Tre studi accademici hanno mostrato come i picchi di copertura mediatica sui temi ambientali coincidano con fasi di sovraperformance dei titoli green su quelli brown
E’ la conclusione che hanno raggiunto, non senza interessanti conseguenze operative, tre paper accademici elaborati da due gruppi di economisti, alcuni provenienti dalle prestigiose Booth School of Business dell’università di Chicago e dalla Wharton School dell’università della Pennsylvania, altri dalla banca centrale del Belgio.
Al primo gruppo appartiene “Sustainable Investing in Equilibrium”, pubblicato questo novembre sul Journal of Financial Economics. “Man mano che gli investitori diventano più consapevoli della questione climatica, capiscono che le regolamentazioni stanno arrivando, e che la situazione sarà vantaggiosa per le aziende green e dannosa per quelle brown”, ha dichiarato al New York Times uno degli autori, Lubos Pastor (Chicago Booth School). Secondo lo studio questa preferenza degli investitori rende più facile ed economica la raccolta di capitale da parte delle aziende “virtuose”.
A lungo termine, però, incorporare in un nuovo equilibrio prezzi più elevati per le società green comporta che “gli investitori stanno accettando rendimenti attesi più bassi, che lo capiscano o no”, ha aggiunto un altro autore, Robert F. Stambaugh (Wharton School). Di converso, prezzare in modo più caro le azioni verdi, incrementa i ritorni attesi per le azioni meno “pulite” – poiché presentano un rapporto tra profitti/flusso di cassa e prezzi di di mercato più favorevoli. Un po’ come aveva affermato il popolare hedge fund manager Crispin Odey alcuni giorni fa, il fenomeno Esg lascia sul tavolo opportunità di guadagno agli investitori più smaliziati.
L’idea che l’esposizione mediatica dei temi ambientali potesse incidere sulle azioni green e brown è stata messa alla prova elaborando un indice, il “Media Climate Change Concerns index”, con il quale gli autori del primo studio hanno misurato la frequenza della copertura mediatica su otto giornali dalla readership globale fra il 2010 e il 2018. In questo periodo i picchi sono stati raggiunti in occasione delle Conferenze sul clima e durante il clamoroso ritiro degli Usa dall’Accordo di Parigi, deciso dal presidente Trump nel 2017. In concomitanza con queste fiammate della copertura mediatica il copione seguito dalle azioni green e brown è sempre stato lo stesso: performance positive per le prime in rapporto a quelle delle seconde.
L’evidenza è stata confermata nel secondo studio firmato da Pastor e Stambaugh, per il periodo compreso fra il novembre 2012 e il dicembre 2020, durante il quale “il portafoglio ponderato in base al valore degli stock nel terzo ‘più green’ ha sovraperformato il terzo”, meno green “con una differenza di rendimento cumulativo del 174%”, ha affermato il paper.
La correlazione fra performance brillanti ed esposizione mediatica delle battaglie per il clima potrebbe diminuire in futuro, hanno avvertito, tuttavia gli autori. Infatti, portare la gestione globale del cambiamento climatico nel vocabolario quotidiano dell’informazione dovrebbe in qualche modo normalizzare l’argomento e ridurre quell’effetto-novità che negli ultimi anni ha dato una spinta aggiuntiva alle azioni ritenute più green.