Lo scorso agosto è entrata in vigore la revisione della Mifid 2 sulle preferenze di sostenibilità della clientela. Ma emerge un rischio di mismatch tra desiderata e disponibilità di prodotti
Il 46% dei risparmiatori dichiara di ricevere più informazioni dalla propria banca, assicurazione o consulente sugli investimenti sostenibili e il 47% di aver notato un aumento della competenza e dell’attenzione nei confronti di queste tematiche
Scolari: “Siamo in una fase preliminare di un nuovo percorso professionale che impegnerà imprese di investimento e consulenti finanziari ad ampliare le proprie conoscenze e sviluppare adeguate metodologie”
Sono trascorsi tre mesi dall’entrata in vigore della revisione della Mifid 2, che impone agli intermediari finanziari di tenere conto delle preferenze di sostenibilità dei clienti nel corso del processo di profilazione delle necessità finanziarie e di valutazione dell’adeguatezza dell’offerta. Si parla di un cambiamento radicale. Che ha visto, negli ultimi mesi, le autorità delegate (a partire dall’Esma) lavorare su nuovi documenti che guidassero gli operatori mentre emergeva il rischio di un mismatch tra i desiderata dei clienti e la disponibilità di prodotti.
“Le imprese di investimento e i consulenti finanziari sono chiamati in primo luogo a svolgere un’opera divulgativa, ossia spiegare bene ai clienti cosa si intende quando si parla di sostenibilità dei prodotti finanziari”, spiega Massimo Scolari, presidente di Ascofind, associazione per la consulenza finanziaria indipendente. “In secondo luogo, devono raccogliere dai clienti informazioni dettagliate sulle loro preferenze in materia di sostenibilità mediante una specifica sezione del questionario di profilazione. Informazioni che saranno alla base della valutazione di adeguatezza estesa anche ai fattori di sostenibilità”. Come precisato nelle linee guida diffuse dall’Esma a fine settembre e che diverranno operative intorno al mese di marzo 2023, il questionario deve essere aggiornato alla prima occasione utile. Fino ad allora, il cliente viene considerato sustainability neutral. Le preferenze, inoltre, potranno essere raccolte sulla base di tre criteri: quota d’investimenti sostenibili come definito dall’art. 2 della Sustainable finance disclosure regulation (la normativa europea sull’informativa di sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, ndr), quota di investimenti allineati alla Tassonomia europea e infine – in via opzionale – l’esclusione di determinati settori sulla base dei principali effetti negativi (o Pai, Principal adverse impacts).
Per i clienti, continua Scolari, tale cambiamento normativo rappresenta un’opportunità per approfondire la conoscenza del contenuto dei prodotti finanziari ed esplicitare le proprie preferenze sulle tematiche ambientali, sociali e di buona governance. Due aspetti nei confronti dei quali, come risulta dalle informazioni raccolte nella prima fase di applicazione del nuovo test Mifid, hanno “espresso apprezzamento e interesse”. Anche perché emerge una sempre maggiore consapevolezza del fenomeno. Secondo una ricerca condotta da Assoreti e McKinsey a inizio 2022, l’interesse nei confronti delle tematiche Esg (Environmental, social, governance) risulta in crescita per la maggior parte dei clienti, sebbene gli High net worth individual (Hnwi) continuino a mostrare una maggiore familiarità nei confronti dei prodotti. “Per tutti i segmenti di clientela l’impatto positivo sull’ambiente e sulla società risulta un elemento chiave, mentre i clienti privati e Hnwi percepiscono anche il valore dei prodotti Esg nell’aumento della ricchezza”, racconta Angela Maria Carozzi, responsabile ufficio legale e normativa di Assoreti. “A fronte di tale interesse occorre assicurare, come evidenziato dall’International organization of securities commissions in un report dello scorso agosto, che l’investitore retail sia messo in condizione di comprendere in modo sempre più consapevole le caratteristiche degli investimenti sostenibili”. Un tema di educazione finanziaria, spiega, che vede “l’industria impegnata nell’aggiornamento del patrimonio di conoscenze e competenze dei consulenti finanziari”.
Una delle criticità da affrontare su questo fronte, secondo Alessandro Asmundo, research and policy officer del Forum per la finanza sostenibile, riguarda infatti proprio la formazione dei consulenti. Anche perché, stando a un recente rapporto condotto dal Forum per la finanza sostenibile in collaborazione con Bva Doxa, sette risparmiatori su dieci dichiarano di avvalersi del supporto di un consulente esperto nelle scelte finanziarie (il consulente della propria banca nel 54% dei casi e un indipendente nell’11%), il 46% dichiara di ricevere più informazioni sugli investimenti sostenibili e il 47% di aver notato un aumento della competenza su queste tematiche. Ma diversi studi dimostrano come ci sia bisogno in realtà di una maggiore formazione “non solo del pubblico retail ma anche degli intermediari”, afferma Asmundo. “Siamo in una fase preliminare di un nuovo percorso professionale che impegnerà imprese di investimento e consulenti finanziari ad ampliare le proprie conoscenze e sviluppare adeguate metodologie”, conferma Scolari.
“Le reti svolgono un ruolo di grande responsabilità: garantire il migliore matching possibile tra le preferenze dei clienti in materia di sostenibilità e le caratteristiche Esg dei prodotti finanziari in uno scenario nel quale la domanda e l’offerta è ancora molto fluida e in continua evoluzione”, interviene Carozzi. Ma esiste tuttavia la possibilità, come anticipato in apertura, che non ci siano abbastanza prodotti che soddisfino le preferenze dei clienti. “È la normativa stessa, come declinata negli orientamenti dell’Esma dello scorso 23 settembre, a disciplinare il potenziale mismatch tra le preferenze Esg dei clienti e la rosa dei prodotti selezionati, consentendo al cliente di adattare le proprie preferenze”. In particolare, “l’intermediario può raccomandare prodotti che non soddisfano le preferenze di sostenibilità iniziali solo dopo che il cliente le ha riadattate, dopo una segnalazione in tal senso da parte dell’intermediario”, precisa Asmundo. E il tutto deve essere documentato nella valutazione di adeguatezza. “Resta in ogni caso ferma la necessità di non raccomandare strumenti finanziari come rispondenti alle preferenze di sostenibilità di un cliente se non è così”, avverte Carozzi. I consulenti, conclude, dovranno verificare responsabilmente che il prodotto presentato come sostenibile lo sia effettivamente. “Per far ciò, sono fondamentali il controllo di compliance con gli artt. 8 e 9 della Sfdr e l’utilizzo di rating Esg di provider esterni, cui potranno aggiungersi framework di rating proprietari granulari che possano certificare questi parametri. Una sfida che trova nella tecnologia lo strumento principale. Che avrà il compito di supportare la qualità della consulenza senza modificarne la centralità della relazione umana”.
(Articolo tratto dal magazine We Wealth di novembre 2022)