“Bel regista Antonioni. C’ha un Flaminia Zagato che una volta, sulla fettuccia di Terracina, m’ha fatto allungà il collo”. È questa una delle tante frasi cult del celebre road-movie Il sorpasso, frase pronunciata dallo spiantato e spaccone protagonista Bruno Cortona, alias Vittorio Gassman. Per Cortona, alla guida di una vecchia e malconcia Lancia Aurelia B24, la più recente Flaminia (sempre Lancia, ma carrozzata da Zagato) rappresentava in quel momento un vero miraggio, trattandosi di una raffinata ed elegantissima sportiva capace di catalizzare l’interesse e il desiderio di una clientela trasversale ed eterogenea.
A riprova di ciò, basti pensare che, oltre al gradasso Cortona (che la desiderava) e ad Antonioni, padre del cinema dell’alienazione e dell’incomunicabilità, possedeva una Flaminia Zagato anche lo stesso Dino Risi, il regista proprio de Il sorpasso, uno dei maestri della commedia all’italiana.
Il nome della carrozzeria Zagato, in un’epoca in cui le “fuoriserie” rappresentavano nell’automobilismo il massimo del lusso, era sinonimo di originalità, ricerca aerodinamica, leggerezza ed altissima capacità artigianale. Con il sapiente mix di questi ingredienti, Zagato riusciva ad ottenere leggendarie vetture imbattibili, caratterizzate altresì da una bellezza intrinseca e naturale, in quanto originata dalla loro stessa funzionalità.
Ma facciamo un passo indietro. A metà degli anni ‘50, la Lancia si trovò ad affrontare uno dei momenti più difficili della sua storia: i metodi produttivi iniziavano, infatti, a rivelarsi obsoleti, così come superati apparivano quelli organizzativi e commerciali.
La decisione di Gianni Lancia, figlio del fondatore, di investire ingenti risorse nelle competizioni, non portò i risultati sperati e non contribuì in maniera significativa ad incrementare le vendite.
L’azienda passò quindi di mano e la nuova proprietà affidò la direzione tecnica al Professor Antonio Fessia, che pose tra l’altro fine alla lunga serie delle vetture Lancia battezzate con l’iniziale “A” (Artena, Astura, Augusta, Aprilia, Ardea, Aurelia, Appia) inaugurando la dinastia di auto con l’iniziale del suo cognome, Flaminia, Flavia e Fulvia.
Il primo modello del nuovo corso è appunto la Flaminia, nata per sostituire l’ormai superata Aurelia, utilizzandone comunque la meccanica ancora all’avanguardia.
Lancia Flaminia, il debutto al Salone di Torino del 1956
Partendo da un prototipo presentato da Pininfarina, denominato Lancia Florida, la Flaminia berlina debuttò al Salone di Torino del 1956, confermando la vocazione della Casa per l’eleganza, la classe e la raffinatezza. Grazie a un magistrale calcolo delle proporzioni ed a un sapiente utilizzo di spigoli e volumi, la vettura dissimulava i suoi quasi cinque metri di lunghezza, presentando soluzioni del tutto originali.
Così, ad esempio, la linea ininterrotta che unisce posteriormente tetto, montanti, parafanghi e paraurti. O i doppi tergicristalli posteriori, esterni ma anche interni, non essendo ancora stato inventato il lunotto termico. Innovativa rispetto allo standard Lancia, era anche la calandra, non più con il tradizionale scudetto verticale, ma con una grande bocca con griglia interna cromata, che accomunerà tutte le Lancia per vari anni.
Ne derivava una vettura di gran classe, dalla linea pulita senza orpelli o ridondanze, accuratamente costruita, con finiture di prim’ordine, materiali di eccellenza e pressoché totale assenza di vibrazioni. Una vera ammiraglia che permetteva inoltre, grazie ai silenziosi ed elastici sei cilindri di 2,5 litri, alte velocità nel massimo confort.
Di queste qualità si accorse anche la Presidenza della Repubblica che, dopo un imbarazzante episodio che vide il Presidente Gronchi rimanere appiedato per un inconveniente elettrico nella Fiat 2008 d’ordinanza (risalente agli anni ’30), commissionò alla Lancia, coadiuvata da Pininfarina, ben quattro Flaminia Cabriolet Presidenziali.
Il massimo del lusso e del buon gusto
Le vetture, denominate Belfiore, Belmonte, Belvedere e Belsito, rappresentavano il massimo del lusso e del buon gusto. Capote elettrica, pelle Connolly, vetro divisorio con la postazione dell’autista, strapuntini per la scorta, ovunque materiali di altissima qualità; il tutto su quasi cinque metri e mezzo di lunghezza.
Dal 1961 le Flaminia accompagnano tutti i Presidenti nelle occasioni ufficiali, oltre ai loro illustri ospiti (come la Regina Elisabetta, John Fitzgerald Kennedy, Charles de Gaulle), salvo un breve periodo nel quale Pertini preferì utilizzare la Maserati Quattroporte donata al Quirinale dalla Casa produttrice. Ma ancor prima della nascita delle Presidenziali, la Flaminia era stata declinata in ben tre versioni derivate, che Lancia affidò tuttavia alle più famose carrozzerie esterne, così come allora in uso, riservandosene la commercializzazione.
Nel 1958 furono, quindi, contemporaneamente presentate la Flaminia Coupè di Pininfarina, la più simile alla berlina ma ancor più elegante, le sinuose GT e Convertibile di Touring e la grintosa Sport di Zagato, ritenuta fin da allora un vero capolavoro. Riproponendo, sul passo accorciato della berlina, la linea fluida e aerodinamica già pensata per l’Appia GT, Zagato creò una delle più affascinanti e iconiche sportive di sempre, di personalità inarrivabile e proporzioni perfette.
Sul lungo cofano, sui parafanghi con fari carenati e sulla coda compatta, spiccava uno dei tipici segni distintivi di Zagato, il tetto a doppia gobba sopra i sedili, che contribuiva in maniera determinante a conferire un’inconfondibile impronta aggressiva e corsaiola. Il peso estremamente ridotto, grazie al diffuso utilizzo di alluminio, e il motore sei cilindri a V da 2,5 litri e 119 cavalli, spingevano la Sport a oltre 190 km all’ora, facendone l’auto ideale dei gentlemen driver. La vettura conquistò successi ovunque, spesso nella variante competizione, potenziata e ancor più alleggerita. Conseguì inoltre memorabili risultati anche al di fuori delle gare ufficiali, come la media di 218Km all’ora mantenuta dal pilota Giulio Cabianca sul tragitto Bologna – Milano.
Le diverse versioni Sport della Lancia Flaminia
Dal ‘59 al ‘67 si susseguirono diverse versioni della Sport, che perse i fari carenati nel ‘59 per poi riacquistarli in seguito e guadagnò via via centimetri cubici, carburatori e cavalli, che divennero 152 nella Super Sport del ‘64. Di quest’ultima la più significativa innovazione fu l’adozione della coda tronca, secondo le più accreditate teorie aerodinamiche allora in auge, già applicate con successo da Zagato e dal suo designer Ercole Spada, in particolare sull’Alfa Romeo Giulietta SZ.
La natura prettamente corsaiola della Sport ne ha limitato inevitabilmente la diffusione rispetto alle Touring e alle Pininfarina: le Zagato furono prodotte in poco meno di 600 esemplari complessivi, contro circa 2.800 Touring ed oltre 5.000 Pininfarina. Vero e proprio record, quest’ultimo, poiché, per la prima volta, un modello derivato venne prodotto in numero superiore a quello della berlina originaria, che si assestò attorno ai 4.000 pezzi.
Contribuirono a decretare il successo della serie il gran numero di personalità che la scelsero, dalle berline di Audrey Hepburn e di Hemingway, alle Coupé della Bardot e di Fangio, alle Touring dell’Aga Khan e ancora di Hemingway, fino alle Zagato, non solo di Antonioni e Risi, ma anche di Marcello Mastroianni, che peraltro aveva già posseduto Convertibile e Coupé. E la lista potrebbe continuare, annoverando tra i “Flaministi” altri noti personaggi come Lamborghini, Olivetti, la Cardinale, la Milo, la Eckberg, Gassman, la Principessa Soraya e Maria Callas.
Storia a sé quella della “Loraymo”, esemplare unico e originalissimo, disegnato da Raymond Loewy, il celebre designer di treni e oggetti quotidiani, tra cui il logo delle Lucky Strike e la bottiglia king size della Coca Cola. L’avveniristica e super aerodinamica vettura, approntata dal tandem Motto – Nardi, fu presentata al Salone di Parigi del ‘60, utilizzata per anni dallo stesso Loewy ed acquistata, infine, dal Club Lancia americano per donarla al museo della Casa. Dal punto di vista collezionistico sono naturalmente le Zagato a destare il maggiore interesse e ciò in ragione, non solo delle prestazioni, ma anche per la purezza delle linee e per i pregevoli contenuti tecnici e costruttivi. Difficile vedere ottime Sport Zagato passare di mano per meno di 400mila euro, per raggiungere i 500mila – 600mila euro per uno dei rarissimi 99 esemplari della cosiddetta “pre-serie”, specie se nell’esclusivo allestimento competizione.