Secondo il columnist finanziario del New York Times, Jeff Sommer, escludere le obbligazioni dal portafoglio, anche nella fase attuale, non sarebbe una scelta saggia. La ragione principale a favore di una certa percentuale di bond in portafoglio è la “stabilità” che possono offrire. Le azioni rendono molto più delle obbligazioni, è vero, ma possono andare incontro ad improvvise cadute. Questo avviene periodicamente, ma nessuno può prevedere quando questo avverrà in futuro. Avere un’eccessiva esposizione al mercato azionario espone il proprio patrimonio a periodici alti e bassi: è una condizione che può creare problemi e generare ansia. Aggiungere bond per ridurre queste fluttuazioni può, innanzitutto, favorire “sonni più tranquilli”, parafrasando quanto affermato da Sommer. Questo vale come indicazione generale, ma non è tutto.
La recente conferma di Jerome Powell alla presidenza della Fed, interpretata come un segnale favorevole a una più risoluta azione restrittiva della banca centrale, ha subito messo i titoli azionari tecnologici sotto pressione. Non è un caso: trattandosi di titoli molto “costosi” in rapporto agli utili che producono, sono i più sensibili a un eventuale aumento del costo del denaro.
Elementi analoghi avevano spinto l’Economist, l’influente giornale britannico, a riconsiderare le “virtù del contante”: se i rischi di correzione si materializzano, avere cash in portafoglio limita le perdite e permette di acquistare azioni a prezzi più convenienti. Ma l’incremento dei rischi per l’azionario aumenterebbero anche l’attrattiva dei bond. In particolare, se si parla di portafogli gestiti da non professionisti che evitano di “anticipare con tempismo” le mosse del mercato. Se l’obiettivo è impostare una rotta di investimento piuttosto stabile, la componente obbligazionaria limiterà le perdite del portafoglio nelle fasi negative del mercato.
Questo assunto resta valido, nella sostanza, anche quando i prezzi delle obbligazioni scendono assieme a quelli delle azioni, ribaltando la tipica correlazione inversa – per la semplice ragione che i bond perdono, comunque, meno valore rispetto alla più rischiosa asset class azionaria. Quando la correzione si verifica, si può ribilanciare il portafoglio vendendo bond (o riducendo la liquidità), per acquistare azioni a prezzi più bassi.
Anche se nel lungo periodo le azioni rendono molto più dei bond, reggere psicologicamente a correzioni anche superiori al 30%, come quella avvenuta nel 2020, non è da tutti; una “botta” inaspettata potrebbe così allontanare il risparmiatore da un approccio stabile ed efficace in orizzonti temporali estesi. “Vedo i bond che ho in portafoglio come un’assicurazione”, ha scritto Sommer, “non puoi guadagnare dalle azioni se non le hai in mano quando crescono, ma per rimanere calmi e costanti sul mercato azionario, potresti volere delle obbligazioni in portafoglio”.
Capire esattamente quante obbligazioni siano adatte alla specifica situazione dell’investitore potrebbe richiedere un esame professionale. Qualche esempio puramente illustrativo. Per un orizzonte di lungo temine, la società di consulenza indipendente Miramar Capital, suggerisce un rapporto fra azioni / titoli obbligazionari indicizzati all’inflazione del 75% / 25%, più dinamico (ossia “più rischioso”) di quello tradizionale. Altri approcci confermano la validità del 60/40 tradizionale (WELLth Financial Planning), e altri ancora sostituiscono la componente obbligazionaria con un più ampio cuscinetto di liquidità o di prodotti ad essa equivalenti (LTG Capital).