A lungo si è sentita la mancanza di criteri comuni utili per confrontare prodotti che, in molti casi, condividevano solo la brochure tinta di verde. Dal marzo 2021 l’Unione europea ha colmato la lacuna normativa con la Sfdr. Da quel momento in avanti i fondi si distinguono in tre categorie: quelli non collegati ai temi di sostenibilità (descritti nell’articolo 6), i fondi “verde chiaro” che inseriscono valutazioni di sostenibilità all’interno di una strategia non specificamente green (articolo 8) e i fondi “verde scuro”, che sin dal nome richiamano obiettivi di sostenibilità (articolo 9). Dal 2 agosto scorso le preferenze del cliente in tema di sostenibilità devono essere integrate nell’offerta di prodotti finanziari, per ottemperare all’ultima versione della direttiva Mifid II.
Questo aggiornamento è arrivato in uno dei momenti più difficili per il concetto di sostenibilità ambientale, in un processo di ridefinizione di ciò che è “socialmente positivo”. Quanto all’aspetto green, il settore Oil & Gas, spesso escluso dai fondi connotati da obiettivi verdi, è stato uno dei pochi vincitori di questo 2022: l’indice settoriale S&P Oil & Gas Exploration & Production Select Industry ha guadagnato, da inizio anno al 18 ottobre, il 48%, mentre l’S&P 500 ha perso il 22%.
Per quanto riguarda l’aspetto sociale, lo scoppio della guerra in Ucraina ha improvvisamente riscattato l’agibilità morale del settore delle armi – la cui utilità viene rivalutata se sparare serve a difendersi. Lo scorso marzo, poche settimane dopo l’invasione in Ucraina, il gruppo As You Sow aveva scandagliato i fondi definiti come sostenibili sulla piattaforma Morningstar scoprendo che il 52% conteneva azioni legate al business delle armi militari; una percentuale inferiore rispetto al 67% della media di tutti i fondi, ma pur sempre elevata, per un’esposizione complessiva di 7,3 miliardi di dollari. Come prevedibile, i fondi Esg che hanno puntato sulle armi, hanno reso bene in questo anno. Ma in generale, l’andamento dei flussi nella prima metà del 2022 è stato meno sfavorevole per i fondi sostenibili rispetto a quelli tradizionali.
Nel secondo trimestre del 2022, i fondi art. 8 e 9 hanno visto deflussi inferiori rispetto alle controparti non sostenibili (art. 6). Secondo Morningstar, gli articolo 8 hanno subito deflussi da 30,3 miliardi di euro, mentre gli articolo 9 hanno aumentato le masse di 5,9 miliardi; complessivamente le due categorie hanno perso il 6,4% degli asset in gestione a circa 4.180 miliardi di euro, contro il calo dell’8,9% osservato, invece, nei fondi articolo 6.
Per la prima volta, alla fine dello scorso giugno, gli asset in gestione dai fondi sostenibili secondo la Sfdr hanno superato quelli dei fondi tradizionali, con una quota del 50,9%. I fondi articolo 6, tuttavia, restano quelli più numerosi e rappresentano ancora il 64,6% dell’offerta. Anche sotto quest’ultimo aspetto il mercato si sta adeguando: solo nel secondo trimestre del 2022 oltre 700 fondi sono passati dall’articolo 6 all’articolo 8, mentre nessun fondo ha fatto il percorso inverso.
I gestori e l’offerta di fondi green
Pictet si conferma la società di gestione più rilevante per il mercato dei fondi “verde scuro” (art. 9) con una quota dell’8,9% alla fine del secondo trimestre; seguono in seconda e terza posizione Amundi e Bnp Paribas. Per i fondi articolo 8, invece, guida la classifica Amundi, con una quota del 4,6%, seguita da DWS e JP Morgan. Alcuni gestori, poi, hanno un’offerta pressoché interamente dedicata ai fondi verdi: in questo caso spiccano i nomi di Swedbank e Robeco, mentre in coda si trovano Pimco e Vanguard, la cui offerta è ancora dominata da fondi “non sostenibili” di articolo 6. Nonostante i buoni propositi della Sfdr, Morningstar ha notato come e interpretazioni della normativa e della tassonomia Ue restino ancora difformi fra i vari gestori. Questo complica la vita dei consulenti finanziari e degli investitori, perché “la comparabilità dei prodotti è carente”, anche quando appartengono alla stessa famiglia ai sensi della Sfdr.
In particolare, gli approcci con i quali viene calcolata l’esposizione complessiva del portafoglio agli investimenti sostenibili restano ancora difformi. Aggiunge un ulteriore strato di complessità il fatto che, in origine, ci sono profonde differenze nell’assegnazione dei rating Esg da parte delle società specializzate. Secondo uno studio citato dall’Economist basato su sei diverse “agenzie di rating” Esg, solo 10 categorie di valutazione sulle 64 totali risultavano comuni a tutte le società di valutazione. In altre parole, i parametri attraverso i quali viene definito che cosa è Esg restano inconsistenti.
Che cosa c’è, allora, dentro i portafogli dei fondi sostenibili? Per i fondi articolo 8, l’azione più diffusa è quella di Alphabet (Google), comune a 1002 fondi con un peso medio del 3% sulla gestione complessiva. In termini di peso specifico nei portafogli è, però, il titolo Microsoft a dominare, con una quota del 4,8%. In generale negli articolo 8, dominano i titoli growth, con un’elevata presenza del settore tecnologico e sanitario. Nei fondi articolo 9 l’azione più diffusa è, invece, quella di Schneider electric, comune a 278 fondi, seguita da quella di ASML holding e di Vestas Wind Systems. Fra articolo 8 e 9 esiste una sovrapposizione nelle azioni sui cui i rispettivi fondi investono pari del 27%, ha calcolato Morningstar, notando come i fondi articolo 9 abbiano portafogli più simili fra loro e, quindi, tendono ad investire in un insieme più ristretto di società.
Questo articolo è tratto dal numero di novembre del magazine We Wealth