La seconda parte dell’inverno non ci lascia senza sorprese. Tra febbraio e marzo, sono diverse le città italiane ad ospitare mostre per tutti i palati. Vi proponiamo qui cinque nuove aperture che ci hanno particolarmente interessato.
Italia, le 5 mostre da non perdere tra febbraio e marzo
1. Tracey Emin a Palazzo Strozzi, Firenze
Dal 16 marzo, uno dei templi dell’arte contemporanea fiorentina ospiterà la mostra Sex and Solitude dell’artista britannica Tracey Emin. Nata nel 1963 a Croydon e parte degli Young British Artists di fine anni ’80 (tra cui annoveriamo anche Damien Hirst), Emin si fece notare con l’opera My Bed (1998) esposta alla Tate Gallery di Londra in occasione del Turner Prize (il letto fu poi venduto da Christie’s Londra nel 2014 per 2,5 milioni di pound). Da quel momento in poi la carriera dell’artista decollò, portandola a rappresentare il Regno Unito alla Biennale di Venezia del 2007 e a diventare professoressa di disegno alla Royal Academy of Arts di Londra. L’esibizione di Palazzo Strozzi comprenderà oltre 60 opere, segnando il record di retrospettiva di Tracey più grande mai realizzate in Italia. I lavori si concentreranno soprattutto su alcuni dei temi più cari alla Emin – quali amore, sacrificio, desiderio e corpo – reinterpretati dall’artista sulla base del proprio vissuto ed esperienze veicolando un messaggio particolarmente diretto, nel pieno stile di Tracey.

2. Alfredo Pirri a Palazzo Boncompagni, Bologna
Ha appena aperto, nel cinquecentesco Palazzo Boncompagni di Bologna, Alfredo Pirri. Ritratto di Palazzo, esposizione totalmente dedicata all’artista calabrese classe 1957. Pirri ha arredato le storiche sale dell’edificio – già dimora di Papa Gregorio XIII – con quaranta opere, in buona parte site-specific. Lo scopo è quello di rendere il luogo stesso, la sua storia e architettura, protagonista della mostra. Le sculture, i dipinti e i disegni di Alfredo sono infatti posizionate in modo da far rispecchiare in esse l’edificio, creando un ambiente immersivo. Particolarmente interessante è l’opera “in progress” RWD-FWD, una sorta di archivio personale dell’artista (continuamente aggiornato da Pirri stesso) composto da oltre 1500 documenti di ogni genere.

3. Yto Barrada alla Fondazione Merz, Torino
La Fondazione Merz di Torino aprirà, il 20 febbraio prossimo, l’esibizione Deadhead della franco-marocchina Yto Barrada, quarta artista a ricevere il Mario Merz Prize. Il titolo dell’esposizione rimanda direttamente alla pratica agricola di rimozione di foglie e rami appassiti, che stimola la crescita e rigenerazione delle piante dando nuova energia. Due sono i temi particolarmente cari alla Barrada: l’attenzione verso l’ambiente circostante e la forza data dall’unione femminile. Tramite il progetto The Mothership, l’artista ha infatti creato nel proprio giardino di Tangeri un eco campus femminista, in cui ha insegnato ad un gruppo di donne a produrre tinture naturali. Questi colori sono stati poi utilizzati per creare delle griglie di velluto tinte a mano utilizzate per l’opera Color Analysis, basata sulla teoria del colore della filantropa americana Emily Noyes Vanderpoel. Yto – che a fine mostra potremo rincontrare alla Biennale di Venezia del 2026 come rappresentante francese – ha anche fondato l’unico cinema d’essai del Nord Africa: la Cinémathèque di Tangeri.

4. Leonor Fini a Palazzo Reale, Milano
Leonor Fini a Milano? L’artista italo-argentina torna nella città meneghina dopo alcune apparizioni in galleria (fu già ospite di Tommaso Calabro nel 2022) e all’estero (l’abbiamo recentemente avvistata tra i surrealisti esposti al Centre Pompidou). Dal 26 febbraio, Palazzo Reale esporrà 100 opere di Leonor in nove sale tematiche che spazieranno tra diversi disegni, dipinti, fotografie, costumi, libri e video. Fini (1907-1996), nata a Buenos Aires e cresciuta a Trieste, fu definita da Max Ernst una “furia italiana di scandalosa eleganza, capriccio e passione”. Dopo un’infanzia turbolenta, l’artista si trasferì prima a Milano – dove espose nel 1929 alla Galerie Barbaroux – e poi a Parigi, diventando parte del circolo dei surrealisti (pur non aderendo mai “formalmente” al movimento). La retrospettiva milanese ben identificherà alcuni dei soggetti più amati da Leonor: donne forti (spesso rappresentate come sfingi o donne-gatto) immerse in atmosfere tetre, contorniate di simboli che rimandano alle teorie psicanalitiche freudiane.

5. Hammershøi a Palazzo Roverella, Rovigo
Forse più defilata ma da tenere d’occhio è anche Hammershøi e i pittori del silenzio tra il nord Europa e l’Italia, prima mostra italiana dedicata al pittore danese Vilhelm Hammershøi (1864-1916). Per quanto ancora in parte sconosciuto, negli ultimi tempi l’artista ha catturato l’occhio vigile della galleria Hauser & Wirth, che lo ha scelto per aprire la nuova sede di Basilea durante la scorsa Art Basel. Dal 21 febbraio sarà dunque possibile accedere all’“arte del silenzio”. Le opere di Hammershøi sono infatti un viaggio introspettivo in ambienti estremamente familiari, con luci tenui e paesaggi ordinati di stampo scandinavo. A confronto con pittori “nordici” della stessa epoca, in Vilhelm traspare però una certa inquietudine. Le donne delle sue opere, ritratte spesso di spalle, appaiono particolarmente malinconiche e assenti. Sembra che il pittore – già solitario – abbia spesso preso ispirazione da scene di vita quotidiana con la moglie Ida Ilsted, che soffriva di una grave malattia mentale.

In copertina: Leonor Fini, Autoportrait au chapeau rouge, dettaglio (1968; oil on canvas, 84 x 61 cm; Trieste, Museo Revoltella – Galleria d’Arte Moderna) © Courtesy of Richard Overstreet