La famosa autonomia differenziata – in parole povere, più̀ poteri alle Regioni in campi della spesa pubblica, dalla sanità all’istruzione, finora dominio del potere centrale – faceva parte del programma del Centro-destra, cavallo di battaglia della Lega e ancora più, in particolare, del ministro leghista Roberto Calderoli.
Questa autonomia differenziata – per brevità chiamiamola AD – ha dalla sua alcune giustificazioni: a livello regionale si toccano con mano i problemi dei cittadini, e organizzare sanità e istruzione attorno a questi problemi potrebbe essere più efficiente rispetto ai dettati del governo centrale. In un discorso del 23 novembre 2022 all’assemblea dell’Anci a Bergamo, il Presidente Sergio Mattarella disse: “Serve una sanità più attenta ai territori e servizi di cura più vicini alla persona”. Senza dimenticare che le soluzioni adottate a livello regionale, quando si dimostrino efficaci, potrebbero stimolare un’utile emulazione presso le altre regioni. Come disse Mao-Tse-Tung, “Che cento fiori fioriscano, che cento scuole di pensiero gareggino”.
Detto questo, Mattarella in quel discorso disse anche qualcosa d’altro: “Punti fermi sono la garanzia dei diritti dei cittadini, che al Nord come nel Mezzogiorno, nelle città come nei paesi, nelle metropoli come nelle aree in- terne, devono poter vivere la piena validità̀ dei principi costituzionali”. E questi principi costituzionali sono quelli dell’articolo 3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Si comprende quindi come l’AD, prima di essere messa in pratica, deve controllare che la sua realizzazione non vada ad ampliare, invece di rimuovere, quegli “ostacoli di ordine economico e sociale”. Infatti, le prime proposte sulla AD – avanzate già nel 2020 da Calderoli – prevedevano l’introduzione dei famosi Lep (Livelli Essenziali di Prestazioni) che dovevano essere garantiti a tutti i cittadini: in pratica, si trattava di quantificare una serie di parametri – per esempio, numero di asili-nido per ogni cento bambini, numero di letti ospedalieri per ogni 100 abitanti, numero di alunni per classe, rapporti insegnanti/ alunni e migliaia di altri indicatori… Insomma, si può anche accettare l’idea che alcune Regioni siano più brave di altre e i Lep si divarichino da Regione a Regione, ma solo a partire da una situazione di sostanziale eguaglianza nei punti di partenza.
Il ministro leghista ha messo su, il 26 marzo 2023, una pantagruelica Commissione, presieduta da Sabino Cassese, con più di 60 membri. Questa Commissione avrebbe dovuto occuparsi di realizzare i Lep necessari per l’AD: come disse Roberto Calderoli, “Il prestigioso gruppo di esperti opererà in sinergia per individuare finalmente quei diritti civili e sociali che il cittadino italiano può pretendere dai vari soggetti costituenti la Repubblica italiana”.
Belle parole, ma per fare la AD bisogna che i Lep siano non solo annunciati e definiti, ma bisogna che si riscontrino nella realtà. Questa banale osservazione ha portato alcuni membri prestigiosi della Commissione Cassese – da Giuliano Amato a Franco Bassanini, da Franco Gallo ad Alessandro Pajno… – a dimettersi dalla Commissione, sulla base della semplice constatazione di cui sopra: è inutile parlare di AD fino a quando non saranno determinate le risorse necessarie a realizzare i Lep.