“Nel mondo assicurativo, i prodotti più comuni che coprono questa esigenza sono di ramo vita: accessibili fino al massimo a 70 anni, prevedono il pagamento della rendita se scatta l’evento. Polizze di ltc possono in realtà essere anche di ramo danni. In questo caso, rimborsano il costo della bio-assistenza nel limite del massimale o possono dare prestazioni di carattere assistenziale, come un’infermiera domiciliare o servizi di pulizia dell’abitazione”.
Insomma si tratta di un modo efficace per occuparsi di un tema sempre più rilevante, che è quello dell’invecchiamento demografico, per cui l’Italia primeggia sicuramente in Europa e nel mondo insieme al Giappone. Secondo Eurostat, la quota di over 65 rispetto alla popolazione totale è del 22,8%, la più elevata del Vecchio Continente. “E la quota continua ad aumentare non perché stia crescendo la speranza di vita – dice Bugli – ma perché abbiamo smesso di fare figli. Facendo riferimento ai dati ante Covid, possiamo dire che arrivati a 65 anni abbiamo 19,6 anni di vita residua per gli uomini e 22,8 per le donne. Ma di questi la speranza di vita in salute abbraccia poco più di nove anni”.
Numeri che parlano da soli, ma che spesso si preferisce ignorare. “La previdenza è una necessità ma quando arriva la non autosufficienza, serve anche altro, il famoso welfare che per ora è a carico delle famiglie. Trascurare questo aspetto è come essersi dimenticati il primo ragionamento in ottica previdenziale”. Ci sono oggi due voci di spesa, ovvero l’assistenza domiciliare e la residenzialità in Rsa, che costano alle famiglie italiane 24 miliardi di euro.
“Il consulente che deve fare una fotografia dei bisogni del singolo non può ignorare questi dati – dice Bugli – certamente è difficile: bisogna spiegare a un giovane che deve pensare subito a eventualità spiacevoli come quelle descritte, anche se mentre gli si parla lui vorrebbe solo assicurare il mancato guadagno in caso di malattia temporanea per garantirsi di poter pagare sempre l’affitto”.
Le polizze ltc godono anche di un vantaggio fiscale sui premi versati che il legislatore ha previsto per agevolare la diffusione del prodotto. “Se la contraenza è individuale i premi sono detraibili nel massimo del 19% di 1.291 euro – dice Bugli – Se si tratta di polizze contratte dal datore a favore di tutti i dipendenti o categorie di questi, invece, il premio non concorre alla formazione del reddito da lavoro da sottoporre a tassazione Irpef”.
Se i vantaggi del ltc sono evidenti da quanto detto fin qui, ci sono invece delle criticità? C’è sicuramente un difetto originario, per dirla con le parole di Bugli. “Per contenerne il costo, se ragiono in logica mutualistica, il metodo è avere grandi masse. Invece nel nostro Paese non è così: la raccolta del ltc ammonta a 180 milioni di euro su 150 miliardi complessivi. Ovvero niente. I numeri suggeriscono che sottoscrive la polizza solo chi è più vicino al bisogno e che i rischi buoni stanno quindi fuori”. Bisogna adottare una logica collettiva e non retail individuale, come in altri Paesi dove le ltc hanno avuto successo quando inserite nei contratti di lavoro, il che ha prodotto grandi masse”.
Un secondo tema è che “quando creo questi prodotti, devo strutturali perché rispondano al target. E il consulente per riuscire a proporre una soluzione adeguata dovrebbe avere contezza di cosa offre a livello assistenziale il sistema sanitario centrale e regionale”. Insomma, una polizza non vale l’altra, e diventa fondamentale capire esclusioni, massimali, prestazioni accessorie. Il tutto tenendo presenta la necessità della adeguatezza che dal primo aprile è obbligatorio verificare e certificare anche per i prodotti assicurativi. “Ci sono polizze ltc che non coprono per esempio depressione o incidenti che rendono macrolesi ma non non autosufficienti – conclude Bugli – la difficoltà sta nel fatto che non esistono manuali, né banche dati. La lct va integrata in un pacchetto di soluzioni assicurative e previdenziali, che deve contenere varie polizze incastrate alla perfezione perché sia non sovrabbondante rispetto al sistema pubblico. Anche perché la giurisprudenza di cassazione ci dice che prestazioni pubbliche e private non sono cumulabili”.
Ci vuole uno sforzo importante di educazione finanziaria che consenta di compiere il salto culturale necessario, perché poi non è che manchino risorse da destinare a questo mattoncino fondamentale del welfare. “Se pensiamo che in Italia le famiglie spendono 170 miliardi di euro tra gioco d’azzardo, fattucchiere e beni voluttuari e che solo le spese in fattucchiere valgono metà della raccolta previdenziale in Italia, una riflessione si impone”, dice Bugli. Un ulteriore tema è, infine, e quella del sistema di welfare pubblico, da noi carente. “I Paesi con la previdenza più avanzata sono quelli del Nord Europa, con il sistema pubblico più serio – chiosa Bugli – Queste soluzioni si innestano dove la macchina pubblica funziona perfettamente e dove esiste un buon welfare. Dove c’è il vuoto predomina il disfattismo”.