopre così che nel mondo precario e inquieto di William Hogarth lavora la pacata raffinatezza cromatica dell’artista francese dal quale infatti l’inglese imparava in silenzio.
Su diversi dipinti, festosi e amorosi in particolare, aleggiano la grazia e certi colori del grande Watteau, ammirato e noto in Inghilterra grazie al medico che veniva a consultare e agli incisori che facevano la spola tra Parigi e Londra. Effluvi di robusto realismo sbarcati dai Paesi Bassi si depositano nell’animata vita popolare di Hogarth, mentre l’artista si mostra anche sensibile ai motivi teatrali di Marco Ricci e Pietro Longhi, chiamati anch’essi a lasciare un loro segno sulle sponde del Tamigi, in particolare nelle ben sei edizioni di A Scene from the Beggar’s Opera (1728-1731).
Nonostante i suoi malumori francofobi, la lingua artistica di Hogarth è poliglotta, come a dire che talento e visione raramente si dispiegano nel perimetro conchiuso dei caratteri locali e nazionali. E aggiungere qualcosa: le forme dell’arte hanno l’indole vagabonda e sono inclini a intrecciarsi o scontrarsi con espressività diverse, in una dialettica ininterrotta tra identità e alterità.
Originalissimo interprete e traduttore di linguaggi artistici non autoctoni, Hogarth ha avuto a sua volta una disseminazione sorprendente e vitalissima ‘sul continente’, da ormai due secoli e più. Del ruolo centrale che ebbe per Francisco Goya, è stato detto e scritto, Nell’Italia ottocentesca in cerca di modernità, grazie al celebre ritratto dell’attore David Garrick – le cui incisioni sono ovunque – si insinua una idea nuova del teatro e della recitazione. Che sorpresa poi ritrovare Hogarth al centro del dibattito artistico nella Russia ottocentesca e nelle scene domestiche del pittore Pavel Fedotov! Per non dire dell’attrazione fatale che sentirono per lui diversi espressionisti tedeschi, da Max Beckmann a George Grosz.
Libero viaggiatore nel tempo e nello spazio, Hogarth s’incontra oggi nell’opera del sudafricano William Kentridge e in quelle dell’artista portoghese Paula Rego. Una presenza ubiqua, all’insegna dei linguaggi dell’arte, vivi solo nel segno dell’esplorazione e dello sconfinamento, in tutti i sensi della parola.