Negli ultimi tre anni il Winning women institute ha interagito con oltre 150 aziende, di cui una 40ina hanno iniziato il percorso di certificazione e 22 sono state in grado di ottenere il bollino “rosa”
Lo scorso dicembre Allianz Bank financial advisors ha siglato un accordo con l’associazione per lo sviluppo di un modello di analisi di gender equality sulla propria rete di consulenti finanziari
A che punto siamo in Italia sul fronte della parità di genere in azienda, in particolare nel settore finanziario?
Winning women institute esiste ormai da più di tre anni. In questi tre anni abbiamo avuto contatti con oltre 150 aziende, di cui una 40ina hanno iniziato il percorso di certificazione e 22 sono state in grado di ottenerla. Questo vuol dire che in generale le pari opportunità in Italia non vantano numeri elevatissimi. Il lato positivo, però, è che le aziende stanno iniziando a misurarsi, a confrontarsi e a capire che effettivamente si tratta di un tema da considerare, all’interno delle proprie strutture. È chiaro che alcune società di servizi o alcune società nate recentemente hanno numeri migliori rispetto a quelle del settore manifatturiero o del settore finanziario (prevalentemente maschili). Ma quello che cambia molto nella finanza è che c’è una consapevolezza e una notevole volontà di colmare il gender gap. Molte aziende mettono in campo diverse iniziative di diversity&inclusion, per esempio. Noi proponiamo un percorso che vada al di là della singola iniziativa (sicuramente meritevole) e che prenda in esame la società nelle sue varie componenti. Un percorso che al settore piace, perché è oggettivo, fatto di kpi e misure statistiche. Recentemente Banca Ifis ha ottenuto la certificazione, ma anche Bnp Paribas Cardif e Allianz Partners, che rientrano nel mondo bancario-assicurativo. Senza dimenticare Allianz Bank financial advisors, che lo scorso dicembre ha siglato un accordo con l’associazione per lo sviluppo di un modello di analisi di gender equality sulla propria rete di consulenti finanziari.
Ci sono altri casi simili tra le reti di consulenza?
Sì, ci sono diverse società in fase di pre audit che per motivi di riservatezza a oggi non possiamo ancora condividere. Diverso il caso di Allianz Bank financial advisors che, nonostante non si sia ancora certificata, ha deciso di comunicare di aver intrapreso un percorso da questo punto di vista. In generale, il settore finanziario risponde bene. Ci sono due componenti importanti da non sottovalutare. La prima è che ormai gli investimenti e le scelte nel mondo finanziario sono anche prevalentemente femminili. E il settore riconosce la capacità decisionale delle donne, ragionando sul fatto che i prodotti sono disegnati quasi sempre da uomini e che c’è la necessità di aggredire questo mercato in continua crescita e molto influente. Dall’altra parte, c’è anche la consapevolezza che avere team misti quanto più diversi possibili genera delle performance e un clima organizzativo migliori.
Quali sono i gap sui quali si trovano maggiormente a dover lavorare?
Evidenziamo due temi specifici che, spesso, non consentono alle aziende di accedere subito alla certificazione. Mentre mettono in campo diverse iniziative (dagli interventi formativi ai progetti di sviluppo fino alle policy aziendali che vanno oltre il contratto collettivo nazionale), la percentuale di donne ai vertici è molto contenuta. Ci sono poche donne dirigenti, poche donne manager e pochissime donne ceo. Il secondo pilastro, che rappresenta un tema delicato anche per le aziende del settore finanziario, è quello del gender pay gap (la differenza retributiva a parità di ruolo, ndr). Si parla di un gap che può oscillare tra il 15 e il 30% solo sulla retribuzione fissa e che può arrivare fino al 40% se si considera la retribuzione variabile. Un tema delicato, insomma, non solo perché genera una sorta di malumore all’interno dell’azienda ma anche perché richiede tempo e ingenti investimenti per colmarlo. Tra l’altro, mentre il tema della presenza femminile nei ruoli senior è immediatamente visibile, quello del gender pay gap è un problema che le aziende non pensano di avere. Molte sono convinte di vantare politiche retributive sane e meritocratiche.
Qual è la percezione, invece, dei consumatori finali?
Quella che stiamo notando è una crescente sensibilità nei confronti delle aziende certificate. Noi monitoriamo la comunicazione sui social delle aziende e vediamo che i consumatori sono pronti a favorire le società che rispettano le pari opportunità. Non si tratta più solo di un tema etico e di sviluppo del ruolo femminile, ma anche di business.
Quali sono gli obiettivi del Winning women institute?
È chiaro che il nostro obiettivo è promuovere la cultura delle pari opportunità nelle aziende anche a beneficio delle nuove generazioni. Noi siamo stati pionieri sulla certificazione delle pari opportunità. Stiamo aspettando ancora delle specifiche sulla legge Gribaudo, ma sappiamo che il nostro modello rispecchia molto il modello della certificazione nazionale in arrivo. Le aziende devono sbrigarsi, se non vogliono non restare indietro.