Il 65% degli investitori professionali in questo momento ritiene che la liquidità, o meglio gli investimenti che ad essa sono tipicamente associati per la brevità del proprio orizzonte temporale, sarà un traino per le per le performance del portafoglio complessive nel 2023. Si tratta di un dato abbastanza anomalo, se si considera che in tempi normali la liquidità non offre grande valore, mentre il grosso dei guadagni deriva dal possesso di azioni e obbligazioni. E’ quanto è emerso dall’ultimo Mliv Pulse survey condotto da Bloomberg sui suoi lettori (oltre 400 i rispondenti, fra investitori professionali e al dettaglio).
Perché mai preferire la liquidità
La preferenza per la liquidità si presenta nelle fasi durante le quali gli investitori preferiscono rischiare poco, portando a casa anche poco rendimento, ma limitando l’esposizione a possibili ribassi di azioni e obbligazioni a medio e lungo termine. L’esperienza del 2022, durante la quale è avvenuto il crollo simultaneo di bond e azioni, non ha ripristinato quest’anno la loro tradizionale relazione inversa: le due classi di attivo, infatti, continuano a muoversi in modo coordinato scompaginando le più ovvie tattiche di diversificazione. Con l’inflazione che si sta rivelando più persistente del previsto e la necessità di una più forte stretta monetaria da parte delle banche centrali, i prezzi di bond e azioni hanno ripreso a scendere, dopo un inizio anno promettente.
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Una panoramica sulle strategie “difensive”
Le strategie per correre ai ripari, da tirare fuori dall’attrezzario in circostanze particolari come queste, includono fondi monetari, portafogli diversificati di obbligazioni governative con scadenze entro l’anno, conti deposito.
Per gli investitori professionali, in una fase in cui ci si attende ancora un tratto di aumenti dei tassi da parte della Fed e della Bce è naturale volgere lo sguardo anche ai fondi monetari, ha raccontato a We Wealth Attilio Di Giovanni, consulente finanziario indipendente presso HCinque Scf, “noi in particolare li usiamo nei portafogli con un profilo di rischio più basso per moderare la volatilità, con uno spazio che in questi casi può aggirarsi attorno al 10% dell’allocazione complessiva”.
“I fondi monetari tendenzialmente sono fondi che investono in depositi, prestiti contro termine e titoli di elevato rating a brevissimo”, ha dichiarato il co-fondatore di Consultique Scf, Luca Mainò, “il principale benchmark della categoria è l’indice €STER (Euro Short Term Rate), ovvero il tasso interbancario che si muove all’interno del corridoio dei tassi definito dalla Banca Centrale Europea. Fino a poco tempo fa, quando il tasso di deposito si attestava al -0,50% questi fondi perdevano continuativamente in quanto il sottostante aveva un rendimento annuo negativo. Le condizioni di mercato e, di conseguenza, l’attrattività dell’investimento è cambiata dal momento in cui la Banca Centrale Europea ha modificato il proprio orientamento”. All’8 marzo L’Euro Short Term Rate si trova al 2,398%.
Dalla parte dei fondi monetari c’è la comodità, perché consente di diversificare sui titoli sottostanti con un’operazione relativamente semplice e, inoltre, possono essere liquidati rapidamente per cogliere nuove opportunità. Non si può dire lo stesso dei conti deposito vincolati, che generano un rendimento programmato a patto di mantenere ferme su un conto bancario le somme investite. Anche per questo una gestione professionale come quella dei consulenti può preferire la maggiore flessibilità di altre soluzioni. Di Giovanni sente di raccomandare il conto deposito solo per somme entro 100mila euro, per beneficiare della garanzia interbancaria sui depositi, prediligendo le offerte provenienti da attori bancari più consolidati. Attualmente il rendimento annuo per sei mesi di vincolo con conto deposito tende a superare il 2% avvicinandosi in alcuni casi al 3%.
“In questo momento quindi i fondi monetari sono un’ottima alternativa ai conti deposito, in quanto il loro aggiustamento alle dinamiche di tasso è più veloce, permettendo di massimizzare il rendimento della parte più difensiva del portafoglio”, ha dichiarato Mainò, “oltre a ciò, anche se in misura molto contenuta, i titoli obbligazionari a breve scadenza soffrono comunque delle dinamiche legate ai rialzi dei tassi, mentre i fondi monetari se ne avvantaggiano in quanto aumentano il loro tasso di capitalizzazione implicito“. Fra gli elementi da considerare nella scelta dei fondi monetari ci sono i costi (più bassi per gli Etf monetari rispetto ai fondi) e l’eventuale presenza nel portafoglio di questi prodotti di titoli di Stato emessi da istituzioni ad alto rischio che possono essere poco compatibili con un ruolo del tutto “tranquillo” nel portafoglio.
Alcuni titoli di Stato a breve termine, però, possono essere l’alternativa più interessante per i portafogli che possano, con l’aiuto di professionista, estendere la propria diversificazione fra più emittenti. “Un consulente che sia pratico con il mercato obbligazionario può acquistare su più scedenze ed emittenti sovrani o sovranazionali, comprese emissioni non in euro”, ha detto Di Giovanni ricordando il rendimento del Buono del Tesoro Usa a sei mesi che supera il 4,7% annuo, mentre la scadenza a un anno rende oltre il 5%. Anche le alternative italiane, su scadenze analoghe offrono buoni rendimenti che si aggirano attorno al 3% e non prevedono necessariamente il mantenimento fino a scadenza, risultando più flessibili di un conto deposito e più remunerative di fondo monetario. “Chiaro, in questo caso bisogna diversificare adeguatamente”, perché ci si espone al rischio di insolvenza degli emittenti.